L’ispettore sapeva che il suo superiore tifava accanitamente per quella squadra.
-Ha pareggiato in casa. Poteva vincere. Le hanno negato un rigore.
Squillò il telefono.
-Sì?
Passò un minuto e il volto di Tartini si oscurò. Disse:
-Va bene. Ci recheremo subito sul posto.
E a Dario:
-Iniziamo bene la settimana. Andiamo.
-Dove?
-In Calle dell’Ospedaletto alla Giudecca. Hanno assassinato un uomo.
-Quell’isola è dannata. Tutti lì succedono i delitti.
L’ispettore capo non commentò. Si infilò il giubbotto, i guanti, prese l’ombrello ed uscì
dall’ufficio, seguito a ruota da Dario. Una lancia della polizia li portò a Spinalonga, così si chiamava l’isola, prima degli insediamenti dei giudei. Scesero al Redentore.
-Che brutto mestiere,- disse Giangiorgio. –Dover lavorare con qualunque tempo … Mi mette una tristezza addosso da non credere.
La casa era la penultima della calle. Si riconosceva facilmente per l’intonaco giallo. Salirono al secondo piano. Un agente li salutò e indicò loro dove giaceva il morto. Passarono in una stanza angusta, occupata quasi per intero da un letto a una piazza e mezzo. Sotto il letto si vedeva una cassetta piena di libri. Alcuni giacevano per terra. C’era pure un martello rosso di sangue. Sul letto una figura accasciata col cranio orribilmente mutilato. Il medico legale aveva finito il primo, sommario intervento. Si accorse della presenza dell’ispettore capo e gli comunicò:
-Lo hanno leggermente narcotizzato, poi gli hanno piantato un grosso chiodo nella tempia destra.
-A che ora è successo, all’incirca?
-Più o meno otto, nove ore fa.
Tartini guardò l’orologio. Le lancette segnavano le 9 e 52 minuti. Quindi l’omicidio era stato perpetrato verso l’una del mattino.
Poi si mise a esaminare il cadavere. Giaceva in una pozza di sangue, completamente nudo, i vestiti erano ammucchiati su una poltroncina poco distante. L’ispettore capo gli dette una quarantina di anni, il suo fisico appariva vigoroso, la testa illeggibile.
-Aveva da pochissimo fatto all’amore, di questo sono sicuro – disse il medico legale.
Giangiorgio annuì.
-Non vedo altre ferite sul corpo – disse.
-Sarebbero state inutili, dato il colpo che ha ricevuto – osservò ironico l’altro.
-Già.
Tartini si rivolse a un agente:
-Il nome della vittima?
-Mohamed Jzouhar, di anni 45, scapolo, di professione farmacista.
-Chi lo ha scoperto?
-La donna delle pulizie. Viene qui due volte alla settimana, il lunedì e il venerdì. La porta era socchiusa, è entrata e ha visto …
-A che ora?
-Poco dopo le nove.
-Prenda le sue generalità e le dica di rimanere a disposizione. Dovrà firmare il verbale.
-Sarà fatto.
Farsetti parlottava col medico legale, mentre lo accompagnava alla porta. Si incrociarono lui e il dottor Vincenti, il sostituto procuratore. Appena un lieve cenno di saluto. “Sarò più preciso dopo. Parli con Tartini” gli urlò dietro l’addetto alle necropsìe. E Vincenti così fece. Osservando il cadavere, fu messo al corrente dall’ispettore capo.
-Forse si tratta di una vendetta o di un regolamento di conti – concluse.
-Certo che è stato ucciso in modo barbaro – borbottò Vincenti.
-E questo mi lascia pensare. La freddezza dell’assassino, la premeditazione. Potrebbe essere il primo delitto di una lunga catena se …
-Via! Non sia sempre così pessimista, - lo interruppe il sostituto procuratore, - abbandoni le sue morbose fantasie e si concentri sul caso. Mi tenga al corrente in maniera dettagliata.
E se ne andò con un paio di gorilla.
Tartini accese una sigaretta, aspettò che la scientifica terminasse il suo compito, quindi diede libero sfogo al suo ‘modus operandi’. L’unico che volle con sé in questa operazione fu Farsetti.
-Spulciamo tutto con la massima attenzione – gli ordinò.
C’erano parecchi libri in arabo nella stanza. Tutti rigorosamente di farmacologìa. Solo una eccezione e ben in vista. Un trattato di storia dell’arte. A pagina 212 un bigliettino con sopra incisa, in bella mostra, una i lunga. La pagina descriveva alcuni importanti eventi biblici. Ma la foto, riproducente il quadro, era stata stracciata.
-Interessante e sconvolgente – fu il commento di Tartini.
-Che intendi dire? – gli domandò Dario.
-Intendo affermare che quello che Vincenti ha definito il mio pessimismo, avrà ancora ragione dei fatti.
-Pensi a un omicida seriale?
La voce di Giangiorgio assunse un tono imperioso.
-No, non lo penso, vecchio mio, ne sono sicuro.
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