Torna Aleksei Balabanov (Brothers, Il fratello più grande) con un film macabro, feroce, intollerabile, probabilmente unico, di certo uno dei migliori in circolazione. Cargo 200 non è una discesa all’inferno, o perlomeno lo è solo in un senso superficiale. Quello che si sta tentando di dire è che non c’è nulla nel film che somiglii ad una discesa all’inferno perché se così fosse ci sarebbe un certo approccio nella descrizione degli eventi, e invece tutto si svolge davanti ai nostri occhi come se non esistesse un prima e un dopo, un livello alto per così dire ed uno più basso, ma ci fosse solo e soltanto un livello sul quale i personaggi sono collocati. Qualcuno ha citato a proposito del film il tag de La notte dei morti viventi che lapidario affermava “Quando non ci sarà più posto all’inferno i morti cammineranno sulla terra”, il che applicato al film è vero e falso al tempo stesso ma non perché oramai “all’inferno solo posti in piedi e pure questi stanno per finire”, ma perché stavolta i vivi e i morti camminano insieme già da moltissimo tempo e quando finiscono casualmente con l’incontrarsi non soltanto sono guai, ma sono anche guai grossi.

C’è un ganzo di nome Valera che sembra un Fonzie sovietico che in una discoteca rimorchia Angelica, figlia di un segretario regionale del Partito Comunista Sovietico. Ubriaco fradicio la perde di vista in una catapecchia dove è andato a rifornirsi di alcool. La ragazza finisce nella mani di Zurov, un poliziotto la cui crudeltà è indicibile e pari soltanto all’impassibilità con la quale compie una nefandezza dopo l’altra. Sempre nella stessa catapecchia si trova a passare, ma in tempi diversi, Artem, professore di ateismo scientifico all’università di Leningrado che prima di ubriacarsi pure lui intreccia una conversazione con il proprietario della baracca ammiratore di Tommaso Campanella. Nel frattempo c’è un colonnello dell’esercito alle prese con i Cargo del titolo, cioè i voli con i quali le bare dei soldati russi caduti in Afghanistan tornano a casa…

Ecco a grandi linee la miscela multifattoriale dalla quale Balabanov distilla un succo acido che volente o nolente tocca bere, un sorso ciascuno, a meno che non si preferisca abbandonare la sala prima del tempo perché sconvolti dalla ferocia di alcune scene tale da far apparire al confronto i quattro Saw e i due Hostel roba da educande.

Balabanov, per dire della sua regia, ignora o finge di ignorare il concetto di climax; piuttosto preferisce temere tutto dentro un perimetro di inquadrature pressoché identico dall’inizio alla fine. Per Balabanov riprendere un colloquio o uno stupro (con una bottiglia) è esattamente la stessa cosa da riprendere nello stesso modo: macchina fissa, leggermente in basso rispetto all’altezza sguardo, pochissimo fuori campo (tutti gli eventi importanti sono tenuti dentro …).

Sul perché di cotanto mostruoso ritratto di un gruppo di umani in un inferno è difficile dire qualcosa di preciso per cui si ci può solo azzardare ad avanzare qualche ipotesi: forse Balabanov nel raccontare di un regime in procinto di crollare, giacché il momento storico prescelto, quello del trapasso tra la vecchia URSS e quella nuova della Perestroika (in TV si vede il vecchio e malato Černenko con a fianco seduto colui che gli succederà, cioè Gorbaciov…), intende offrire attraverso una metafora del passato anche un ritratto dell’oggi. Forse qualche certezza in più si ha nel vedere che un mondo senza nessuno in grado di amministrare una giustizia degna di questo nome, è irrimediabilmente votato allo sbando, un mondo che appare come il peggiore dei mondi possibili, un mondo dove ad essere condannati a morte sono gli innocenti e dove l’esecuzione avviene a tradimento (altro che forca…) e dove l’unica giustizia concessa in definitiva è quella privata e gonfia di disperazione.

Sul finale sì, c’è un briciolo di speranza, forse una conversione, ma anche in questo caso c’è da mettersi in un angolo ed aspettare qualcuno e qualcosa che forse verrà...

Le cose non sono mai state semplici e via via che il tempo passa diventano sempre più difficili.

A stringere, forse Cargo 200 vuol dire questo…