Un piccolo capolavoro…
Questa volta non c’è stato alcun tentennamento di sorta. A partire dalla copertina in cui svetta una minacciosa ghigliottina sullo sfondo di un cielo scuro, per continuare con il titolo Terrore di ambivalente significato, sia storico che relativo a pulsioni dell’animo umano. Se si aggiunge un giallo e la firma di Danila Comastri Montanari (già celebre per il suo Publio Aurelio Stazio) allora la cosa è fatta.
Bella la copertina, efficace il titolo, prestigiosa la firma del giallo. Visto e preso, dunque, Terrore di Danila Comastri Montanari, Mondadori 2008.
Luogo Parigi. Tempo dal 1 settembre 1793 al 20 brumaio dell’anno II, e cioè al 10 novembre 1793. Come a dire uno dei periodi più incasinati della storia tanto per usare una espressione terra terra. In un tal contesto politico-economico-sociale così dirompente ci mancava pure che un disgraziato maledetto si mettesse a tagliar teste di giacobini, lasciando sul luogo del misfatto un biglietto del tenore “Processato, condannato, giustiziato” a firma di “Janne la Pucelle”. Ovvero Giovanna d’Arco. E infatti non manca e si becca pure l’appellativo di “Boia di Parigi”.
Sulle sue tracce Etienne Verneuil, “un avvocato di sicura fede repubblicana”, già noto per le sue qualità investigative, incaricato dal Comitato di Sicurezza nazionale, più precisamente dall’amico Pierre Blas. E coadiuvato da tre aiutanti. Ligio al dovere, fedele alla patria e alla Rivoluzione lungo tutta la storia, a contatto con i molteplici avvenimenti che si accavallano, ne diventa anche l’anima critica. Sull’onestà dei suoi rappresentanti, sulla equità dei processi (“Un giorno, forse, anche la sua testa sarebbe caduta: come gli antichi Titani, la Rivoluzione divorava i suoi figli”), sulla bontà delle misure economiche e in genere sugli aspetti che gli sembrano francamente esasperati (“Senza la compassione per gli oppressi, la Rivoluzione sarebbe soltanto un crimine”). Un personaggio concreto in continua evoluzione, preso dai suoi slanci e dalle sue debolezze, dal “fascino sottile del potere” e da quello del gentil sesso (vedi Amélie Gallimard che lo beffa come un allocco, ma in seguito…), dai dubbi sull’indagine (pista monarchica, giacobina o girondina?) e dai ricordi di un doloroso passato che ritorna vivo e pungente nel presente attraverso il suo “nemico” d’infanzia Fabien.
Circondato da una folla di personaggi inventati o realmente esistiti (basti per tutti Robespierre, il pittore David e il naturalista Lamarck, quest’ultimo di notevole aiuto per la scoperta di certi indizi) da far girare la testa (ne ho contati, mi pare, una cinquantina).
E poi il contorno storico con la guerra, i complotti, l’inflazione, la rabbia del popolo, gli accaparramenti, il calmiere, gli assegnati, i preti refrattari, i sequestri degli enti ecclesiastici, i giacobini, i girondini, gli Arrabbiati, gli Hebertisti, gli Indulgenti e tutto quel miscuglio di eventi che ci hanno fatto tenere chino il capo per ore e ore sui libri di storia delle superiori. Per non dimenticare i cambiamenti tecnologici e le scoperte in vari settori del sapere umano e le nuove conquiste civili. Anche da parte delle donne, impersonate simbolicamente dalla giornalista Caroline Mathieu (però l’apprendista stampatore Lucas non è mica tanto d’accordo…).
Il tutto sorretto e guidato da uno stile semplice e concreto che sgorga fuori quasi naturale senza sobbalzi di sorta. Con una lunga linea sottile di ironia che investe la Rivoluzione e i suoi personaggi. Basti pensare ai nomi dei nuovi nati che si rifanno alla storia vicina o lontana come Marat, Gracco, Bruto, Cincinnato, o Lucrezia, Convenzione e perfino Montagnarda (povera figlia…), o alle stoccatine che di tanto in tanto la scrittrice mette in bocca ai suoi personaggi per far risaltare le storture e le cose che non vanno. O alle caricature che lei stessa ci presenta come il “giulivo” romanziere Nicolas Edme che esclama trionfante “Le mie tirature superano quelle di Voltaire e Rousseau messi assieme!” (e sembra di sentire qualche autore dei nostri tempi…).
Ottima l’orchestrazione dei vari tasselli che compongono il mosaico dell’intreccio, capitoletti ora brevi, ora di più ampio respiro secondo le necessità. Aggiungo il movimento, gli imprevisti, i colpi di scena con il possibile assassino che non è l’assassino e l’immancabile colpo finale a sorpresa (anche se non costituisce novità). E qui mi fermo che sarebbe assurdo condensare in una recensione la complessità del libro.
Un grande affresco storico.
Un piccolo capolavoro del romanzo poliziesco.
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