“Cucio io, capo?” dice il Soldato Scelto, dopo aver diligentemente infilato il filo da sutura nel grosso ago.

“Sì, è meglio. Io terrò fermo il nostro amico, dovesse impressionarsi alla vista dell'ago, ahah!”

Smith assesta noncurante una gomitata allo stomaco di Iussuf, che si ripiega su se stesso come un animale ferito a morte.

Poi i due gli sono sopra, come furie di una mitologia sanguinaria. Il sergente Smith si siede sopra alle spalle del torturato, mentre il Soldato scelto Harsh, ansimante, il viso deformato da un ghigno idiota , afferra Iussuf per il collo. Trae da una tasca del giubbotto della mimetica una bottiglietta di whisky, ne versa un sorso sulla ferita dagli orli slabbrati. L'iracheno tenta di divincolarsi, vorrebbe gridare ancora ma - ennesima umiliazione - gli hanno conficcato in bocca ciò che resta dei suoi indumenti intimi, e riesce a emettere solo un grugnito prolungato. Si augura di perdere i sensi presto, o – meglio ancora - di morire.

Il Soldato Scelto Jeremy Harsh accosta con malagrazia i lembi della ferita e comincia a cucire.

E forse un Dio compassionevole esiste, quale che sia il suo nome, perché, dopo qualche secondo, concede a quest'uomo l'oblio dello svenimento. Mentre perde i sensi, Iussuf si augura di non rinvenire troppo presto.

Lo risveglia il contatto con l'estremità gelata di uno stetoscopio.

Un medico. Possibile? Che siano preoccupati per me, questi mostri senza cuore?

L'uomo in camice bianco indossa gli anfibi. Picchietta con fare professionale sulla schiena del prigioniero, ne ausculta il respiro rantolante. Scuote la testa, le labbra serrate. Tenendo ferma con la sinistra la testa ciondolante del torturato, esamina le ferite sul viso. Prova ad aprire l'occhio destro del suo paziente, dopo averlo disinfettato sbrigativamente con un tampone imbevuto di una sostanza che brucia maledettamente, e che fa sussultare l'uomo martoriato legato alla sedia.

“Cristo, ragazzi. Che bisogno c'era di ridurlo così? E questa porcheria che gli avete infilato in gola? Cosa state tentando di fare?”

“Oh, ma niente dottore. Ci stavamo solo divertendo un po'...”

“Capisco. Ma andateci piano, soprattutto con le percosse alla testa.” risponde l'ufficiale medico, sospirando e scuotendo il capo.

“Perché, altrimenti il piccolino si fa la bua?”

Il medico non risponde, fa chinare la testa al recluso ed esamina la sutura eseguita dal Soldato scelto Jeremy Harsh.

“Porca miseria, Harsh. Che diavolo volevi fare, eh? Ti dovrebbero dare l'ergastolo, per quello che hai combinato qui! Mi auguro solo che almeno ti fossi lavato quelle manacce, prima di giocare all'infermierina premurosa con la pelle di questo povero Cristo.”

Cristo.

Il nome filtra attraverso il ronzio ovattato che è divenuto l'udito di Iussuf in seguito ai colpi ricevuti agli orecchi. Chissà se riacquisterà la pienezza dell'udito, si chiede oziosamente, salvo poi riflettere che quello, al momento, è l'ultimo dei suoi problemi. Probabilmente tra qualche ora sarà morto, e potrà finalmente incontrare il suo Dio, pensa, un accenno grottesco di sorriso sulle labbra tumefatte e insanguinate.

“Hai visto, Sergente? Il porco ha sorriso! Dici che gli ha dato di volta il cervello? Che ne pensi, eh?”

“Non mi stupirei.” dice il medico, imbevendo un nuovo tampone in un flacone di tintura di iodio e disinfettando la zona di pelle devastata sulle spalle e sulla nuca.

Cristo.

Cristo era un profeta.

Per questa gente addirittura un Dio.

E l'hanno ucciso. Questo dicono le loro Scritture.

Iussuf emette un grido soffocato, ormai non riesce quasi più ad articolare la mandibola, che certamente è lussata, nella migliore delle ipotesi.

“Ehi, dottore, non fargli troppe carezze. Non vorrei pensasse che gli vogliamo bene!” ride sguaito Tom Smith.

“No, infatti!” interviene il Soldato Scelto, spingendo da parte il medico. Che non gradisce troppo l'intervento, perché, recuperato l'equilibrio, si volta di scatto verso il soldato. Lo fissa rapido negli occhi, quindi distoglie lo sguardo. Si sfila lo stetoscopio dal collo, lo ripone nella tasca del camice, che la spinta dell'aguzzino ha appena lacerato. Il sergente Smith intanto fuma una sigaretta, la schiena addossata alla parete imbrattata di impronte di scarponi e schizzi di sangue. Alza gli occhi verso il medico, lo guarda con insofferenza, sputa per terra.

“Allora, Doc. Come sta il pupo?”

“È vivo.”

“Okay. Allora... voglio dire, possiamo continuare, no?”