Eccolo, nell’angolo più buio, in quello più lontano. La sua figura, la sua mano sembrano emergere dall’ombra come da una sostanza liquida che lo abbia tenuto nascosto sotto la sua superficie piatta e senza movimenti. La Walther silenziata si alza lentamente fino ad incontrare il profilo del poliziotto… No, no… è banale; chissà quante volte l’hanno già scritta ‘sta scena qui; chissà quanti poliziotti sono stati ammazzati da diabolici sicari che trasudano malvagità, chissà quanti l’hanno scritta meglio di così ‘sta scena, perché è vero che non si riesce a scrivere più niente di nuovo e pure a mescolarle le cose, le situazioni, i personaggi, i generi, alla fine scrivi sempre le stesse cose, perché in fondo è che siamo sempre gli stessi noi, che calpestiamo questa terra, sempre gli stessi… un po’ più vili o un po’ più coraggiosi, orgogliosi o servili, generosi o egoisti, ma in fondo siamo sempre gli stessi, da quando abbiamo seguito Odisseo perdendoci in mare, perché mica siamo bravi come lui, mica siamo come gli eroi dei libri noialtri.
Pessimo, pessimo. Un briciolo di sana depressione giova alla scrittura, ma quando si supera il “dosaggio” si finisce a fare i conti con gli effetti indesiderati: e allora ti sembra che tutto sia assolutamente inutile, compresa quella cosa che ti piace tanto, imbrattare di segni neri una pagina. Forse mi conviene leggere un collega bravo e famoso; di solito leggere mi fa tornare la voglia di scrivere, sperando di riuscire a imbrattare carte con un minimo di stile.
Bisogna anche muoversi, alzarsi ogni tanto da questa sedia ergonomica, farsi un giretto, prima di sentirsi come un marinaio messo ai ferri per ammutinamento. Uhm… alzarsi, ma per fare cosa?
‘Sto schermo certi giorni sembra una condanna; una scatola enorme che non si riempie mai, che hai voglia a scrivere, ma stai sempre lì e guai, guai se vai all’improvviso, se avanzi a lume di naso. L’agenda è un’amica: sta lì e aspetta che tu l’apra, aspetta anche dei mesi, prima che tu la riempia di scrittura minuta e fitta, che tu le dica, in via confidenziale e riservata, chi sono i tuoi personaggi, che faranno, che destino gli hai deciso; non si lamenta nemmeno quando cambi idea e quello che le hai confidato non vale più, perché pestando i tasti, qualche altra idea ti ha attraversato la testa.
E’ che mi è sempre piaciuto stare a sentire le storie che mi raccontavano; mi deve essere venuta voglia di scrivere per questo, per sentire storie che mi piacessero, anche se poi le storie ho cercato di raccontarle anche agli altri, a chi mi conosceva, perché a chi non mi conosce personalmente, a chi abita a Torino, oppure a Palermo, ci sono arrivato per caso, per “colpa” di Giuseppe, del mio amico Giuseppe (Joe) Giustini, che una mattina di qualche anno fa, mi buttò lì quella frase “Ma perché non lo mandi al Premio Calvino ‘sto romanzo?” e la “colpa” va estesa ai giurati che mi hanno scelto, che hanno dato la menzione speciale al mio L’età dell’acqua. Ricade la “colpa”, anche sulle spalle di Luigi Bernardi, che mi pubblicò e continua a pubblicarmi, come ha fatto adesso con Lungo la stessa strada.
Non ti puoi distrarre un attimo: come allenti la tensione, ecco che cominci a pensare all’universo mondo, alle aringhe e al senso della vita, al tuo ruolo nella società e a Tina Pica, mentre ‘sto foglio elettronico e bianco se ne sta lì a fissarti, in attesa delle tue parole.
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