Un vecchio libro moderno.
Ogni volta che ritorno per qualche motivo al paese dei miei primi venti anni (Staggia) mi succede sempre la stessa cosa. Guardo le mura, il castello, le vie (poche), le piazze (ancora meno), scruto i volti degli abitanti che passeggiano o se ne stanno seduti davanti al bar per ritrovare qualcosa del primitivo incanto. Niente da fare. I luoghi sono muti, le facce lo stesso. L’incanto è svanito per sempre. Rimane la malinconia e la delusione. Come per un tradimento. E allora viene la voglia di andare via, di scappare da un luogo che non è più il tuo. Praticamente l’inizio del libro vecchio-nuovo (pubblicato la prima volta nel 1976) di Loriano Macchiavelli Sequenze di memoria, Ambiente edizioni 2008. Al mio posto Ricotta (soprannome del protagonista) che ritorna al paese d’origine. E quella sensazione vera, concreta di estraneità che attanaglia anche il sottoscritto “Tutto quello che vedo non ha niente da spartire con le case, gli alberi, i cespugli che ho lasciato non so da quanto tempo”. E’ venuto chiamato da don Giorgio. Il suo amico Gianni si è suicidato. Gli ha lasciato un biglietto, per giunta incompleto. Incontra Pino, un vecchio amico. Parlano, discutono. Gianni era solo, una specie di fissato contro chi distruggeva il suo paese. Si insinua il dubbio che non sia suicidio. Rimane, vuole vederci chiaro. Inizia l’”indagine”. Ed ecco il ritrovamento di un quaderno che contiene l’intera lettera, l’incontro con alcuni personaggi-chiave: il maresciallo dei carabinieri, il dirigente della fabbrica di biochimica, l’ufficiale sanitario del comune.
Ed anche l’incontro con Nina, la figlia di Pino, la nascita di una passione, i ricordi (in corsivo) del passato che si mescolano con il presente (Nina che diventa Anna, l’innamoramento giovanile) le timidezze, i rossori, le paure, i pianti, i tedeschi, la morte, una borsa piena di soldi.
Una accusa contro chi deturpava, allora, l’ambiente e la salute dei cittadini. Con un finale che alleggerisce un disegno altrimenti troppo schematico. E una linea continua di tristezza e rimpianto che si svolge lungo tutto il romanzo. Attraverso un linguaggio semplice (all’apparenza) che usa solo le parole indispensabili. Quelle più giuste, più efficaci, senza tanti salamelecchi al virtuosismo. Siamo negli anni Settanta ma potrebbe essere oggi. Un vecchio libro moderno. Anzi, attuale.
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