Domenica 13 febbraio su RaiUno è iniziata la terza serie di Sospetti, sei puntate che tentano di rinnovare il successo delle precedenti, andate in onda a partire dal 2000. La struttura produttiva fa capo al “padre” della fortunatissima Piovra, Sergio Silva, e il regista, Luigi Perelli, è anche lui un veterano della “fiction” più popolare (ed esportata) della Rai; nel ruolo di protagonista ritorna Sebastiano Somma che proprio interpretando il magistrato Luca Bartoli ha preso il volo come attore televisivo; e infine, nella parte del cattivo che più cattivo non si può non poteva mancare Remo Girone, antico reduce della Piovra e, soprattutto, della più recente prima serie di Sospetti. Gli ingredienti, già collaudati, per sbancare l’Auditel sembrano dunque esserci tutti, ma, dopo le prime due puntate, abbiamo cominciato a nutrire qualche dubbio non tanto sul successo televisivo della serie, quanto sulla sua credibilità, ammesso che questo aspetto poi interessi qualcuno oltre a qualche eccentrico e arcigno critico televisivo. Vediamo un po’ cosa non funziona sul piano della verosimiglianza. L’azione si apre con l’eroico procuratore Bartoli che entra in un carcere in rivolta in cui hanno preso in ostaggio una sua collega, Simona Federici (che poi si scoprirà essere anche la sua compagna); sprezzante del pericolo, affronta i caporioni (tra i quali c’è una sua vecchia conoscenza di Sospetti 2) e si guadagna la loro fiducia promettendo di chiudere un occhio su quanto hanno commesso visto che le loro motivazioni erano giuste; siccome però certe cose in tv in prima serata è meglio porgerle con una certa cautela, Bartoli si esibisce in una riuscitissima interpretazione dell’italica arte di arrangiarsi: in sostanza il prode magistrato ricorda che il suo dovere sarebbe di denunciare coloro che hanno devastato il carcere ma, siccome hanno tutti il volto coperto da un passamontagna (cosa peraltro non del tutto vera), non sarà in grado di farlo. Incassato l’applauso dai carcerati e dal pubblico a casa (ma forse non dei suoi colleghi in carne e ossa) Bartoli continua a fare strame con notevole disinvoltura della deontologia professionale: parla poco prima dell’udienza con l’imputata di omicidio in un processo in cui la sua “compagna” è pubblico ministero; garantisce con il proprietario di un’officina per l’assunzione dell’ex carcerato (e capo della rivolta) appena uscito (e più tardi lo farà assumere addirittura come autista personale!); non trova nulla di disdicevole nel mescolare sesso e lavoro con la sua sostituta; e infine, caso credo unico negli annali della magistratura (televisiva e non), quando la difesa, con una perizia di parte, cerca di far assolvere l’imputata per incapacità temporanea di intendere e volere, si guarda bene dal chiedere una controperizia o perlomeno una perizia super partes da parte del tribunale. E che dire del perfido industriale farmaceutico, naturalmente svizzero (interpretato da quel Gianni Garko che ha allietato i nostri pomeriggi infantili come cattivo nel western-spaghetti di seconda e terza visione), che, dopo aver commesso i peggiori crimini in Sospetti 2 si converte alla distribuzione gratuita dei farmaci per i poveri dell’Africa (e per questo ci lascerà le penne)? O dell’eroico don Stucchi, ora missionario in Africa, già padre spirituale della suddetta imputata, che in tribunale rompe il segreto confessionale con il pretesto che ormai i fatti sono stati ormai acclarati e dichiarati all’autorità dalla rea confessa? O delle due gemelle che sembrano uscite fuori da un buon feuilleton ottocentesco? Potremmo continuare, ma per il momento ci fermiamo qui. Se siete disposti a passar sopra a questo e ad altro, vi divertirete sicuramente (come ci è accaduto operando una provvidenziale “sospensione del giudizio”). Ma non è questo il punto. Possibile che fior di produttori, soggettisti e sceneggiatori ritengano il “target” di questa “fiction” talmente popolare da rischiare la risata e lo sberleffo da qualche telespettatore appena un po’ più acculturato? Possibile che accanto all’azione e ai riferimenti all’attualità (peraltro negli ultimi anni sempre meno urticanti per la coscienza del pubblico medio), non si possa curare un po’ meglio l’impianto generale della storia, la psicologia dei personaggi, la credibilità di figure istituzionali anche se solo nella loro versione televisiva? In considerazione comunque che si è visto di peggio (e si vedrà di peggio) assolviamo Sospetti 3 dalle accuse perché il reato di lesa intelligenza (ancora) non sussiste.
Voto: 6 e mezzo
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