Una rilettura quasi…forzata.
Quando uno è bischero è bischero diceva i mi poro babbo (staggese), nel momento in cui ne combinavo qualcuna per la mia distrazione. E questo lato strambo della personalità lottiana mi ha accompagnato lungo la mia vita come un fatto (si potrebbe dire un fato) sicuro e inevitabile. In ogni luogo e in ogni tempo. Anche qualche giorno fa. Ho visto sugli scaffali di una nota libreria di Siena Tutto il nero dell’Italia a cura di Chiara Bertazzoni, Noubs 2007, che avevo già acquistato e recensito per “Thriller Magazine”. Però con una copertina diversa. Più lucida, colorata e allettante. Nuova copertina, nuovi racconti, mi sono detto. L’ho preso in automatico e mi sono messo a leggerlo lungo la solita strada che va verso l’aeroporto di Ampugnano, tra una strombazzata di macchina e l’incespicamento (l’ho coniata io) sui rialzi del bordo della strada stessa. Al primo racconto tutto è filato liscio o quasi. Almeno fino alla soluzione finale che mi sembrava già di averla già letta da qualche parte. Al secondo racconto, in cui compaiono nomi particolari come Nikita, Drago, Balena ecc…, un piccolo dubbio, però, mi è venuto. Che si è concretizzato al terzo racconto “Ritratto sui navigli” di Matteo Fraccaro. Copertina nuova, vecchi (si fa per dire) racconti. E qui mi è sfuggita una tipica imprecazione toscana in cui c’entra di mezzo la maremma.
Se sono distratto sono però anche ostinato. Ho deciso. Li avrei riletti tutti e avrei scritto una nuova recensione che a casa mia non si butta via niente. Anche per fare un confronto con quello che avevo pensato prima.
Belli sono questi racconti. Proprio belli. Non dico eccelsi che già ho un bel palmo di naso. Ma onesti, veri, sentiti. Curati come figli. Crudi. Disperati. E qui riprendo in pieno quello che ho già scritto (i nati sotto il segno del Toro sono anche un po’ pigri. Figurati il sottoscritto uscito dalle nebbie il 1 maggio, festa dei lavoratori…) “Legami che si spezzano, amori che si squarciano, impulsi inconfessati, violenza (verso gli altri e l’ambiente che ci circonda), favole che non ci furono, odio, vendetta, sacrificio. Tutto porta alla disperazione. E alla solitudine. Fredda, impassibile. Non c’è luce in questi racconti, non c’è il domani. Qualche volta la Nemesi che riporta l’”equilibrio” ma al punto più basso. E non c’è verbosità. Il dolore è trattenuto da una prosa asciutta ed essenziale senza tanti svolazzi retorici come un groppo in gola”.
Aggiungo che in questa seconda lettura i racconti non hanno perso il loro impatto emotivo e qualche volta mi hanno fatto perfino commuovere. Come “Il dente” di Gianni Tetti e “Perché?” di Aleks Kuntz. Per non citarne altri.
E allora ancora una volta bravi ragazzi, e bravi anche quelli che non sono più ragazzi.
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