Luogo: una cittadina della provincia austriaca, Furth, sulle rive di un lago che è la risultante immaginaria di vari luoghi realmente esistenti.
Personaggi e interpreti in ordine sparso.
Raffael Horn, psichiatra infantile, trasferitosi da Vienna con la moglie Irene, musicista, entrambi per delusioni in campo professionale; un figlio, Tobias, dislessico e comunque problematico.
Ludwig Kovacs, commissario, un matrimonio fallito con Yvonne alle spalle, un rapporto quasi inesistente con la figlia Charlotte, un presente con Marlene solo per il sesso e infine un telescopio per guardare le stelle.
Daniel e Björn Gasselik, figli di un proprietario di un autosalone, violenti, disturbati, con la testa piena degli eroi di Guerre Stellari, capaci di tagliare la gola a molti animali nel circondario.
Padre Joseph Bauer, sacerdote benedettino, con grossi problemi psichiatrici e sull’orlo della dissociazione, sempre con gli auricolari anche quando celebra messa e con una spiccata passione per la corsa.
E poi, in ordine sparso: una comunità attraversata dall’immigrazione multietnica (italiani, turchi), venata di razzismo in alcuni suoi esponenti politici; un padre, in cura da Horn, che picchia moglie e figlia; una madre in crisi depressiva post partum; un apicoltore ossessionato dai fantasmi del passato bellico; casi umani di vario genere tra i quali la piccola Katharina, diventata muta dopo che ha visto il nonno morto con la testa sfracellata.
Una “tranquilla” cittadina austriaca dunque che fa emergere un’umanità assai malata dove il compito del medico vero e proprio, Horn, e di quello per così dire “sociale”, Kovacs, è reso assai difficile dal contesto in cui si muovono separatamente ma parallelamente: non a caso chiude il romanzo una loro telefonata in cui si comunicano il nome del responsabile dell’orribile assassinio, raggiunto autonomamente attraverso gli itinerari della scienza investigativa e della psichiatria.
Nessuno si salva: anche Horn denuncia a volte un certo svagato cinismo e comincia anche a parlare ad alta voce; e Kovacs non vuole riprendere una vita familiare, si accontenta di quel poco che realisticamente può chiedere alla vita anche se talvolta alza gli occhi al cielo col suo telescopio.
Troppo facile vedere l’autobiografismo dell’autore, Paulus Hochgatterer, psichiatra ultraquarantenne dedito anche alla scrittura; troppo semplice rintracciare nel modello simenoniano (la provincia verminaio di inconfessabili segreti) l’influenza più evidente.
Meno scontato è il punto di vista dello scrittore: gli psicotici soffrono ma talvolta è come se giocassero con la loro malattia; lo psichiatra è anch’egli, a modo suo, disturbato e con problemi familiari; un finissimo velo di ironia si stende su una materia incandescente in cui thriller e indagine sociale si fondono in un continuo aggrovigliarsi di piani fino alla soluzione, sorprendente sì, ma che affonda le sue radici nel passato della guerra.
Se non fosse per qualche tecnicismo di troppo e per qualche compiacimento nell’esporre i casi esemplari nella vita professionale del dottor Horn, La dolcezza della vita sarebbe un’ottima scoperta.
Tutto “sottratto”, rimane una discreta prova in un ambito, il noir di lingua tedesca, ingiustamente dimenticato dalla nostra editoria.
Voto: 7
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