Se parlo di film noir di cosa parlo? Prendendo un qualsiasi manuale di cinema posso scoprire che il noir è una lunga galleria di assassini, poliziotti, bellissime donne più velenose del cianuro e traditori più vili di Giuda, misteri orribili, segreti mortali, corrotti e corruttori, sogni infranti e speranze distrutte, pornografia, violenza et similia. Ma non basta solo questa materia prima, ampiamente rintracciabile nelle umane vicende, per fare un film noir...
Il noir è anche un certo stile, un certo modo di illuminare e riprendere, una certa forma nella scrittura dei testi e della sceneggiatura. Insomma, una messa in scena particolare, con sue ricorrenti regole, una forma che sa da decenni far leva sui recettori estetici degli spettatori.
Il noir è dunque un contenuto e un modo di rappresentarlo ben precisi. Ma è più della semplice somma di questi elementi. E' un modo di guardare il mondo e la vita che, partendo dalla dura superficie della realtà crea storie e personaggi fortemente connotati dal punto di vista estetico ed etico. E quasi sempre segnati da un profondo pessimismo circa i rapporti umani e sociali.
Avremo modo di analizzare le strutture del noir seguendo i film che ne hanno fatto la storia. Affrontiamo invece subito la questione delle origini stilistiche del genere, e dunque spostiamoci nella Germania del secondo e terzo decennio del secolo scorso.
Siamo in un paese piegato dalla guerra persa, con una spaventosa crisi economica, in cui l'inquietudine per un futuro incerto è vita quotidiana. Il cinema invece, come accade spesso nei periodi di crisi, vive una grande stagione, diventando lo specchio delle lacerazioni del paese e sperimentando soluzioni tecniche che innoveranno il modo di fare film, lasciando il segno per decenni.
I registi tedeschi di questa stagione, richiamandosi, chi più chi meno ai dettami dell'Espressionismo, che già aveva dato i suoi frutti nel teatro e nella pittura, si impegnarono in un'analisi profonda delle possibilità ancora nascoste della tecnica e del linguaggio del cinema. Ne naquero film di grande impatto visivo, dove la fotografia e la scenografia furono impiegate in modo costruttivo per dare alle inquadrature un significato ulteriore, al di là dell'oggetto rappresentato. Tra queste pellicole troviamo i soggetti più diversi: la ricostruzione storica, il dramma sociale, l'adattamento dei classici letterari; ma i film più innovativi sono quelli che, attraverso storie calate nella dimensione del mistero, del fantastico, dell'orrore vanno ad indagare il lato nascosto dell'uomo, la sua metà oscura, quell'universo complesso e contraddittorio che da poco tempo la psicanalisi di Freud aveva rivelato al mondo.
Alcuni dei titoli usciti da quegli anni di fermento sono pietre miliari della storia e dello sviluppo del cinema. Il Gabinetto del dottor Caligari (1919) di Robert Wiene, Nosferatu (1922) di F W Murnau, Il dottor Mabuse (1922) di Fritz Lang, La strada (1923) di Karl Grune, L'ultima risata (1924) ancora di F.W. Murnau, M - Il mostro di Dusseldorf (1931) ancora di Fritz Lang, solo per citarne qualcuno.
L'uso di scenografie e fondali costruiti per esprimere un'idea e non più solo per rendere un ambiente, la ricerca sull'inquadratura e l'impiego di soggettive elaborate, una fotografia che fa della valorizzazione del contrasto tra luce ed ombra un nuovo, potente elemento di narrazione cinematografica: sono questi i principali apporti tecnico-linguistici di cui l'Espressionismo fa dono all'arte delle immagini in movimento. E sarà proprio la fotografia del bianco e del nero in lotta tra loro (quale più chiara metafora del confronto tra bene e male ci può essere?) il più evidente e duraturo contributo che arriverà dalla vecchia Europa al noir classico di Hollywood.
Tutto questo non è il frutto dell'invenzione del singolo, del geniale dispotismo del regista, ma il risultato di un lavoro di squadra, in cui i tecnici rivestono un ruolo fondamentale grazie alla capacità che hanno di agire direttamente sulla materia del cinema. Le vette che raggiunge in questi anni il cinema tedesco sono dovute alle capacità di un intera generazione, primi fra tutti direttori della fotografia, operatori, scenografi, costumisti.
E' una generazione che presto, all'inizio degli anni '30 del novecento, abbandona la Germania a causa del clima sempre più minaccioso che si sta creando nel paese, e che sfocia nella presa del potere da parte del nazismo hitleriano. Tutta la forza del cinema tedesco si trasferisce negli Stati Uniti: a parte i problemi individuali (molti sono ebrei o oppositori del regime), il fatto è che in Germania non è più possibile fare un cinema degno di questo nome.
Così un enorme bagaglio di talento e d'esperienza viene trasfuso nella lanterna magica del sogno americano. L'incontro tra i cineasti europei (molti uomini di cinema, non solo tedeschi, abbandonano l'Europa travolta dalla guerra) e l'eccezionale complesso produttivo di Hollywood porta i primi, molto spesso, a mettere in scena nei loro film le contraddizioni del più ricco e potente stato del mondo.
E' soprattutto Fritz Lang a costituire un raccordo tra cinema tedesco del primo dopoguerra e cinema hollywoodiano rivitalizzato da sangue teutonico. Anche la sua carriera americana è di notevole livello e annovera titoli che appartengono pienamente al filone, come La donna del ritratto (1944) e La strada scarlatta (1945).
Difficilmente il noir così come lo intendiamo sarebbe potuto nascere se non dove lo sviluppo capitalistico fosse stato tanto avanzato e la spersonalizzazione dell'individuo tanto violenta da creare enormi zone d'ombra in cui andare a ricercare, con una cinepresa, le cause o almeno le dinamiche del malessere umano.
Alla nascita del noir classico contribuiscono dunque più fattori: uno stile importato dal vecchio continente, la realtà socio-economica degli Stati Uniti di allora, un sistema produttivo (studio-system, star-system, politica dei generi) che affianca alla produzione di grande budget una vasta serie di B-movies che costituiscono un ottimo cantiere per idee nuove e temi più scabrosi, non ammissibili in produzioni più dispendiose; l'esperienza coeva di alcune correnti della pittura e della fotografia statunitensi (ad esempio Edward Hopper o i fotografi della New York School) che rappresentano una realtà problematica, duramente segnata dai contrasti di luce.
Per giungere all'esplosione del genere a questo punto manca solo il compiersi di un certo percorso del cinema americano, che ha il suo punto d'avvio con Greed (1923), il capolavoro di Eric von Stroheim, e che prende negli anni '30 la forma del gangster movie.
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