Sospettato di essere un terrorista, Anwar El-Ibrahimi, ingegnere chimico di origine egiziana, viene sequestrato al suo ritorno negli Stati Uniti da alcuni agenti federali e sottoposto ad uno spietato interrogatorio. Tra coloro che assistono all'ingiusto trattamento riservato ad Anwar, e ad altri come lui, c'è Douglas Freeman, un analista della CIA che prende a cuore la sua causa e cerca di favorirne la scarcerazione. Nel frattempo, Isabelle El-Ibrahimi, ignara della sorte del marito, non avendone più notizie inizia la sua ricerca disperata…
Terzo film, dopo Leoni per Agnelli e Nella valle di Elah, sulle scorie che l’undici settembre si è lasciato dietro sotto forma di restringimento, o se si preferisce di “sospensione”, delle garanzie costituzionali all’indomani dell’undici settembre, scorie tra le quali rientrano le controverse procedure speciali utilizzata dai Servizi Segreti americani contro i presunti terroristi e che si traducono in arresti e deportazioni in Paesi dove si usa la tortura per ottenere informazioni. Tema sicuramente alto questo di Rendition-Detenzione illegale di Gavin Hood (regista del film premio Oscar Tsotsi) e che come tale merita altrettanto alto rispetto. Ma il plauso al tema non si traduce automaticamente nel plauso a come il tema stesso è trattato che appare fin troppo didascalico e schematico per risultare convincente fino in fondo. La storia si dipana tra Medio-Oriente e Stati Uniti, tra decisioni spietate in nome della sicurezza nazionale e crisi di coscienza. Le prime sono affidate al diavolo vestito Prada Corrinne Whitman (Meryl Streep), le seconde all’analista della CIA Douglas Freeman (Jake Gyllenhaal). A completare il quadro, un senatore da annoverare, tanto per fare un po’ di colore, tra le fila dei democratici (Alan Arkin) ma che finisce col cavalcare col diavolo anche lui, mentre un suo assistente (Peter Sarsgaard) cerca in tutti i modi di fargli cambiare idea. Tornando alla Streep perfino lei si adegua alla mediocrità del quadro, riservandosi di tanto, a dimostrazione che comunque la classe non è acqua, a qualche occhiata in tralice quando i buoni del film tentano di metterla davanti alle sue responsabilità. Sul finire si torna sul luogo dove tutto ha avuto inizio (leggi “attentato”) per offrire un punto di vista diverso, espediente che non aggiunge nulla alla banalità dell’insieme, mentre il finale vero e proprio sembra un po’ Casablanca e un po’ Fuga di mezzanotte.
L’unica cosa a non essere per niente mediocre è la fotografia di Dion Beebe, che con le sue luci cerca di scrivere quello che la sceneggiatura si è scordata di fare.
Non rimane che continuare ad attendere Redacted di De Palma per avere, per così dire, il quadro d’insieme…
Presentato alla II^ edizione di Cinema. Festa Internazionale di Roma nella sezione Première.
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