Montare il G.P.S. nella macchina della ragazza non era stato facile. Per niente. Non la lasciava mai incustodita, mai.
Avevamo approfittato di un piccolo incidente che aveva avuto, e della temporanea permanenza nei locali di un carrozziere.
Anche così, però, fu difficile.
Il carrozziere non ne voleva sapere di collaborare.
Fortuna che esistono argomenti persuasivi.
Per un certo periodo, le cose avevano funzionato a meraviglia.
La macchina girava e la microspia funzionava alla perfezione.
Il G.P.S. è uno strumento meraviglioso per le indagini di polizia giudiziaria. Permette di ascoltare le conversazioni delle persone che si trovino in auto, o nelle sue immediate vicinanze. In più, consente di rilevarne la posizione sul territorio.
L’esatto funzionamento non l’ho mai compreso. Non mi intendo di elettronica e diavolerie simili. Io sono un tipo più concreto, un animale da strada per intendersi. Mi piacciono le ore lunghissime di un appostamento. Quelle veloci di un’irruzione pistola in pugno. Quelle ansiogene di un pedinamento. Le sigarette lanciate dal finestrino e i panini al prosciutto del salumiere all’angolo (c’è sempre una salumeria all’angolo).
Però i tempi cambiano, un po’ come la mia gastrite. Si evolvono. Prima usavamo i telefoni pubblici. Ora i cellulari. Una volta si usava il binocolo. Oggi le telecamere digitali con zoom tipo safari fotografico.
Oggi è tutto più facile. Dice il mio partner, che ha quindici anni meno di me, d’età e di servizio. E usa i computer e ogni marchingegno con la disinvoltura di un bambino. Che ormai quelli non li frega più nessuno. Una volta ho provato a giocare con la play station di mio nipote, non solo mi ha stracciato, mi ha pure preso per il culo, la carogna. Zio, diceva, ma sei proprio imbranato.
Capito?
Imbranato.
Il G.P.S., dicevo, è uno strumento eccezionale. Si mette un cosino nel motore, e quello lancia il segnale a un satellite che poi lo gira alla postazione in sala ascolto. Così sai sempre esattamente cosa il tuo personaggio fa o dice. Non c’è bisogno di fare altro che azionare un tasto di computer e ZIP, va tutto da sé.
Meraviglioso.
Tanto da farti sentire inutile.
Come una bistecca nel congelatore.
Bel tempo e cattivo tempo non durano tutto un tempo.
Che significa?
Significa che le cose cambiano, l’ho già detto. Così succede che una tempesta elettromagnetica fa sballare quel delicato e complesso meccanismo che ci permetteva di ascoltare e seguire i nostri personaggi, senza mai muovere il culo dalla sedia.
I tecnici della scientifica sostengono che è dovuto alla guerra nel golfo.
Che c’azzecca? Ho chiesto io. E loro hanno risposto che gli americani hanno posto in essere delle misure di controffensiva tecnologica. Sarà, mi sono detto. Ma guarda un po’ se i marines ora si schierano dalla parte dei banditi e ci vengono a rompere le tasche a noi. Mi sono detto.
E ora? Ha chiesto il dirigente.
Ora bisogna intervenire sul mezzo e sostituire il software. Dicono.
Capito? Mi fa il dottore.
Poco. Dico.
Dobbiamo entrare di nuovo nella macchina della tipa.
È un bel casino. Ribatto io.
Lo so, dice, però dobbiamo riuscirci. Questo è un lavoro per te.
Sì, come Superman.
Huston Huston… abbiamo un problema!! Borbotta con voce metallica da robot il mio collega.
Mi concentro. Bisogna ragionare da sbirri ora, non più da esperti informatici. Occorre elaborare un piano d’attacco.
Innanzitutto è necessario prestare la massima attenzione ai movimenti della ragazza, per capire se ci sono opportunità per fare l’intervento sulla macchina. E poi risolvere un problema su tutti: come aprire l’auto senza che la tipa se ne accorga. Già, perché non funziona come in tv, che piazzano una calamita sotto il cofano e poi seguono il bip bip sullo schermo. Giammai. Mi spiegano che l’oggetto, lo chiamano così, necessita di una fonte d’energia che lo alimenti. Quale quella che può fornire la batteria della macchina. Per questo è indispensabile fare un intervento dentro l’auto, per collegare la micro al quadro elettrico. Abbiamo un solo piccolo vantaggio: la micro è già installata, occorre sostituire il processore, roba di un paio di minuti, non di più.
Sempre che si riesca ad aprirla, però. Conclude il tecnico della scientifica, che poi è una ragazza. Mi fa tenerezza. Sarà alta un metro e un barattolo, magra come uno stecco e il sorriso limpido.
Prendi una macchina, dico al mio partner, usciamo.
Dove andiamo? Mi chiede.
Al Las Vegas Paradise.
La sala giochi? Fa.
Esatto. Voglio vedere se c’è Gigino.
Chi è?
Un vecchio amico.
Cosa dobbiamo fare, posso saperlo?
Glielo spiego.
Il Las Vegas Paradise, è una specie di mega sala giochi in perfetto stile USA. Video games ultima generazione. Simulatori di volo. Realtà virtuale. Bowling elettronico. Puoi far finta di essere Jimi Hendrix e suonare la chitarra elettrica come in una specie di karaoke. Puoi impersonare James Bond e dare la caccia al capo della Spectre. Puoi perdere una fortuna ai video poker taroccati. E se sei nelle grazie di Gigino, fare una sniffata di popper e farti le seghe nella cabina porno, dove ologrammi di Moana Pozzi e Selen si danno da fare…
Gigino è un mago dell’elettronica applicata all’imbroglio e alle ruberie. Un genio.
Entriamo. Un tripudio di luci e neon colorati. Raffiche di mitra e versi strozzati.
C’è Gigino? Chiedo a uno alla cassa.
Chi lo vuole?
Digli Walter.
Walter?
Eh!
Prende il citofono interno: C’è un certo Walter che ti cerca. Che gli dico?
Pausa.
Arriva. Dice.
Gigino arriva ballonzolando sulle sue gambette corte. È un po’ dimagrito: da centoventi a centodiciassette chili. Ci fa cenno di seguirlo. Entriamo in uno sgabuzzino pieno di aggeggi elettronici. Il mio partner si incanta a guardare tutta quella roba. Io mi siedo su una poltroncina d’acciaio e caucciù.
Ispettore, che piacere!
Piacere un corno. Faccio io.
Che c’è, problemi?
Nessun problema. A parte che ho ricevuto un paio di esposti che dicono che ai tuoi video poker si perde e basta.
Calunnie.
Calunnie un corno, Gigino, non mi fare incavolare, che sono di buon umore.
Non si direbbe. Fa Gigino.
È per via della gastrite. Dico.
Capisco.
Restiamo in silenzio.
Il mio partner ha preso da uno scaffale un coso pieno di tasti e levette, se lo rigira tra le mani e… cade.
Cavolo! Fa Gigino. Un po’ d’attenzione.
Scusa.
Sta più attento, costa un mare di soldi quel masterizzatore lì.
Ha detto scusa. Ribatto io.
Allora, che c’è?
Ho bisogno di una cortesia.
Se posso.
Secondo me puoi, che dici può? Chiedo al mio partner.
Non so, fa lui, io penso che può, chissà se vuole.
Vuoi? Domando a Gigino, che è sul perplesso.
E che ne so? Non mi avete ancora detto che cavolo volete.
Glielo dico? Ah!? Glielo dico?
Diglielo.
Be’, te lo dico. Allora: mi devi aprire una macchina.
Cosa? Ma sei pazzo!
In questa cade un altro di quei cosi lì. BUM fa, o meglio: CRASH. Ecco sì CRASH, come nei fumetti. Incredibile, proprio così, CRASH.
Insomma! Basta! Si indigna Gigino.
Scusa, mi è caduto.
E che caspita però.
Attento, dico io.
Ho chiesto scusa. Mica l’ho fatto apposta. È caduto da solo. Mi dispiace.
Hai sentito, non l’ha fatto apposta.
Non se ne parla. Io ho chiuso con quelle cose lì, e lo sapete.
Gigino! Niente bugie…
Davvero.
Il mio partner prende un altro affare.
No! Quello costa una fortuna! Uffa… va bene. Di che si tratta?
È una cosa semplice, devo aprire una macchina senza che nessuno se ne accorga. Non ti preoccupare però, è una cosa lecita.
Già. Che macchina è?
Un’Alba.
Alba. Ultima serie?
Sì, fa con la testa il mio partner.
Be’, allora è facile. Vedete, queste macchine hanno la chiusura centralizzata e antifurto che si aziona con la chiave telecomando. Basta questo cosino qui.
Prende da uno scaffale una scatola grande quanto un telefonino. Me lo mostra.
Allora, bisogna solo che vi mettiate vicino all’auto in questione, appena la persona scende, azionate questa levetta e parte un impulso che intercetta la frequenza del telecomando. Poi basta azionare questo pulsante e CLAC si disattiva l’allarme e la chiusura centralizzata.
Basta così?
Esattamente.
Wow. Fa il mio partner.
Caspita, dico io.
Incredibile eh? Dovete avere solo l’accortezza di essere vicini alla macchina diciamo quattro cinque metri.
Occhei. Grazie Gigino. Ci vediamo.
Ci alziamo e usciamo.
E per quegli esposti, cosa facciamo? Chiede.
Quali esposti. Rispondo.
Che bastardi. Dice.
E una è fatta.
La prossima mossa è beccare la tipa. E la fortuna ci assiste. Dalla sala ascolto mi informano che, secondo quanto emerge dalle intercettazioni telefoniche, la ragazza nel pomeriggio uscirà con la mamma per andare a fare compere. Mi dico che saranno ben contenti i negozianti per le spese che faranno le due. La moglie e la figlia di un latitante per traffico internazionale di stupefacenti, spendono bene. Tanto i soldi mica sono lavorati.
Li becchiamo all’uscita di casa. Ho predisposto tre macchine con una sola persona a bordo, perché si sa gli sbirri vanno due a due. Più la quarta dove ci sono io e la collega della scientifica, un’innocente coppietta.
I ragazzi tengono il pedinamento esattamente per tre minuti. Poi la perdono. Fortuna che io non mi fido, e mi sono messo alle calcagna dell’Alba. Fanno qualche giro, poi si fermano davanti un parrucchiere. La situazione è questa: una strada a due corsie, divisa al centro da un’aiuola con una siepe di oleandro. Lasciano la macchina sulla corsia opposta a quella del coiffeur, così che tra loro e l’auto ci sono le piante.
Mi fermo in doppia fila esattamente dietro di loro. Faccio come mi ha spiegato Gigino.
Appena attraversano la strada, scendiamo io e la collega.
CLAC
Si disattivano allarme e chiusura centralizzata. Lei entra e si mette a testa giù per fare il suo lavoro. Chiamo il mio partner e gli dico di piazzarsi davanti la parruccheria per segnalarmi i movimenti delle due donne.
A posto, mi dice, stanno parlando con uno dentro il negozio.
Sbircio nell’auto. La collega sta trafficando con cacciavite e nastro isolante. È una situazione assurda, ci sono io poggiato alla portiera lato passeggero, con le orecchie e gli occhi ben aperti. E i passanti che vedono i piedi del tecnico arpionati al poggiatesta del sedile del guidatore. Tanto che una signora con lo yorkshire si ferma un attimo a guardare. Le lancio un’occhiata torva e quella se ne va turbata. Speriamo non chiami la volante sennò è un casino.
Passano alcuni minuti di silenzio, a parte il rumore del traffico pomeridiano.
Poi, improvvisamente il mio partner urla nella radiolina:
Occhio, occhio stanno uscendo!
Cavolo!
Do un colpetto sul parabrezza. La collega alza la testa dalla pedaliera. Le faccio cenno che dobbiamo andar via e di corsa anche.
Quella, con pollice e indice, fa segno che le manca tanto così per finire.
Vedi di bloccarle! Intimo al mio socio.
Come caspita faccio?
Non lo so, inventati qualcosa.
Fosse facile. Fa lui.
Sono davvero agitato. Mi alzo sulle punte e vedo, oltre la siepe, il mio partner che, sguardo fisso sul cellulare nella destra, finge di stare scrivendo uno sms, si piazza davanti l’uscita, come se dovesse entrare. Quelle intanto escono, e sulla porta il mio collega mette in essere un’assurda danza, fatta di passetti avanti, indietro, a destra e a sinistra. Uno strampalato valzer insomma.
Mi fai passare? Strilla la mamma.
Prego. Passi pure.
Sono sul bordo del marciapiede, ora.
La collega è ancora piedi all’aria.
Stanno per attraversare. Il traffico le blocca. Attraversano. Sono arrivate alla siepe.
Si apre lo sportello. Scende.
Quelle emergono dalle piante e in simultanea io mando l’impulso di chiusura e la ragazza quello d’apertura. Risultato: scatta l’allarme.
La collega mi cinge i fianchi col braccio destro. Io poggio il sinistro sulle sue spalle. Diamo la schiena a madre e figlia.
Che palle, fa la tipa, quest’allarme parte da solo.
Ci allontaniamo.
La prova del fuoco. Sussurra la collega appena siamo in macchina. Ha cacciato dalla borsa uno scanner, l’accende.
Fruscio… silenzio… scarica elettrica.
Siamo col fiato sospeso.
Poi il ticchettio di una freccia.
TAC TAC
Che dici, me la faccio fare la permanente? Dicono dall’auto.
Vai!! Esclamo. Sei grande. Non riesco a trattenermi dallo schioccarle un bacione sulla guancia.
Che smaltita. Fa lei.
In ufficio verifichiamo ulteriormente che il G.P.S. funziona alla perfezione.
Sono tutti allegri.
Io non proprio. Cedo la mano agli esperti di informatica.
Torno nel congelatore.
Fottutissima tecnologia.
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