Nel 1973 esce nei cinema Serpico, il film di Sidney Lumet con Al Pacino; ed esce anche un altro Serpico: il libro-verità di Peter Maas, che racconta la stessa storia e da cui il film è tratto. Ma è di un altro Serpico che parlerò qui. È il romanzo mai scritto, che avrebbe lo stesso titolo del libro e del film, e le tinte del noir. Il libro di Maas non è un romanzo in senso stretto; non è finzione, ma non è nemmeno un semplice reportage, un libro-intervista o una biografia. È la storia di Frank Serpico, raccontata senza retorica e senza pretese letterarie. Questo racconto disadorno e dimesso ha la forza e la cogenza della realtà, che se ne frega della verosimiglianza e dei meccanismi letterari, dei dispositivi narrativi a tempo. La vicenda dell’agente Serpico è la storia di un uomo che vuole a tutti i costi essere onesto, che combatte e resiste alla corruzione dei colleghi e al lassismo dei superiori, e alla fine perde la sua battaglia, rinuncia e se ne va. L’elemento forse più nero del romanzo è proprio questo. Nessuna consolazione per l’uomo che voleva solo essere un buon poliziotto, diventare detective, aiutare la gente, fare il proprio dovere al meglio delle proprie capacità: c’è solo l’amarezza e il senso di impotenza di chi è stato isolato. Alla fine Frank Serpico, a soli 35 anni, abbandona il corpo di polizia. Le sue denunce hanno portato a un processo, ad arresti, a condanne; ma è il genere di processo che serve solo a mettere a tacere lo scandalo: si puniscono i pesci piccoli, i semplici agenti, e intatti rimangono i vertici, la dirigenza del Corpo, coloro che hanno permesso la diffusione della corruzione e l’isolamento di Serpico.
La storia del libro (che è quella del film) è nota.
Nella bella postfazione, scritta di suo pugno nell’autunno del 1996 (a più di 20 anni dalla prima edizione del libro) Serpico racconta la sua vita da ex-poliziotto: i viaggi in Europa, il ritorno negli Usa per testimoniare al processo contro i suoi ex-colleghi corrotti, la solidarietà dei poliziotti di tutto il mondo, la consapevolezza che nelle persone c’è una forte resistenza al cambiamento e che l’esito della sua decennale lotta è stato pressoché fallimentare.
Se Serpico fosse un romanzo racconterebbe la frustrazione e l’isolamento di un uomo sempre più deluso e disilluso, sempre più chiuso in se stesso, più sfiduciato, che però non molla e tiene duro nonostante le forze contrarie lo spingano lontano dal suo sogno. Il romanzo di Frank Serpico avrebbe toni malinconici, quasi crepuscolari, adatti alla storia di un eroe sommerso e sconfitto, imbarcatosi per anni in una guerra che non poteva vincere e che alla fine lo ha costretto ad abbandonare il campo e a cercare altrove una ragione per vivere. Ma avrebbe anche i toni accesi dell’ira, dello sfogo rabbioso, forse dell’odio. Avrebbe la forza della convinzione e la debolezza della resa.
Ci sarebbero, nel romanzo di Serpico, la violenza della strada, della droga, del gioco d’azzardo; ci sarebbe il denaro dei criminali, la povertà dei tutori dell’ordine, l’azione e la riflessione, gli inseguimenti, le sparatorie, le puttane, i papponi, gli allibratori, i mafiosi, i tossici. Sarebbe un noir nel vero senso della parola, questo Serpico mai scritto, perché la storia di Frank ha i tratti essenziali del noir: non procede come un’indagine poliziesca, non conta sulla suspense, sull’intrigo o sui colpi di scena. Scorre lenta, ripetitiva, prevedibile, senza catarsi, senza redenzione o soluzione. È la storia, forse tragica, di una sconfitta, di una lotta impari del singolo contro il sistema, quasi un elenco di passi falsi e speranze malriposte.
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