Ho dato appuntamento a Gaetano, uno con i soldi che gestisce un buon giro di night in tutta la regione e trova sempre il liquido necessario per concludere qualche buon affare. Nessuno dei due si fidava così tanto dell’altro da volerlo incontrare a tu per tu in un posto isolato. Regola prima in certi casi: meglio un po’ di confusione, non troppa, il giusto per ragionare tranquilli. Così ci vediamo fuori dal Fuji. Ristorante giapponese di buon livello. Zona Loreto.

La cameriera ci ha dato un tavolo d’angolo, e noi due ce ne stiamo muti come pesci a mangiare uno di fronte all’altro. Come estranei. Ci studiamo a vicenda, come gatti in allerta. Fra di noi gli avanzi di un piatto di tempura sparito troppo in fretta. Prendo il boccale di birra ancora opaco per il freddo e ne butto giù una sorsata in modo così avido da procurarmi un singhiozzo.

“Non strangolarti… non siamo qui per far festa.” Forse mi legge in faccia un’espressione ebete, con lo sguardo fisso, incerto tra il sorridere e il ruttare. Non intendo rovinare tutto per colpa di una birra. Perché Natasha non me lo perdonerebbe. Visto che l’idea è stata sua.

Vetri al posto di diamanti.

Banali pezzi sintetici da rivendere a peso d’oro. Banalissimi zirconi fatti alla perfezione, e che un suo amico cinese produce in una cantina per conto della ditta di bigiotteria di un altro cinese. Ad una prima occhiata sono capaci di ingannare anche orefici con le palle.

Secondo lei sono il tipo giusto per combinare questo scherzo a qualcuno perché ho già trafficato in diamanti, e Gaetano mi conosce pure bene. In passato non l’ho mai fregato e gli ho sempre fatto guadagnare bei soldi. Adesso devo solo essere capace di agire in fretta, giocare d’impatto…

Questo è il colpo che cambia l’esistenza.

E poi via, lontano da tutto, con più di mezzo milione in tasca. Canada. E perché no. Il fascino degli inverni di ghiaccio.

Metto una mano nella tasca interna della giacca e tiro fuori una busta. L’appoggio sul tavolo e la faccio scivolare verso di lui. E Gaetano fa altrettanto con la sua. La tiene sotto il braccio. Sembra una risma di carta avvolta in una busta marrone. Le lasciamo dove sono. Quella con i diamanti e l’altra con i soldi.

“E se al posto dei diamanti tu mi avessi piazzato delle patacche di vetro?“ mi dice infilandosi in bocca un cilindretto di riso con pesce spada.

“Sarebbe vetro d’artista.” rispondo io.

“Non fare lo spiritoso.”

“Quelli che hai visto erano buoni.”

“Quelli…”

“Non ti fidi?”

“E perché dovrei?”

“Anche tu potresti aver messo nella busta soldi falsi…”

“Se vuoi puoi controllare.”

“Di fronte a tutti?... non credo che sia il caso.”

“Allora ci possiamo solo fidare…”

“Io di te e tu di me.” Concludo. E intanto penso a quanto è strano doversi fidare in una situazione del genere, soprattutto in un’epoca dove le regole sono saltate. Ma, come dice Natasha, se non si rischia non si fanno grandi colpi.

“Ho un messaggio da parte di Mimmo Corona.” Continua lui come se mi avesse letto dentro.

“Per me?”

“Mi ha detto solo che se cerchi di fregarlo ti fa vedere lui di cos’è capace.”

“Cosa gli interessa? Sei tu che paghi…”

“Io compero e rivendo a lui con una piccola maggiorazione giusto per ripagarmi del disturbo… ma Mimmo ha già dei clienti disposti a pagare bene e oltre a non voler perdere l’affare, non può rischiare di fare brutta figura con loro… ne va della sua parola… e del rispetto… capisci?”

Aspetto di vedere in quale direzione si muove Gaetano e io prendo quella opposta. Mi volto per vedere se mi ha messo qualche ombra alle costole prima di infilarmi in una stradina appena dopo l’uscita della metropolitana. Vedo da lontano l’insegna del Blue Dream, un jazz club aperto da poco, costruita con un neon azzurro appoggiato sulla sagoma di un musicista nero che suona il sax. Una voce calda dalle tonalità basse scivola in strada. È una voce di donna, accompagnata dagli accenti secchi della batteria. Mi accompagna mentre entro nella penombra del locale con la voglia di una vodka con tabasco e peperoncino.

Dietro il banco trovo il mio amico Oscar, di spalle a una gigantografia di Dizzie Gillespie che gli fa da scenografia con le guance dilatate come un vecchio rospo a stringere l’immortale tromba.

“La solita?” E io gli strizzo l’occhio, mentre lui prepara quello che ho chiesto, poi si piega sotto il banco e si rialza porgendomi un pacchetto.

“Il ragazzo ha fatto un buon lavoro, credo che dovresti dargli almeno cento euro per il disturbo.”