"L'arte intrattiene con il male dei rapporti intimi. Il male è la sua forza, il suo soggetto, la sua ragion d'essere. (...) Per questa ragione l'arte, in presa diretta con la società che critica, ha una dimensione messianica universale; si fa eco delle lotte che scatenano fra le forze cosmiche, che muovono popoli e nazioni; collega la creazione e la redenzione. L'arte che mette in scena l'apocalisse è una scienza della storia, che dipinge la lotta fra le potenze del male e il trionfo del bene che conferisce un senso universale alle situazioni quotidiane. (...) C'è un genere che manifesta in modo esemplare i rapporti dell'arte con il male: il genere poliziesco. Il romanzo poliziesco è la chanson de geste dell'età moderna, che riporta alla luce una struttura, inalterabile, originaria del romanzo: la lotta fra il bene e il male. I rappresentanti della legge e della società, gli eroi mitici, i cavalieri della tavola rotonda, sono i commissari, i detectives, gli inquirenti. Il poliziesco è il genere iniziatico moderno, grazie al quale la ricerca trasforma, di volta in volta, la personalità del poliziotto e del criminale (per esempio ne Il silenzio degli innocenti, la psicoanalisi reciproca dell'investigatrice e dell'assassino). In letteratura, nel romanzo poliziesco (e in quello fantascientifico) si rifugia la dimensione sociale e metafisica del male. Gli antenati del romanzo poliziesco sono la Bibbia e i Vangeli. Chi ha ucciso Gesù? Ecco il vero problema dei Vangeli, non ancora risolto. Del pari, tutti i grandi romanzi sono narrazioni di crimini: La principesse de Cleves, Les Miserables, sono storie di delitti passionali o di affari criminali, Madame Bovary è qualcosa di vero, e così anche i romanzi di Zola, di Balzac..."

 

Nel trattato filosofico Piccola metafisica dell'omicidio della francese Eliette Abécassis, queste righe dell'ultimo capitolo sono le uniche in cui si parli esplicitamente di narrativa poliziesca. Tali brevi accenni giustificano la recensione di un trattato filosofico sulle colonne di ThrillerMagazine?

L'agile libretto (appena un'ottantina di pagine) è una sorta di compendio di tutto ciò che riguarda il problema dell'omicidio, e del male in generale, da un punto di vista prettamente metafisico. L'autrice esamina i tentativi di analisi e di risposta che sono stati dati tradizionalmente alla grande domanda "perché esiste il male" (tirando in ballo Dio, la gnosi, la storia, la memoria, la filosofia) e rintracciando nel male tre princìpi di fondo: la scissione, la comprensione e il contagio. La Abécassis fa ampio uso di esempi tratti dalla Shoah per esplicare i suoi passaggi e i suoi ragionamenti: la scissione per esempio è stata incarnata tragicamente dalla ferrea burocrazia del regime nazista (scissione della responsabilità dall'atto compiuto, in questo caso), che consentiva la deresponsabilizzazione dei soldati addetti allo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento. La comprensione diventa un principio del male quando tenta di spiegare la psiche di un serial killer o la genesi storica del nazismo e riduce l'essenza del male fino a farla scomparire; il contagio nasce, parallelamente, dal fatto che il male genera altro male, in una spirale vertiginosa in grado di condurre all'abisso più totale e disumano.

Il saggio della Abécassis è una sorta di piccolo condensato di grandi pensieri, forse di non immediata accessibilità per chi non è avvezzo alla filosofia (ma bastano normali studi liceali per potersi accostare senza problemi a questo libretto): esso è comunque di sicuro interesse per chiunque abbia a che fare con un genere letterario in cui è cosa comune porsi il problema della metà oscura dell'animo umano. Dove il saggio dà il meglio di sé è infatti nell'ultima parte, in cui l'autrice elabora tre possibili risposte al problema del male: la politica come istituzione che fonda la reciprocità fra gli individui, la giustizia (inseparabile dal perdono, ma gravata dall'handicap di avvenire comunque dopo l'omicidio) e soprattutto l'arte, di cui la narrativa poliziesca diventa la più moderna e popolare delle manifestazioni. Già da tempo la letteratura e il cinema sono passati dalla detection fine a se stessa, in cui la domanda che guidava l'investigatore era "chi ha commesso questo delitto?", al noir e alle sue inquietudini sulla società, che suscita domande del tipo "com'è stato possibile un delitto del genere?". Piccola metafisica dell'omicidio suggella definitivamente questo passaggio ricordando che anche la narrativa di intrattenimento può essere investita di un compito molto alto.

 

"Perché l'arte, se non per esprimere il delitto nella società? L'arte, contestatrice nella sua essenza, c'è unicamente per denunciare, per vomitare il mondo. Non per lavarlo, non per descriverlo, non per dare un senso a un mondo assurdo, non per gratificare, appagare, non per evadere dal mondo: non per criticarlo, ma per vomitarlo. Come afferma Nietzsche: "nessun artista tollera la realtà". Da questo sentimento nasce l'arte. Per questa ragione, ancorché epurata, ancorché classica, l'arte è violenta. Anche quando parla di amore, l'arte denuncia l'amore. Svela ciò che vi è di comico, di metafisico, nella vita, che è la lotta fra le forze del bene e del male. In ciò l'arte è un'apocalisse, che consiste nel dire ai mortali: pentitevi! Guardatevi e fate penitenza, giacché la fine del mondo sta per venire! L'artista in lotta contro il male afferma: e se non ne resta che uno, sarei io costui. L'artista è il profeta. Non è l'incensiere, il tappeto rosso del monarca; non trascrive, non ascolta le sue parole sagge. Né fedele, né nostalgico, non prova emozioni: sputa sulle tombe. (...) È l'uomo del mito: del mito delle origini, del mito della fine. L'artista sa che ciò che accade sotto i suoi occhi, nella società, ha una sua risonanza nell'universo, e chiede al lettore di aprire gli occhi ed esaminare gli eventi per scorgervi i processi segreti, le catastrofi e le crisi che coinvolgono la condotta degli uomini."