Alcuni scrittori usano le parole come coltelli. Incidono la realtà per mostrarne le viscere, per mostrare l’ “anima carnale” del mondo che ci circonda. Per farlo non bisogna solo avere un’ottima scrittura. Bisogna avere il coraggio di gridare in una sala gremita e avvolta da un profondo silenzio. Bisogna vincere la vergogna ed alzarsi nel bel mezzo di quella sala e gridare in mezzo a centinaia di persone che ti guardano come se fossi pazzo.
È raro trovare scrittori coraggiosi. È molto comodo scrivere di situazioni irreali. Non si attirano le ire e le antipatie di nessuno e si dorme tranquilli, consci di aver fatto bene il proprio mestiere. Eppure ci sono scrittori che hanno ancora una coscienza intellettuale. Ci sono scrittori che di fronte alla realtà non riescono a distogliere lo sguardo. Ci sono autori che se si esimono dallo scrivere alcune cose viste coi loro occhi, non riescono a dormire. Ci sono scrittori che in quella maledetta sala zeppa di gente e silenzio non riescono a stare seduti in completo mutismo, come gli altri. Ci sono alcuni scrittori che non possono fare a meno di alzarsi e di gridare che viviamo in un mondo di merda.
Non possono fare a meno di gridarlo finchè la gola gli va in fiamme.
Gridano attraverso le pagine dei loro libri.
Questi scrittori sono pochi.
Francesco Abate è uno di questi.
Francesco Abate nasce a Cagliari nel 1964. È giornalista per il quotidiano sardo di punta, e scrive soprattutto di nera. Ha un passato da Dj nei club dell’isola che non riesce a seppellire. Spesso lo si incontra ancora dietro i piatti con il nome di Frisko, e si diverte come – e forse di più – di quando aveva vent’anni di meno. Come scrittore ha al suo attivo: Mister Dabolina (1998-Castelvecchi), Il Cattivo Cronista (Il Maestrale), Ultima di Campionato (Il Maestrale-Frassinelli), Getsemani (Frassinelli 2006), inoltre ha scritto in coppia con Massimo Carlotto, Catfish (Aliberti 2006), e Mi Fido di Te (Einaudi 2007), una nuova edizione del suo primo romanzo: I ragazzi di città: Mister Dabolina remix (Il Maestrale).
Abate ha parecchie caratteristiche non comuni che lo svincolano da qualsiasi etichettatura e lo differenziano da la maggior parte degli autori italiani. La prima differenza è che, per tematiche e punti di vista dei protagonisti, i suoi libri sono l’uno diverso dall’altro. Il Cattivo Cronista, racconta appunto di un giovane cronista di nera laureato in cancro dell’anima. È un bastardo che manipola le notizie a suo piacimento. Nella vita privata è ancora più figlio di puttana. Ultima di Campionato, è narrato in prima persona da un giocatore professionista di calcio di serie A, dotato di un talento immenso, ma che si trova ad odiare il calcio, il suo mestiere, preferendo i libri e una vita anonima che non può avere. Maledice il suo talento e la gloria che, invece, tutti gli invidiano. Per questo decide di farla finita. Getsemani, è quasi inclassificabile. Racconta di un quartiere residenziale dove regna la falsità. È un’aspra critica alla società attuale, senza cadere mai nella nebulosa retorica, anzi, con una scrittura tagliente, ironica e irriverente, fa sorridere il lettore ma, allo stesso tempo, gli smeriglia il cuore.
Oltre all’originalità dei suoi libri, come detto in apertura, Abate ha coraggio. Non si vergogna a sfatare tabù e pregiudizi e immerge le sue parole nella melma oscura del perbenismo, togliendo con le unghie il make-up alla bella società, ci mostra dove si annida il marcio, sempre senza annoiare il lettore.
Un breve cenno anche ad un’altra caratteristica dello scrittore sardo: l’originalità della scrittura. In Abate non si sente mai una frase che puzza di già sentito. Le sue figure retoriche sono sempre fresche e colpiscono come proiettili. Il suo stile profuma di smog di città, di graffiti e disillusione, ma allo stesso tempo di saggezza da bar di discoteca, e a volte, proprio quando non te l’aspetti, di poesia pura.
Oggi lo rovesciamo dal suo ruolo di giornalista e lo facciamo entrare nella sala degli interrogatori per capire meglio chi è Francesco Abate, il Cattivo Cronista.
Per prima cosa, Francesco, ti ringraziamo per aver scelto di partecipare a quest’ “interrogatorio”.La prima domanda riguarda la scrittura. Tu sei un giornalista e allo stesso tempo uno scrittore, quindi immagino che la scrittura abbia un ruolo molto importante nella tua vita. È sempre stato così? Mi viene da chiederti se più che una passione la scrittura, per te, sia una malattia. Quanto tempo passi in media a scrivere?
Una bella malattia che è diventata professione. La più bella professione che potessi scegliere. Ho iniziato come collaboratore dell’Unione Sarda quando avevo 19 anni,e il mio sogno di allora era vivere di questo. Oggi che ne ho 43 mi posso dire soddisfatto. Scrivo molto. Alla scrittura creativa dedico almeno tre o quattro ore al giorno. A quella giornalistica altre otto.
Come ti sei avvicinato ai libri?
Sin da bambino. La mia è una famiglia di forti lettori. Lo erano i miei nonni, lo erano i miei genitori. Ho avuto a disposizione da subito una biblioteca immensa. E ho divorato tanti libri a volte con coscienza a volte no.
Se domani svegliandoti scoprissi di essere l’ultimo uomo sulla terra, pensi che continueresti a scrivere soltanto per il piacere di inventare e ascoltare le tue stesse storie?
Scriverei per non morire e per lasciare una testimonianza.
I tuoi libri sono fortemente legati alla tua città natale, Cagliari. Che rapporto hai con Cagliari, e come si riversa questo rapporto nei tuoi libri?
Come tutte le città in cui si nasce esiste un forte legame. La amo per ciò che di buono ha. La odio per ciò che potrebbe essere e non è a causa di pochi che decidono per i molti che spesso lasciano che tutto scorra senza reagire. Cagliari è un luogo dolce e amaro allo stesso tempo. Quando pensi di averla in pugno ti sfugge. Quando credi di averla persa, si offre a te. E una città che si regge su strane regole e stare in equilibrio per non cascare giù è molto difficile.
Se dovessi descrivere Cagliari a chi non l’ha mai visitata con tre aggettivi, quali sceglieresti?
Dolce, intrigante e bastarda.
Una domanda bastarda. Il protagonista de Il Cattivo Cronista è un vero figlio di puttana. Come te è un giornalista. Come te ha un’ottima scrittura. Come te è affascinato dalla Cagliari notturna. Mi viene da chiederti, ma avete in comune anche la bastardaggine? D’altronde per scrivere certe cose, prima bisogna pensarle… Quando c’è di te in Rudy? Sii sincero. Quanto sei cattivo?
Non è importante quanto io sia cattivo né quanto questo abbia influito nella realizzazione e caratterizzazione di un personaggio duro, amorale, fetente ma anche carico di umanità come Rudy Saporito. Ciò che conta è la dose di capacità che un autore dimostra nel riuscire a calarsi nei panni del personaggio che sta delineando e descrivendo nel libro. Il suo lavoro è come quello di un attore. A Robert De Niro non gli chiederesti mai se è veramente mafioso, un poco assassino, un po’ pazzo, un po’ melanconico, eroe triste o tracotante canaglia. L’attore interpreta, lo scrittore ancora di più. Di me in Rudy Saporito c’è la conoscenza di un mestiere, di un mondo e delle regole che lo governano.
Dai tuoi libri si nota subito che sei un osservatore spietato. Ogni tuo libro è strettamente legato ad un certo tipo di realtà, e spesso racconti di ambienti e situazioni che di solito si tende ad evitare di descrivere nel dettaglio. Penso per esempio alla redazione di un giornale, o agli oscuri meccanismi societari in cui spesso i calciatori vengono incastrati, o la sofisticazione alimentare, per restare al tuo ultimo romanzo Mi Fido di Te. Quanto le tue opere e la tua scrittura dipendono dalla realtà che ti circonda? E quanto spesso il narrare di situazioni delicate e scomode col tuo stile tagliente e diretto ti ha creato dei “problemi”?
Il mio scopo è cercare di raccontare il presente. Perché chi verrà dopo possa avere una testimonianza. Un piccolo tassello del grande mosaico che compone la vita di un secolo che si è concluso e di un altro che avanza. Il poeta Alberto Masala ha dato una definizione di me di cui vado molto orgoglioso. Masala ha detto: “Abate è lo scrittore del quotidiano”. E di questa affermazione mi vanto come una pavone. Riguardo alla mia scrittura volutamente essenziale, rapida, ritmata, è la mia scelta di narrazione. Può piacere oppure no, mi ha procurato molte critiche e anche lodi. Dipende. Non mi spaventano le prime, non mi condizionano le altre. Vado avanti.
Tu sei uno scrittore molto diretto e in un certo senso aspro, se non altro perché spesso i tuoi romanzi vengono narrati in prima persona da delle persone non proprio per bene. Nei tuoi libri le descrizioni colpiscono prima allo stomaco che al cuore. Ho una curiosità: hai mai scritto qualcosa di talmente bastardo o scomodo che sei stato costretto ad autocensurarti prima che qualcuno lo leggesse?
No, mai. Mai autocensurato in letteratura. Forse non sono così cattivo come sembrerebbe. Nei miei articoli di giornale, invece, sì. Più volte mi sono reso conto che una frase troppo schietta, una parola troppo dura sarebbe stata offensiva nei confronti del lettore. E ho evitato.
Lentamente, con le tue ultime opere ti stai accostando sempre più al genere noir, inteso come genere che scava nel torbido. Ti riconosci in questo accostamento, e ci puoi dare una definizione di cosa è il noir per te?
No. Non faccio noir. Credo di scrivere invece delle commedie. Ciniche, aspre, scomode ma non noir in senso stretto. Non racconto una verità criminale dalla parte del cattivo. Racconto la società moderna, che sguazza -questo sì- nel torbido. La racconto attraverso carnefici e vittime, tormentati e tormentatori, vincitori e perdenti. Credo di scrivere delle commedie nere che portano sempre una alta dose di umorismo cinico e spietato. Sono molti i passaggi nei miei libri in cui spingo (non so se ci riesco) il lettore verso la risata a cui seguirà un velo di amarezza.
Questa è un’altra domanda bastarda, perché ti vede coinvolto su ambo i fronti. Secondo te oggi la verità si trova sui quotidiani o nei libri?
Si trova su tutte e due i fronti. Ma secondo codici espressivi diversi, raggiungendo pubblici diversi. Un fatto è però certo, oggi in Italia il giornalismo investigativo e di denuncia ha un ruolo sempre più marginale all’interno del panorama informativo classico. Però è anche vero che l’informazione giornalistica ha trovato sfogo in maniera più libera su internet. Cosa impensabile solo dieci anni fa, e forse pure meno.
Che differenze ci sono tra un giornalista e uno scrittore “noir”? E quali sono, invece, i punti in comune?
Sono due lati della stessa medaglia. Due facce che guardano alla realtà e la raccontano su media diversi, con stili diversi per lettori diversi. Una racconta la cronaca, l’altra va oltre la cronaca verso la trasposizione letteraria. Una segue delle regole, l’altra delle altre. Un buon giornalista non è detto che possa essere un buon scrittore e viceversa. Servono sensibilità differenti, conoscenze differenti, scuole diverse. Se uno possiede tutte e due le arti credo sia molto fortunato. Ma non è facile. Ci vuole molta dedizione e fatica. Oppure si ha un grande talento.
La musica ha un ruolo molto importante nella tua vita. Ti accompagna anche nel processo creativo? C’è qualche brano o qualche musicista che ti aiuta a trovare l’ispirazione?
La musica è la mia vita. Ho una collezione di dischi e cd molto robusta. Non li conto per scaramanzia. Ma riempiono dal soffitto al pavimento le quattro pareti di una stanza non piccola. Ho sentito tanti concerti, ne ho organizzato moltissimi. Ho fatto il dj dai 14 sino ai 42 anni. Mia figlia Giulia ha 14 anni e anche lei è una appassionata che mi fa conoscere nuovi suoni e nuove band. I miei migliori amici sono musicisti o dj. Cos’altro posso dire…è ovvio che quando scrivo tutto questo emerge.
Ti piacerebbe fare il Dj notturno come Catfish, il personaggio che hai creato con Massimo Carlotto?
Mi è piaciuto molto essere un Catfish. La mia carriera è iniziata così, in radio. Avevo 14 anni e facevo un notturno su Radio Alter, la radio del Movimento di Cagliari. Da lì è partito tutto e ho proseguito a Radio Flash, poi cambiando emittenti sono andato avanti sino a circa dieci anni fa.
Tra i libri che hai scritto finora, qual è quello a cui sei più legato e perché?
Quello che dovrà uscire, perché il nuovo nato è quello a cui vuoi più bene. Però se mi guardo indietro credo che non esista un figlio preferito. Ognuno di loro mi ha regalato qualcosa. Non voglio fare una classifica. Ma posso dire che quello che mi ha più emotivamente coinvolto è stato Ultima di campionato, quello che mi ha fatto più crescere Mi fido di te. Quello che mi ha sdoganato da un fragile esordio è stato Il cattivo cronista. Catfish mi ha fatto molto divertire. Getsemani invece è stato quello che mi ha richiesto più sforzo ma credo non abbia raccolto ciò che speravo. Che non significa fosse quello che meritavo. Però ho la sensazione che sia stato sottovalutato e forse per questo lo amo molto, come quei figli che gli altri scacciano.
Se domani ti ponessero un ultimatum dicendoti “Ora basta, Abate. Devi scegliere. O fai lo scrittore o fai il giornalista, ma non tutti e due.” Cosa sceglieresti?
Secondo voi?
I tuoi scritti sono facilmente riconoscibili dal tuo stile molto personale. Per la creazione e la maturazione di questo tuo stile ci sono stati, e ci sono, degli autori a cui ti sei ispirato o che vedi come modelli con i quali misurarti?
Ci sono dei modelli dai quali si parte ma poi bisogna metterli a profitto per far germogliare uno stile proprio. Ho amato tantissimo Carver per lo stile. Tondelli per l’analisi sociale e le atmosfere. Ethan Coen per l’ironia e il sarcasmo. McYnerney per gli ambienti e le psicologie. Carlotto per le trame e le strutture narrative. Ma, e questo potrà sembrare strano, prima per amore poi per attenta analisi è la commedia italiana e francese del cinema degli anni Sessanta che mi lascia ipnotizzato.
Se potessi avere un “pass” speciale in grado di permetterti di resuscitare e rapire per un paio d’ore uno scrittore defunto con cui parlare un po’ di libri e della vita in generale, chi sceglieresti?
Pier Paolo Pasolini. Nessun Dubbio.
Immagino che per i tuoi libri abbia raccolto non soltanto critiche positive, ma anche qualcuna più dura e graffiante. Ci puoi dire qual è stata la più bastarda finora?
Nessuna. Quando uno si propone e si mette in gioco deve mettere nel conto la critica. E la deve saper accettare. Poi c’è il venticello che ti arriva alle spalle, una volta per questo genere di critiche c’erano i cessi dei bagni pubblici oggi i forum anonimi su internet. Ma non c’è differenza, valgono il tempo di un mal di pancia.
Ci puoi scrivere la frase di un tuo libro a cui sei particolarmente legato, o che sintetizza in un certo senso il Francesco Abate scrittore?
Siamo una società basata sul profitto, e io cerco solo di tenermi a galla.
Cosa stai leggendo in questi giorni?
Quattro libri in contemporanea. Tomka il fumetto di Palombo e Carlotto. La nebbia dentro di Sergio Pent, La cortina di marazapane di Heman Zed e sto rileggendo L’eterno marito di Fedor Dostoevskij
Ci puoi consigliare un libro, un film, e una canzone che ti hanno segnato?
Il film: Amarcord di Fellini, Promise Land il brano di Joe Smooth, Sulla strada di Kerouac.
Ci puoi anticipare qualche dettaglio sulle tue prossime uscite editoriali?
A gfine ottobre è uscito I ragazzi di città. (Mister Dabolina Remix). Si tratta della riscrittura del mio primo romanzo Mister Dabolina uscito per Castelvecchi nel 1998. Come ho scritto nel mio sito: Non è una ristampa ma una nuova interpretazione con la sovrapposizione di una nuova trama che fa partire il libro dall’adolescenza dei protagonisti e li porta molto oltre il finale della prima edizione. Con un inedito inquietante finale. Questo nell’immediato, nel futuro… chissà
Ti ringraziamo ancora per averci dedicato un po’ del tuo tempo. A presto e buon lavoro “cattivo cronista”.
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