Che cos’è la paura? Io ho paura di tante cose ma sono un tipo che finge di non averle e si butta. Ad esempio ho paura del vuoto (soffro di vertigini) ma sono arrivato anche sul mitico Machupichu, rischiando voragini abissali, e sono salito sulle Piramidi dei Maya. Lì per la verità, se non fosse stato per merito di un mio amico, che lentamente mi ha fatto scendere, ancora sarei lassù, omaggiato dai turisti come un idolo. Soprattutto ho paura per colpa di quello che invento, nel senso che quando entro in una stanza buia temo sempre di essere colpito alla testa da qualcuno in agguato, dietro a una porta o in un angolo nascosto. Oppure, se cammino per le strade buie, immagino creature mostruose nascere dal nero della notte e ingoiarmi. Però se posso non accendo la luce e continuo a sfidare l’insolito. Perché ho paura dell’ignoto ma ne subisco il fascino. Tutti noi abbiamo paura della paura ma ne siamo anche affascinati. Credo che sia, anche se non tutti la confessano, una prerogativa essenziale per chi scrive storie del mistero. Il fascino dell’insolito si chiamava una serie che ho curato e nella quale ci sono alcune delle mie opere più riuscite, scritte e dirette, come La mezzatinta - molto liberamente ispirata al racconto gotico di Montague James, al punto di portarla a oggi e ambientarla nelle meravigliose ville vesuviane - e La casa della follia da un racconto fantascientifico di Richard Matheson.
Sono concreto invece sul cibo e per chi mi conosce non è difficile credermi, data la mia mole. Nella mia ormai lunga vita sono stato fisicamente diverse persone, grassoccio, magro, magrissimo (qualcuno non mi crederà ma è vero, quando facevo l’aiuto nel film Gli indifferenti spesso Gianni Di Venanzo, un grande mago della fotografia purtroppo scomparso, mi utilizzava come controfigura di Tomas Milian e qualcuno si ricorderà di quanto era magro e bello Tomas allora), di nuovo massiccio. Io amo mangiare e amo cucinare. Per merito o per colpa della mia passione per i viaggi, ho anche girato il mondo e qui ho sfogato tutta la mia curiosità, nel senso che, quando vado in un paese, mangio solo il cibo di quel paese perché anche quello è un modo per conoscere la sua cultura. Mangiare è cultura, come amare, ma di questo parleremo dopo. Preferisco il salato al dolce ma a una fetta di sacher-torte con panna, da mangiare seduti al Sacher caffè di Vienna, con sottofondo di valzer, non resisto proprio. E in Asia ho mangiato anche il serpente, al pipistrello però ho detto no. Non sono poi così scemo. Da quello che ho detto prima, si capisce che uno come me è costretto ogni tanto a diete ferree, dove sono un bravissimo soldatino, rigorosamente obbediente, che riesce a perdere tanti chili. Dopo, mi rilasso e in poco tempo li riprendo tutti. E anche qualcosa in più. Diciamo però che il peso non è tanto un problema estetico ma di salute. Anche se non arrivo a ripetere la stupidata di “grasso è bello” diciamo che problemi con le fanciulle non li ho mai avuti. Almeno non per colpa del peso.
Il mio corpaccione l’ho curato in modo diverso, a periodi, a volte sono stato elegantissimo, con giacche, anche di cachemire, e cravatte, a volte mi sono vestito con le prime cose che trovavo vicino al letto. Da qualche anno ho la passione per le robe che mi compro in Kenya, dove vado spesso l’inverno, quindi giro con casacche coloratissime, di tutte le fogge. Diciamo che non cerco di passare inosservato. E lo stesso vale per i capelli: li ho portati lunghissimi, sciolti e anche con coda, ma adesso li ho tagliati. Con moderazione, sempre lunghi sono. Con la barba, prima molto lunga, ci sono andato pesante, ora è cortissima. Forse la vera ragione da trovare è perché diventata bianca. Mentre i capelli, nonostante gli anni, sono neri e non li tingo, ve lo posso giurare.
La mia città è Roma che conosco benissimo e amo ancora di più, anche se adesso è diventata molto diversa da quella che conoscevo.
Passando al lavoro della scrittura, intanto va detto che io sempre vissuto di scrittura nelle varie branche che ho frequentato. Non ho mai fatto altri lavori da quando avevo 20 anni e decisi di dedicarmi professionalmente allo spettacolo. Abbandonando anche gli studi di giurisprudenza. Per fortuna nel 1966 – durante una delle ricorrenti crisi del cinema che aveva coinvolto anche me – decisi di finire gli studi e presi la mia bella laurea. In diritto amministrativo con una tesi – indovinate un po’? – sul cinema. Studi che mi servono adesso che mi occupo del diritto d’autore e faccio per me e per i miei colleghi battaglie sindacali piuttosto vivaci. Ma questo è un altro discorso.
Come scrittore, sia quando lavoravo per la tv e per il cinema sia adesso per i romanzi ho sempre avuto il terrore della pagina bianca. Chi dice il contrario è un bugiardo, perché scrivere è un piacere ma anche un dolore. Non credo di esagerare se il primo paragone che mi viene in mente è quello del parto. Anche se noi maschietti non sappiamo realmente come sia. Per superare tale terrore, nella mia vita ho fatto ricorso a molti trucchi, il più efficace e usato era quello di arrivare fino all’ultimo giorno valido per la consegna dei copioni. Quando non avevo più modo di evitare di scrivere, allora non mi restava altro da fare che lavorare giorno e notte per consegnare il testo, non nei termini prescritti ma almeno con un ritardo giustificabile e umanamente comprensibile. Con i libri, i rapporti non sono così perché le consegne sono più elastiche, ma sempre rimando il momento dove quello che mi frulla in testa va riversato sulla carta. Anche per scrivere questa sorta di confessione sono in ritardo di una settimana, rispetto alla data che avevo promesso a Smocovich.
Adesso con gli anni ho perfezionato un modo di lavoro che può sembrare strano: mentre svolgo le pratiche della vita quotidiana, sviluppo i temi che ho in testa, scrivendo mentalmente il testo.
Uno dei doni che mi riconosco è quello di saper tagliare sia per quanto attiene alla struttura del racconto sia, soprattutto adesso, nello stile di scrittura, tendendo ad asciugare sempre di più, ad avere un linguaggio secco, scarno, efficace come un tiro di pistola. Il mio amico Mirabella, presentando il mio ultimo libro Io sono la prova (Flaccovio editore) ha detto che la mia scrittura è innocente, termine poetico che mi è piaciuto molto perché certifica che sono riuscito a limare, togliendo orpelli e involuzioni, arrivando a uno stile che, con efficacia immediata e con profonda innocenza, raggiunge e colpisce l’attenzione del lettore. Sapere di essere capace anche di tagliarmi, mi permette di essere molto scatenato nella prima versione, dando retta a tutto quello che mi viene in mente. Riversando su carta quanto ho in testa senza controllo né pudore, perché poi quando rileggo – dopo qualche giorno - taglio come se quelle cose le avesse scritte un altro. Con la stessa giusta ferocia che proverei per le opere altrui.
Per quanto concerne l’organizzazione delle mie giornate, da quanto ho scritto si capisce che non ho un ordine preciso, a volte scrivo dieci minuti al giorno a volte anche ore e ore. A volte non scrivo per un lungo periodo perché me ne vado in giro per il mondo. Diciamo la verità, l’età spesso è foriera di guai e di problemi, ma a volte ne risolve alcuni.
Sono un pervicace disordinato che ha bisogno di pensare alle cose nei modi e nei momenti più strani, fin quando, a un certo momento, la scrittura nasce quasi spontanea. In realtà per giorni faccio altro, spesso gioco con il computer o disegno su carta scarabocchi, che tento di far passare per disegni astratti. Molti sarebbero da far analizzare a qualche psicoanalista ma ho paura di quello che potrebbe dire, quindi ho sempre evitato. Diciamo che scrivo molto velocemente ma ci penso sopra – rimugino, mi viene da dire – per tanto tempo, ho bisogno di inghiottire e digerire la storia che sto per partorire. Mi piace usare questo verbo forse per sottolineare il lato femminile del mio carattere. Di cui sono orgoglioso e che è stata sempre utile per due cose soprattutto: saper creare personaggi femminili riusciti, come hanno sempre sottolineato tanti critici, a volte attribuendo il merito al fatto che lavoravo con mia moglie, Diana Crispo. La seconda cosa è stata di avere buoni rapporti con il mondo femminile anche nella vita. Questa non è una confessione maschilista né un gossip ma soltanto l’ammissione di aver sempre avuto rapporti più facili di amicizia e di comprensione con le donne. E poi a volte …ma per il resto, meglio far scendere una cortina di silenzio. La discrezione è segno caratteristico di un gentiluomo. Una mia amica – molto più giovane di me - mi ha fatto il più bel complimento che potessi desiderare: ha detto che sono un signore, vero signore. E non parlava ovviamente di denaro.
È imbarazzante rispondere alla domanda se sono simpatico. Non lo so, certamente sono un entusiasta e mi piace stare con gli altri, tendo a essere un collante, a unire più che a dividere. A volte però non ci riesco e suscito antipatie clamorose. Anche perché mi occupo dei problemi della nostra categoria di autori e di scrittori, sono il presidente di un’associazione che sono riuscito a trasformare in un vero e proprio sindacato.
Non ho scaramanzie di nessuno tipo, mi butto, sono uno che ha sempre divorato tutto quello che gli viene messo davanti, dal cibo a … lasciamo perdere.
L’unica cosa che mi piace poter dire che ho pochi rimpianti o rimorsi, più o meno sono riuscito quasi sempre a fare quello che volevo. Certo ho avuto momenti drammatici - purtroppo sembra proprio che sia impossibile evitarli - ma come dice un personaggio di Io sono la prova: “il dolore, quando non ti divora, ti unisce. Se non ti soffoca e ti lascia vivere, diventa un legame profondo. Più di qualunque altro sentimento.“ Importante è che qualunque sentimento, amore e morte, dolore e felicità, ti spingano a conoscere, a comprendere, ad amare chi ti circonda. Solo così puoi essere felice, se la parola felicità significa qualcosa. Quando avrò capito cosa vuole dire scriverò un altro dietro le quinte
Certo che mi piacerebbe essere invisibile, soprattutto per motivi erotici, tutti siamo degli spioni, dei voyeur, se non lo ammettiamo è solo per ipocrisia. Io non sono ipocrita. Diventare invisibile significherebbe anche ottenere il massimo dell’auspicato dimagrimento. Ma vorrebbe anche dire sparire, non essere visto. No, a ripensarci, non mi piace l’ idea di essere invisibile, neanche sotto il profilo erotico, perché in quel caso potrei assistere ma non agire. Io sono un megalomane e un vanitoso, mi piace essere visto e se va bene (non sempre, ahimè), adoro essere protagonista. Molto visibile, data la mia mole e il mio modo di vestire. E se qualcuno invece che baci vuole gettarmi addosso pomodori (o anche di peggio), sono abbastanza resistente. E poi, diciamo la verità, uno come me mette nelle previsioni anche le antipatie e le botte. Importante è vivere, sul serio, ogni giorno sempre con la stessa fame, goduta e coltivata con tanta serenità. Ecco credo di avere trovato la parola giusta per me: ho sempre avuto e voglio continuare ad avere tanta fame. Di tutto quello che vale la pena.
Forse così ho spiegato cosa significa felicità per me. O quanto meno tentare di essere felice.
Io mi auguro che, se si vuole – a volte dipende solo da questo - per nessuno di noi ci debba essere il rischio di vivere Una vita sprecata.
Io sono la prova, ovviamente.
Biagio Proietti, autore e regista, è nato a Roma. Fra le sue sceneggiature per il cinema, Fai in fretta ad uccidermi... ho freddo, La morte risale a ieri sera (da I milanesi ammazzano il sabato di Giorgio Scerbanenco), The Black Cat di Lucio Fulci, e Chewingum e Puro cashmere, che ha anche diretto. Nel 1970 ha inaugurato la stagione dei grandi gialli televisivi Rai, scrivendo Coralba, Come un uragano, Lungo il fiume e sull’acqua, Un certo Harry Brent, Ho incontrato un’ombra, Philo Vance, Signé: Ta Claudia (prodotto dalla Televisione Belga) e soprattutto Dov’è Anna? (pubblicato anche come romanzo da Rizzoli e in via di ripubblicazione), record d’ascolto nel ’76 con 28 milioni di spettatori nella puntata finale. Sempre per la tv ha scritto Racconti fantastici da Edgar Allan Poe, Madame Bovary, e due serie di racconti del mistero Il filo e il labirinto e Il fascino dell’insolito. Nel 1980 esordisce nella regia con Storia senza parole, presentato in molti festival (Praga, Locarno, Nizza. Sorrento, Montreal ecc), premiato come miglior FilmTv e trasmesso in tutto il mondo. Da allora, Proietti è anche regista delle proprie opere: L’armadio, La casa della follia, La mezzatinta, Miriam e Sound con Peter Fonda. Per la radio ha scritto e diretto, fra l’altro, Il lungo addio e Aspetterò da Raymond Chandler e gli originali Tua per sempre Claudia e Così è la vita (coautrice la moglie, Diana Crispo). Per il teatro Proietti ha scritto e realizzato due lunghi monologhi: L’ultimo incubo di Edgar Allan Poe e Hammett n.3241. Nel 2005 è uscito il romanzo Una vita sprecata (Dario Flaccovio editore) e nel 2007 un suo racconto è nell’antologia Il ritorno del Duca (Garzanti) dedicato al personaggio creato da Scerbanenco.
È segretario generale dell’ANART (Associazione Nazionale Autori Radiotelevisivi e Teatrali) e presidente della Commissione DOR in SIAE.
Premi:
Philo Vance – Gran Giallo Cattolica
Ho incontrato un’ombra Premio Regia Televisiva
Dov’è Anna? – Premio Arte e Personalità – Gran Giallo cattolica - Premio Scalea
Storia senza parole - Best film Festival televisivo di Praga – Premio Regia Televisiva 1981- Premio Selezione Incontri Internazionali del cinema di Sorrento – Premio Selezione Filmex Los Angeles
La casa della follia - Mystfest Cattolica
Chewingum – Sezione Vittorio de SICA festival del cinema di Venezia
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