L’interessante e multiforme rassegna casalecchiese ha portato sul palco della Casa della Conoscenza scrittori del calibro di Carlo Lucarelli, Marco Vichi, Valerio Varesi, Luigi Bernardi, Girolamo De Michele, Massimo Siviero, Franco Limardi e editor come Mauro Smocovich e Alberto Ibba. Gente che il noir lo conosce bene, che lo ha indagato per anni e che a buon diritto può discuterne lo stato attuale.
Il punto è: gli scrittori noir sono ancora politicamente scorretti?
Domanda che nel corso del dibattito si è via via ribaltata, sostituendo la locuzione "sono ancora" con "sono mai stati", "saranno ancora", "è giusto che siano"… e così via. Come se l’indeterminatezza del concetto di riferimento, l’essere politicamente scorretti, abbia poi condizionato la conclusione di questo dibattito, ammesso che fosse necessario giungere a una risposta definita.
Ma un risultato importante l’incontro di venerdì lo ha certamente ottenuto: quello di attivare una riflessione sul potenziale sociologico, o appunto politico, del romanzo noir inteso quale mezzo di esplorazione del contesto in cui siamo immersi, e di noi stessi come animatori di quel contesto.
In altre parole, prima ancora che gli scrittori noir, il noir stesso può essere uno strumento idoneo in questa funzione? Può il romanzo di genere farsi scandaglio preciso, magari scomodo, da utilizzare a beneficio dei lettori avidi di conoscenza oltre che di storie?
O che sia doveroso, per esempio, travalicare il genere e cercare una contaminazione con altri mondi letterari, per caricare il noir di questa responsabilità?
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