Una settimana dopo era arrivata una busta con dentro quella foto, un gruppo di donne sulla cinquantina, accosciate o in piedi, tutte sorridenti di fianco a una tavola piena di vino e aranciate e due bottiglie piccole di birra. La più bella era Ondina con i capelli castani tirati dietro alle orecchie, il sorriso a bocca spalancata e la maledetta cicca nella mano sinistra. Gli aveva indicato le amiche, detto qualche nome, poi aveva messo la foto là, dove stava ancora; quando se n’era andata, non l’aveva presa, forse non le interessava più, come non le interessava più di lui.
Gli aveva giurato di non avere un altro e Denis aveva creduto, perché lei era così, se ci fosse stato un uomo glielo avrebbe detto e amen. Ma allora perché.
Perché sì. Per mi, perché son stufa, perché voio viver un poco fin che rivo, fin che son ancora giovine o circa.
Denis sentì il rumore del coltello che cadeva nell’acquaio.
Erano passati sei mesi e in quei sei mesi quante volte aveva pensato di ammazzarla? Tante che non sapeva contarle.
Tagliarle la gola, infilarle el britolin in stomigo, o le forbici, quelle da sarto che aveva in negozio, pesanti come cristo in croce, ucciderla, massacrarla, ma non subito, prima doveva soffrire, patir come lui, come lui soffrire.
Non c’era un altro, nissun altro, giuro.
La voleva nuda, ancora una volta, nel suo letto, nuda e sua, piena di paura come la prima volta che avevano fatto l’amore e lei gli aveva raccontato in un orecchio tutti i stomighezzi che il marito voleva, bruto porco, benedeto el giorno che lo gò molà. Vien, bela, vien che mi son bon, vien vien vien.
Lo schizzo di sperma andò a spiaccicarsi sulle piastrelle bianche.
Denis strappò un pezzo di scottex e ripulì.
* * *
– Allora?
Denis guardò l’uomo alto che sembrava riempire tutta la casa, poi lasciò ricadere la testa e si stupì dell’ondata di nausea che lo sconvolse.
– Signor Pitacco, tutto a posto?
Era gentile, anche la mano che gli aveva posato sulla spalla per farlo sedere, lo aveva tranquillizzato e non spaventato. O almeno non più di tanto.
Fece cenno di sì, che era tutto a posto o circa.
– Allora?
L’uomo alto ripeteva le domande con infinita pazienza, sembrava non fosse importante rispondere veloce, anzi, sembrava non fosse importante nemmeno rispondere.
– No so.
– E che cazzo…
L’altro uomo non era paziente, ma si zittì come un cane disubbidiente al gesto impercettibile e stizzito dell’uomo alto.
– Nessun problema, signor Pitacco, con calma.
Anche Ondina gli diceva sta calmo, sta calmo, no sta far el pampel.
– La me gà lassà, eco, un giorno la iera, el giorno dopo no – Denis deglutì la saliva che non aveva, – cussì e mi senza de ela… mai più.
L’uomo alto guardò triste la cucina inondata dal sole del pomeriggio e pensò che era caldo di nuovo, pensò che sabato avrebbe portato le bambine al mare e niente pranzo al sacco, ristorante e immaginò gli occhi stupiti e sorridenti di sua moglie.
– Va bene, signor Pitacco, va bene così.
Spostò con attenzione un piatto sporco di pesce fritto e lo posò nell’acquaio, quasi senza rumore.
– Credo sia andata così – disse, rivolto all’altro uomo, – la Ondina Sterle, sei mesi fa, decide di lasciare il Pitacco e lui non accetta, continua a seguirla e a tormentarla, ce l’hanno raccontato anche le colleghe della pulitura. Poi, una sera, riesce a farla andare con lui, forse dicendole che sarà l’ultima volta che lo vedrà, chissà.
Le aveva detto che l’ape gliela aveva prestata Nazario, quel del negozio, ma non era vero, l’aveva presa e basta, cosa ci vuole a impizar un’ape? E dài, Ondina, ara che bela note. Una gita a Duin, l’ultima.
E la prima, aveva riso lei, dove semo mai andadi, mi e ti?
Una settimana avanti, era andato a Duino da solo, per trovare un buon posto. Aveva preso l’autobus, la 44 che andava su per strada del Friuli e Visogliano e Santa Croce e Aurisina. Samatorza no, de là va la 46.
C’era il sole quando era sceso in centro a Duino e piano piano, aveva preso la discesa per il porto. Era rimasto sul molo a guardare i gabbiani dondolare sulle onde, poi era risalito, in un bar aveva bevuto una birra piccola ed era tornato a casa.
Perché Duin?
Perché sì, le aveva risposto ed era come se l’ape si fosse messa in moto da sola.
Se lo avesse baciato, se si fosse lasciata toccare, forse sarebbe stato tutto diverso.
Dame un baso. No e no stame tocar che te me fa schifo, gnanche se te me spachi la testa.
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