In passato ho a lungo coltivato la fobia dello scrittore inedito, poi quella dell'edito non letto, poi ancora quella del produttore di storie troppo di nicchia per poter essere lette da tanti, e infine la paura di non essere all'altezza di Romanzo Criminale.
In questo momento ho una sola, grande paura: che il noir italiano finisca con il diventare l'ennesimo strumento di pressione e manipolazione dell'opinione pubblica in tema di politiche securitarie.
Per me sarebbe, ovviamente, una sconfitta, oltre che una condizione inaccettabile. Quanto agli esorcismi, ne conosco uno solo: scrivere.
Sono un mangione. Accanito. Costantemente in lotta con, meglio, contro la bilancia, perennemente a dieta. Sono un consumatore, e non un facitore di cibi: non vado oltre l'uovo al tegamino, e per fortuna, fra moglie e amici, c'è chi si occupa di me. Non c'è praticamente cibo al mondo, o cucina più o meno regionale o etnica, che non mi incuriosisca. Non ho idiosincrasie. Sono onnivoro e goloso. Adoro le ostriche e il pesce crudo (sia per omaggio alla cucina giapponese che in ricordo delle mie origini pugliesi). Tutti i tipi di pasta, su tutte l'amatriciana. Caffè o te indifferentemente. Vino rosso più che bianco. Ma anche birra. Fra i superalcoolici, whisky torbato. Cioccolato amarissimo (anche le fave di cacao puro non sono niente male). Gelato (ma non di frutta, please). Il mangiare non è altro che cultura: anche il rifiuto del cibo, in definitiva, lo è. Non puoi dire di aver nemmeno annusato una cultura diversa dalla tua d'origine se non ti sei seduto a quella tavola. Ultimamente sono però assalito da sensi di colpa nei confronti degli animali. Credo che il mio futuro sarà vegetariano. Prima o poi dovrò arrivarci.
Dopo un lungo periodo di sevizie, ho incominciato a rispettarlo, 'sto corpo non certo esile che mi porto appresso.
Preferisco fare il bagno quando posso. Doccia frequentemente. Qualche bagno turco (meglio della sauna) se possibile.
Sport, compatibilmente con le giunture che cominciano a scricchiolare. Abbigliamento: non sono un gran che, ho dovuto studiare, mi lascio consigliare da mia moglie.
Spesso giro a piedi o in autobus, tendo a evitare l'automobile, sfrutto i taxi. Amo Roma immensamente, e naturalmente c'è sempre posto nel cuore per la città natale, Taranto. Preferisco il mare alla montagna, non amo particolarmente il lago, mi intristisce. Mi trovo bene in campagna, ma penso che passati i tre-quattro giorni cominceremmo a venirci reciprocamente a noia, la campagna e io. Mi mancherebbe il centro, il rumore del traffico, il passo svelto della gente di città. Ho ripreso a viaggiare da qualche anno, dopo un lungo black-out dovuto a ragioni personali. Mi piace raggiungere una méta senza prima informarmi, andarci nudo mentalmente, lasciarmi possedere dalle sensazioni nelle quali mi imbatto. Passeggiare fumando, osservando, riflettendo. Nel vuoto mentale si affacciano fantasmi e fantasie cari allo scrittore, per lui fondamentali.
Con l'andare del tempo ho perso tutti i riti che un tempo governavano il mio rapporto con la scrittura. Oggi ogni momento è buono, ogni istante può essere prezioso. A volte, proprio "nun me va", e allora lascio perdere, nemmeno ci provo.
Altre volte sono posseduto dal sacro fuoco e sforno pagine su pagine.
Succede sempre che a un certo punto nella stesura di un romanzo o di un racconto o di una sceneggiatura mi dica: tutto quello che hai scritto sino a questo momento fa schifo. Gettalo via. ricomincia, o lascia perdere. Ecco, forse l'unico vero rito superstite è questo. Finisce che salvo quasi tutto, o forse no, dipende... te l'ho detto, non c'è più una regola. Se non quella di andare avanti. Quanto al metodo, tengo duro col sistema delle scalette, scrivo biografie dettagliate dei personaggi, ho necessità di sapere chi sono, e come si muovono nello spazio, e che cosa mangiano, e quali sono le loro letture, e che cosa li ha fatti diventare così. Mi ispiro spesso a modelli reali, persone incontrate magari per caso, o soltanto sfiorate in un rapido passaggio, e cerco di interrogarmi sulle loro vite possibili... i veri problemi riguardano sempre l'incipit di una storia (ah, quelle frasi folgoranti di Garcia Marquez, ah, quel bollettino meteorologico di Musil... ah, i prologhi dei classici e il teaser dei film americani!) e il finale. Sono i due estremi lungo i quali corre l'arco voltaico della struttura narrativa. Mi credi se ti dico che ci sono inizi e finali che, da soli, hanno preso settimane, mesi di lavoro... quasi più dell'intero romanzo?
Il terrore della pagina bianca è una maledizione alla quale è impossibile sfuggire. Si può solo provare a fare qualcosa di diverso. Una passeggiata con un amico. I compiti con tuo figlio. Un videogioco. Una partita a pallavolo (il mio sport di riferimento). Leggere una poesia o un vecchio Tex. Evitare lo scontro quanto più è possibile. Rimandarlo, se non lo si può evitare. Ma prima o poi il momento arriva. E allora, carta della disperazione, devi aggrapparti ai tempi di consegna, alle promesse che hai l'obbligo di mantenere, immaginare la faccia delusa di chi aspetta la tua pagina... e darti da fare, porca miseria. Scrivere, dopo tutto, è sempre meglio che lavorare!
Per le scadeze editoriali vedi alla voce "terrore della pagina bianca". E' lo stesso argomento, letto sotto diverso profilo. Come mi ritengo nel rapporto con gli altri? Boh, e che cosa conta come io mi ritenga nel rapporto con gli altri?
Bisogna chiederlo a loro, agli altri! Di sicuro, non mi dispiacciono gli altri, tutt'altro. Socievole è un aggettivo che condivido. Simpatico, scostante, entusiasta sono giudizi di valore e non spetta a me pronunciarli. Di veramente asociale, in me, c'è solo una cosa: il fumo del sigaro. Ma non posso farci niente. Sono tossicodipendente da tabacco, lo ammetto.
La mia famiglia. Sarà retorico e banale, ma ha davvero un gran peso nelle mie scelte.
Ho conosciuto due nonne. Una era contadina, l'altra casalinga. Entrambe analfabete. Sapevano raccontare storie meravigliose, fiabe, intendo, e possedevano un formidabile sense of humour. Vestivano sempre di nero. Erano vecchie donne del Sud, mi hanno trasmesso una parte del loro mondo. Il mio rapporto con il passato sta nel salto dai vicoli della città vecchia di Taranto e dai tratturi del Salento a Trastevere.
C'è in me una parte di popolare, se vuoi di popolaresco, in senso di adesione/appartenenza al popolo, o quanto meno di radici. Tutto questo significa anche diffidenza verso una visione elitaria, esclusiva, arcigna, respingente della cultura. Ma il passato, dopo tutto, è passato: se ne deve trarre insegnamento, certo, ma per guardare avanti, per andare avanti. Rimboccarsi le maniche e andare avanti. Una lezione che ho imparato vivendo. Da qui anche un certo fastidio per quelli che si lamentano dell'oggi paragonandolo a uno "ieri" ormai tramontato.
Forse, sarebbero più onesti se ammettessero che non è tanto il passato che stanno rammaricando, quanto il fatto di non avere più vent'anni.
Paura è poco. Terrore si avvicina di più al sentimento che provo di
fronte alla malattia e alla morte. Tanto terrore che non mi va nemmeno di parlarne in questa intervista, per altri versi, godibilmente frivola. Ecco, manteniamoci su questi altri toni. La morte, in ogni caso, è l'unico nemico che nemmeno i potenti della terra, le agenzie di sicurezza, re principi Papi e oligarchi potranno mai sconfiggere. Ma il fatto di trovarmi in così alta compagnia non mi è di nessuna consolazione.
Ho un sonno di piombo, leggero se serve, a comando. Rapporto ottimo. Il risveglio... bah, preferirei vivere e lavorare di più la notte e prendermela più comoda al mattino. Incubi pochi, in ogni caso da molto non tornano. Sogni: in technicolor avventurosi erotici e a volte ispiratori di trame e visioni. Colazione: ottima e abbondante un tempo, ora cappuccino senza zucchero e cornetto non ripieno (un obbligo quando sono a Roma. In trasferta, subisco il fascino perverso del buffet d'albergo, e mi avvento su improbabili pietanze grasse che in altri momenti disdegnerei).
Si può vivere di scrittura e annessi (collaborazioni, apparizioni, ecc.) ma io conservo il mio lavoro originario, che è quello di magistrato. Almeno finché, come dicono a Roma, la pompa reggerà. Ho iniziato a scrivere a otto anni perché giocavo male al pallone... no, insomma, voglio dire, è una malattia. Ammalati di scrittura si nasce, scrittori si può diventare solo se si fatica assai (traspirazione, ecc., cose risapute). Aneddoti, a bizzeffe. Da quel redattore editoriale che bocciò il mio primo manoscritto, un racconto fantastico sotto forma di manoscritto ritrovato, allegando una "imprecisione scientifica" del manoscritto (non aveva letto una riga, ovvio). Ai sei/sette rifiuti editoriali patiti da Il padre e lo straniero, che considero il mio libro più doloroso, più intimo. Alle proposte più inverosimili che ricevo quotidianamente ora che i miei libri cominciano a essere meno di nicchia e più letti. Sono grato a molti, in particolare a quelli che hanno apprezzato le mie cose prima di Romanzo Criminale (quel libro, e il film, hanno rappresentato un punto di svolta, non solo letterario, ma decisamente esistenziale). Sono grato a Marco Bascetta, Severino Cesari, Dino Audino.
E, su tutti, a Tiziana. Loro sanno perché. Rimpianti? Non credo, no, direi di no. La vita, sia pure attraverso un percorso lungo e tortuoso, mi ha consentito, a un certo punto, di vivere nella realtà una realtà che, da ragazzo, potevo solo sognare. Ho dunque ricevuto un dono meraviglioso. Perchè non esserne riconoscente?
Se farei sparire qualcuno? No, sinceramente no. Sparire è un verbo che non mi piace. Piuttosto, cercherei di neutralizzare gli effetti non di qualcuno come persona fisica, ma della cultura, del modo di essere e di pensare che questo ipotetico qualcuno, in un dato momento, finisce per incarnare. In sintesi: tolleranza contro tolleranza zero, solidarietà contro chiusura, opportunità contro esclusioni. Sono un inguaribile rottame impastato di socialismo e cattolicesimo.
Essere invisibile? Aah, questo sì che è un sogno meraviglioso! L'uomo invisibile! Ma a che scopo, poi? Le molestie sessuali sono disdicevoli. Apprendere ciò che gli altri pensano realmente di te può essere devastante. Ficcare il naso dove non dovresti può sortire effetti tragici. Uno scrittore sa come rendersi invisibile: con la fantasia. No, grazie, ridate il mantello a Harry Potter, che saprà farne sicuramente uso migliore.
I miei passatempi preferiti? Pallavolo. Pokerino con gli amici. Lunghe conversazioni con Tiziana.
Tressette. Molto cinema. Molte letture. Lunghe passeggiate. Viaggiare.
Suonare la chitarra e cantare in coro. Vedere la partita della Roma e
della Nazionale.
Sesso e volentieri o erotismi romantici? Troppo intimo. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
Giancarlo De Cataldo è Giudice di Corte d’Assise a Roma, città nella quale vive dal 1973. Scrittore, traduttore, autore di testi teatrali e sceneggiature televisive, ha al suo attivo la pubblicazione di numerosi libri. Ha scritto Nero come il cuore (Einaudi, 2006), Minima criminalia (Manifestolibri, 2006), Camici bianchi e impronte digitali (Il Pensiero Scientifico Editore, 1992), Contessa (Liber, 1993), Terroni (Theoria, 1995), Il padre e lo straniero (e/o, 2004), I giorni dell'ira (Feltrinelli, 2001), Onora il padre (Giallo Mondadori, 1999), Teneri assassini (Einaudi, 2000), Acidofenico (Piero Manni, 2001), Romanzo criminale (Einaudi, 2002), Fuoco! (Verdenero, 2007), Nelle mani giuste (Einaudi, 2007).
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