Dal 6 settembre va in onda, com’è tradizione a inizio stagione televisiva, Distretto di polizia, giunta alla settima serie: e sempre in prima serata su Canale 5, anche se il giorno di programmazione è un po’ ballerino perché risente delle stucchevoli guerre di palinsesto tra Rai e Mediaset.
È sicuramente una delle fiction italiane più longeve: e proprio sulle ragioni del suo successo vorremmo soffermarci, più che su altri aspetti, già messi in luce gli anni precedenti su questa rubrica.
Infatti produttori e sceneggiatori procedono ormai col pilota automatico: furba miscela di detection e commedia; ambientazione romana che non richiede agli attori soverchie fatiche di dizione; solita tripartizione investigativa di ogni puntata: qualche scena dedicata al filo rosso che collega tutti gli episodi della serie (questa volta una testimone scomoda, Nina Neri, in un processo contro la ‘ndrangheta); un’indagine più “seria” (rapimenti, violenze, rapine) affidata ai gradi alti del commissariato (il capo e i suoi collaboratori più stretti); un’altra più “leggera” (liti di condominio, bimbi che fuggono dai genitori) in cui si cimentano il duo Ingargiola-Guerra con i siparietti del poliziotto-scrittore Ugo Lombardi. Anello di congiunzione tra questi ultimi due livelli è Parmesan, l’archivista infallibile.
D’altra parte, perché cambiare?
Il cast, dalla prima puntata della prima serie, si è rinnovato di un buon 70%: degli investigatori “operativi” è rimasto il solo Benvenuto; resiste la bassa forza che sembra non voler lasciare la comoda routine di una lucrosa fiction all’anno. In ogni caso però nessun personaggio, neppure l’ispettore Belli, interpretato, fino alla serie precedente, da Ricky Memphis, ha lasciato un vuoto incolmabile. Con pazienza certosina la produzione, utilizzando un personalissimo manuale Cancelli, mantiene le distanze tra i reparti, come direbbe un allenatore: se ne va una donna ed eccone un’altra che la rimpiazza; se ne va un simpaticone come Memphis col suo padre sarto un po’ invadente ed ecco arriva, quest’anno, Max Giusti, nelle vesti dell’ispettore Marchetti, con mamma al seguito; esce dal cast Tirabassi, che proviene pur sempre dalla Bottega di Gigi Proietti, e avanti con Massimo Dapporto, attore di teatro.
Eppure proprio questa placida sicurezza, che fa procedere la serie come una corazzata in mare aperto e che rastrella lusinghieri picchi di ascolto, secondo noi sta erodendo, per il momento senza grossi danni, il patrimonio di credibilità guadagnatosi negli anni; motivo: l’accumularsi di una serie impressionante di luoghi comuni politicamente correttissimi.
Prendete Dapporto, che in tv si è cimentato in tutte le principali figure “missionarie” (prete, medico, insegnante, magistero, anche poliziotto in una serie di qualche anno fa): per caratterizzare in senso ancor più “buonista” il suo personaggio, Marcello Fontana, gli sceneggiatori gli costruiscono un passato nella DIA a Reggio Calabria (il tramonto della “Piovra” e della fiction impegnata ha lasciato dietro di sé questo ipocrita e fastidioso omaggio); e poi lo fanno padre di un ragazzo “diversamente abile” (altra definizione politicamente corretta, ma anch’essa grondante, per chi voglia andare al di là delle apparenze, “buonismo” e ipocrisia). Il nuovo commissario è a posto: santo subito!
I “Dico” sono alle porte? E i due ispettori Berti e Valli vanno a vivere insieme con il nipote di lei allevato a mo’ di figlio: siamo o non siamo un paese dalle larghe vedute e dalle coppie apertissime? Peccato però che l’omosessualità dichiarata dell’ispettore Benvenuto – probabilmente non entusiasmante per la Polizia di Stato, che collabora attivamente coi produttori alla confezione della serie – sia stata debitamente sterilizzata: certo, il nostro, se incontra una ragazza che è stata stuprata dal branco e che ha un padre retrivo che non accetta la sua diversità, novello eroe dei nostri tempi, le offre la spalla su cui piangere; e, se non bastasse, la sua sofferta testimonianza di emarginazione familiare. Ma fin qui il politicamente corretto può coniugarsi con le esigenze della Polizia di Stato. Ma, guarda caso, è scomparso il compagno col quale conviveva: anzi, Benvenuto è andato ad abitare con l’altra collega Gori (che originalità la doppia coppia di poliziotti!), facendo precisare che vivono come fratello e sorella, pur dopo un bacio galeotto con cui si è conclusa la sesta.
E poi – ve lo ricordate l’elogio di Mike Bongiorno fatto da Umberto Eco che ne aveva colto l’innata capacità di porsi nell’ottica dell’uomo comune? – il fido Parmesan: solo a un pubblico indifferenziato di prima serata e di bocca buona si può far digerire che l’informatizzazione degli archivi e la formazione di giganteschi database permetta in qualche nanosecondo di rispondere a tutte le impazienti domande dei colleghi che operano sul territorio.
Si potrebbe andare avanti, ma ci fermiamo qui.
Appunto perché spettatori fedeli – ma critici – della serie sin dai suoi incerti vagiti, ci sentiamo in dovere di segnalare non solo gli eccessi di sicurezza, ma anche una certa sciatteria nel risolvere in un paio di minuti e in poche battute problemi esistenziali di vasta portata (come quello che affligge l’ispettore che è perseguitato dal senso di colpa per aver ucciso un uomo); e, se vogliamo, una troppo sbrigliata fantasia nell’immaginare la gestione di un testimone chiave che vive a Roma, quasi come una figlioccia, a contatto col nostro intrepido commissario.
Un paio di cose però le salviamo.
L’interpretazione di Dapporto, innanzi tutto; qualche volta è un po’ troppo sopra le righe, ma si vede la distanza con certi suoi colleghi: ad esempio con la Pandolfi di qualche anno fa.
E poi la comica e sbrigativa cerimonia di passaggio fra il vecchio e nuovo commissario. A differenza di altre serie – e ne parleremo in questa rubrica – che la tirano in lungo per almeno due puntate, qui dopo 10 minuti del primo episodio è fatto tutto: omaggio alla giacca (sic!) del defunto ispettore Belli; scambio delle consegne; letture delle note caratteristiche (giusto per far ripassare al telespettatore distratto i nomi dei protagonisti un po’ troppo nuovi) e via a correre per le strade di Roma e per le campagne circostanti a far trionfare il bene.
Buon viaggio, commissario Dapporto!
E non esca di strada troppo presto!
Voto: 6.5
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