Marco trattiene a stento parole e rabbia. Sarebbe inutile affrontare questo argomento. Rischierebbe di perdere di vista quello più importante, il groppo che finalmente ha trovato il coraggio di affrontare e sciogliere. Ad ogni costo.

- Lui esce! – afferma di getto.

- Lui resta nell'asilo.

- No! – Secco, categorico. Con un impeto che ribolle di stress represso.

- Non possiamo più tirarci indietro. Siamo oltre la metà. Non ha più senso. Ora più che mai, sarebbe un’imperdonabile stronzata.

- Non va bene, non è più lui.

- Balle. Che ne capisci tu? I bambini sono fatti così.

- Col cazzo, i bambini non sono fatti così. Non devono essere così. Non devono diventare ancora peggio di noi. Non a quella età. Quello non è un asilo, ci assomiglia solo.

- La vita è così. E' questo è solo un fottuto assaggio di realtà. E’ bene che imparino, i bambini.

Marco si stringe le tempie tra le dita, sospira. Qualcosa in petto brucia. Consapevolezza.

- Io e te non abbiamo niente in comune, Erika. Mi chiedo come io abbia fatto... Non ad innamorarmi, quello è stato facile, ma a continuare a crederci... Comunque, hai ragione tu, quando mi schiaffi in faccia la verità. Sono senza coglioni. Ma forse sono ancora in tempo a tirarli fuori.

La donna sfodera un’espressione di sfida. - Beh, adesso che vuoi fare, mollarmi? Chiedere il divorzio?

- Potrebbe essere un'idea.

- Sei pazzo. Il bambino ne risentirebbe. E poi, si verrebbe a sapere. Non potremmo nascondere la cosa. Lo saprebbero tutti. Chissà come reagirebbero alla notizia...

- Me ne frego.

- Non ti lascerò rovinare tutto! – esclama lei, con le guance irrorate di sangue e adrenalina sotto la pesante patina di fondo tinta, difesa di una donna bella che non sa cambiare. Accettare. Crescere.

Una vaga minaccia resta sospesa nell’aria mentre Erika abbandona la stanza sbattendo la porta.

Marco piange. Lacrime sottili. Che portano sale fino alle labbra.

* * *

- Daniele, la maestra vuole mostrarti qualcosa al computer.

Che bello, i miei dieci minuti di computer!

- Allora Daniele. Come stai nel nostro asilo?

- Bene, abbastanza, maestra Luisa. Ma l'anno scorso mi piaceva di più. – Forse questo non dovevo dirlo?

- Ah... E con gli altri bambini come ti trovi?

- Bene. Mi spiace però che i miei amici non ci sono più da tanto tempo. Quando torna Thomas?

Luisa scruta Daniele con intensità. Deglutisce. Sbatte le palpebre un paio di volte. Poi osserva i disegni dei bambini, attaccati ordinatamente sulla parete. - Thomas è andato con i suoi genitori a trovare i nonni, molto lontano. E' in vacanza. In un altro paese.

- E Michele?

- Sta ancora male, poverino... Raccontami una cosa, piuttosto: mi ha detto un uccellino che qualcuno ti dà fastidio.

- Un poco.

- Vuoi che ti aiuti?

- No, fa niente.

- Dai, dì alla Luisa cosa può fare...

- Fa niente, maestra. Gertrude è piccola, vuole giocare. Per questo rovina i miei disegni. Io mi arrabbio, poco. Gertrude è piccola. Non è cattiva.

* * *

- Ah, quel Daniele. Così piccolo e già così falso.

- Ehi, guarda che Daniele non è falso! Solo, per avere cinque anni e mezzo mi sembra ingenuo. Però è intelligente, si vede. Poco furbo, ma intelligente. Non so se mi spiego.

- Macché falso. Macché intelligente ma ingenuo. Siete fuori strada, tutte e due. Quello è rimbambito. Non ci arriva. Comincia le cose e non le finisce.

- Sì, però chiede sempre cosa e perché.

- Certo, però si stufa a tre quarti di spiegazione. Naaa... E' sopravvalutato. Ce la stanno raccontando.

* * *

- Daniele, vuoi raccontarlo un piccolo segreto alla mamma?

- Certo mamma.

- Hai la ragazza, è vero?

Stupore e risentimento. - Papà te lo ha raccontato!

- No, amore, assolutamente no! – Quello stronzo di Marco non mi ha detto un cazzo. C’era da aspettarselo, da lui. E’ un particolare importante. Va valutato. Discusso assieme.

- Allora ce l’hai – insiste Erika.

- Io sono piccolo, mamma. I piccoli non si sposano.

- Si, lo so. Io non parlavo certo di matrimonio. Dicevo così, tanto per…

- Adesso sono piccolo, poi diventerò un ragazzo, poi mi crescerà la barba, poi sarò un uomo e sposerò Valentina, poi sarò papà, poi nonno, poi vecchio e morirò.

Ah, bene: Valentina.

- Beh, secondo me, tesoro, dovresti dirglielo, a Valentina, domani, che le vuoi bene.