Nel 2000 avevamo lasciato Roland Joffé, con tanto di cinepresa in mano, nella Francia del 1671. Lo avevamo lasciato in una cucina (quella del Principe di Condè) alle prese con Depardieu nei panni del cuoco Vatel impegnato ad allestire un pranzo degno di un re (Luigi XIV, il Re Sole). Ce lo ritroviamo dopo sette anni alle prese con quello che pare essere un Saw chiamato Captivity (cattività, prigionia, schiavitù). In cattività però ci sentiamo noi, aggrediti fin subito da una noia che tracima senza pietà. Forse l’intento era nobile, da cultura alta, tipo “misterioso figuro rapisce Jennifer Tree (Elisha Cuthbert, lanciata dal serial TV 24), divetta bionda la cui immagine slavata tappezza i muri della città e la sottopone a vessazioni di vario genere”, ergo metafora sulla spietatezza dello show-business che non si fa scrupoli nello spolpare per bene il divo odierno (anche perché sa benissimo che ce ne sono altri cento pronti a prenderne il posto) mentre il poveretto tenta in tutti i modi di resistere all’implacabile usura della propria immagine. Be’, ammesso e non concesso che così sia, la faccenda non cambia. Inutile cercare letture alte in un film che esaurite le carte più truculente (frullato umano che la Cuthbert deve ingollare a forza…) e la classica situazione mors tua vita mea, il film si perde per strada per mancanza di coerenza, visto che la claustrofobia di Saw va a farsi benedire e l’unico colpo di scena, tra l’altro posizionato ben prima della fine, non è degno di questo nome. Nel complesso qualcosa di molto vicino all’allevare la polvere.