Per giungere alla elaborazione matura del noir moderno – avvenuta probabilmente con Lo straniero di Camus nel 1941 – il giallo classico ha dovuto passare attraverso una sensibilità più rude e meno salottiera, più tendente al realismo e alla brutalità della violenza ordinaria che non alle finezze astratte dell’ingegno investigativo. Meursault è nipote di Philip Marlowe e solo lontano parente di Sherlock Holmes.
Due anni prima che Dashiell Hammett pubblicasse Il falco maltese, considerato il capostipite del genere hard-boiled, Ernest Hemingway scriveva The killers, racconto breve – in pratica due scene – in cui la tensione cresce nell’attesa di un evento violento che alla fine non si verifica ma resta ineluttabile.
I due sicari del titolo aspettano la loro vittima nella tavola calda dove è solito cenare, ma lui non viene. È chiuso in camera a fissare il soffitto. Sa che lo vogliono morto, sa perché e sa che non c’è niente da fare (o forse è lui che non vuole farci niente).
Nick Adams – protagonista di diversi racconti hemingwayani – è testimone dell’arrivo dei due assassini e viene legato e imbavagliato col cuoco nella cucina durate l’inutile attesa della vittima. Appena liberato andrà a cercare l’uomo a casa sua e lo troverà, rassegnato e con lo sguardo perso nel soffitto della sua stanza, in attesa dell’ineluttabile fine. Hemingway non racconta questa fine, cioè la morte dell’ex-pugile, vittima designata dei due sicari. Il senso del racconto non risiede nell’intreccio ad alta tensione (stemperata già a metà del testo) e nemmeno nell’estetizzazione dell’atto violento, bensì nel ritmo lento col quale si palesa, in tutta la sua atrocità, l’impotenza sia del giovane Nick Adams che del vecchio Ole Andreson, pugile “troppo lungo per il suo letto”.
“I was up at Henry’s,” Nick said, “and two fellows came in and tied up me and the cook, and they said they were going to kill you.”
It sounded silly when he said it. Ole Andreson said nothing.
Nelle due ultime frasi sono riassunti i due tempi – e i due temi – del racconto: lo sgomento di Nick di fronte a una minaccia di morte che “suona sciocca” se espressa a parole, e il mutismo rassegnato – disarmato disarmante – dello svedese che, molto semplicemente, non dice niente.
Il noir è già maturo in questo Hemingway neanche trentenne, ma farà diversi passi indietro incarnandosi in Sam Spade prima e Philip Marlowe poi. Diventerà narrativa popolare, scrittura palatabile e “dura” al punto giusto (la famosa toughness americana), ma perderà il senso di meraviglia e di incertezza presenti in questo racconto.
Hemingway mette nella sua – pur brevissima – visione del noir il senso di vicinanza umana che ovunque si incontra nelle sue opere. Il giovane Nick che corre ad avvertire il vecchio Andreson, a rischio della vita, e rimane senza parole di fronte alla sua mancanza di reazioni è l’emblema dell’eroe hemingwayano: trasparente e generoso, sospeso fra il vitalismo e la malinconia (già presente in questo lavoro giovanile).
Purtroppo il noir non sarà mai più così. Arriveranno gli infiniti investigatori, i killer a sangue freddo, i rambo della domenica, gli alcolizzati disperati suicidi, i reietti, gli sbirri corrotti, i rifiuti umani; e torneranno gli oratori da salotto, i calcolatori, i ragionatori ragionevoli, i teorici della mente criminale, gli orripilanti psico-criminologi lombrosiani, i simpaticoni burberi dal cuore d’oro e le solite nutrite schiere di personaggi da romanzo, subito dimenticati.
Ma non si riuscirà più a recuperare il senso di orrore autentico che esprimono le ultime battute di Nick Adams.
“I wonder what he did?” Nick said.
“Double-crossed somebody. That’s what they kill them for.”
“I’m going to get out of this town,” Nick said.
“Yes,” said George. “That’s a good thing to do.”
“I can’t stand to think about him waiting in the room and knowing he’s going to get it. It’s too damn awful.”
[“Mi chiedo cosa ha fatto,” disse Nick.
“Ha fregato qualcuno. È per questo che li ammazzano.”
“Io me ne vado da questa città,” disse Nick.
“Sì,” disse George. “È la cosa giusta da fare.”
“Non riesco a pensare a lui che aspetta nella stanza sapendo che lo faranno fuori. È troppo orrendo.”]
Non mi risulta che Hemingway abbia scritto altro che si possa avvicinare al genere noir (così come lo si intende qui). Ci rimangono queste pagine e il loro senso di desolazione e di orrore – onesto, vivido, assolutamente scevro da artificiosità – di fronte allo squallore della morte e della violenza che la porta. Prima della codificazione del genere e della conseguente calcificazione di temi, stili e situazioni.
[Con questo ottavo capitolo si chiude la prima fase della rubrica. Nelle prossime settimane verrà esposto il nuovo approccio e le conseguenti modalità di continuazione di Il nero tra le righe. Ringrazio tutti coloro che hanno letto fin qui e spero lo faranno ancora.]
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