In origine Everyman è il titolo di un morality play, ossia di un dramma teatrale a forte connotazione morale e allegorica. In quest'opera del 16° secolo, l'everyman eponimo - non tanto un uomo qualunque ma "qualunque uomo" - si trova visitato dalla Morte e cerca un compagno per questo viaggio di sola andata. Ecco così che si susseguono al suo cospetto le incarnazioni delle cose terrene, come i Beni Materiali, la Conoscenza, l'Amicizia e la Bellezza: ognuna delle quali però recede da questa responsabilità e mostra all'everyman come l'uomo sia necessariamente solo nel suo viaggio verso la Morte.
Il romanzo di Philip Roth condivide il titolo con questo morality play e in qualche modo effettivamente gli si avvicina, pur se rivisitando il tema in un'ottica completamente diversa. Fin dalla copertina nera, listata a lutto, si capisce infatti che la morte sarà un tema centrale della storia. Qui però non siamo di fronte a un'allegoria simbolica: il protagonista del romanzo è un uomo vero e proprio, con una ricca storia personale, che è ormai giunto alla fine dei suoi giorni e srotola gli accadimenti della propria vita cercando di ritrovare un filo rosso - o forse nero - che ne guidi l'avanzata verso la morte.
Pubblicitario di chiara fama presso un'agenzia newyorchese, il protagonista dipana la matassa di una vita fra figli di primo letto che lo detestano e una figlia di secondo letto che invece lo adora; il rapporto tormentato con il fratello; tre matrimoni diversissimi, tutti con donne radicalmente differenti l'una dall'altra, ma terminati irrevocabilmente con un divorzio. La morte punteggia costantemente il romanzo, a partire da quando il protagonista le sfugge da bambino, fino ad arrivare al decesso degli anziani genitori (memorabile, a tal proposito, il dialogo finale con il becchino del cimitero): eppure, nonostante la presenza così imponente della Nera Signora, Everyman è lungi dall'essere un romanzo lugubre. Profondo, sicuramente; suggestivo, e caratterizzato da risposte non facili. Ma mai tragico o disperato, anzi, con un vago senso di serenità che intacca - pur se è difficile dire quanto - il senso di ineluttabilità che accompagna il protagonista e il lettore. Una grande prova d'autore, insomma, da parte di un Philip Roth solo apparentemente intimista, e che invece parte dalla vicenda terrena di un uomo per raccontare con lucidità la più grande incognita della vita di ogni uomo.
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