fA Daniele, uno dei pochi.
Roma, 10 settembre 1943
I
Il capitano Arcieri fu catturato mentre tentava di lasciare l’androne in cui si era rifugiato, insieme a due soldati semplici e un civile. I tedeschi tiravano con una mitragliatrice, a raffiche brevi e irregolari, dalla finestra di un appartamento di Via Caselli, prendendo la strada d’infilata. Arcieri aveva ordinato ai due soldati di coprirlo e aveva corso, piegato in due, lungo l’alto muro di un giardino.
Quando si trovò davanti due giovanissimi soldati della Wehrmacht con i mitra puntati, Arcieri rimase immobile, attendendo la raffica finale. Ma quelli esitavano. Guardò negli occhi il più giovane dei due: gli parve di vedere le sue labbra che tremavano. Allora sorrise, posando lentamente la sua Beretta d’ordinanza per terra. Lo portarono verso le Mura Aureliane, non lontano dalla caserma da cui era uscito, poche ore prima, con una ventina di soldati.
II
Arcieri era giunto in quella caserma proprio l’otto settembre 1943, per un’ispezione straordinaria, su incarico del Servizio di Informazioni Militari. L’annuncio dell’armistizio aveva lasciato tutti sbigottiti: lui in verità se l’aspettava da oltre un mese, ma non poteva prevedere esattamente il giorno e l’ora. Se le sue conoscenze di uomo dei Servizi fossero arrivate a tanto, non si sarebbe certo fatto trovare in una trappola come quella. Il Colonnello comandante era andato a chiamarlo la mattina del nove, mentre ancora, alla radio, gracchiava la voce di Badoglio, incisa sulla cera: "Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze armate italiane, in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza."
Il vecchio ufficiale l’aveva guardato con aria implorante, senza bisogno di parlare per esprimere il suo sconcerto e anche una disperata richiesta d’aiuto. Un ufficiale del SIM, benché fosse un capitano dei carabinieri appena quarantenne, in quel frangente valeva difatti più di un generale di divisione. Il colonnello aveva raccontato ad Arcieri che appena saputa la notizia si era precipitato al telefono, ma la linea militare era già isolata, così come quella civile interna alla caserma. A quel punto era uscito in strada, accompagnato da un maggiore armato di pistola, e - si era vergognato a raccontarlo, ma era la verità - aveva telefonato dal bar davanti alla caserma, che paradossalmente funzionava in modo regolare. Non che andare al bar, per chiedere istruzioni al Comando, fosse una procedura fuori dal previsto, aveva tenuto a precisare: nel fascicolo secretato del piano di difesa del battaglione, l’eventualità di usare il telefono del caffè di fronte era contemplata. Ma anche in quel modo, aveva raccontato sconsolato al capitano Arcieri, non era riuscito ad avere ordini da nessuno: al comando di Divisione avevano fatto della filosofia spicciola sull’ambigua espressione di Badoglio: "da qualsiasi altra provenienza", senza decidersi ad ammetterne l’unica interpretazione possibile, e cioè che dovevano difendersi da un prevedibile attacco dei tedeschi, che non avrebbero certo accettato, ridendo e scherzando, quello che aveva l’aria di un tradimento italiano. L'imbarazzante parola era stata più volte sulla bocca del colonnello: "tradimento…" aveva mormorato ad Arcieri, che fumava una Milit dietro l’altra, seduto nella poltroncina davanti alla scrivania.
"Tradimento di chi? Di loro, o di noi italiani?"
"Capitano, ci si mette anche lei a fare i sofismi?"
"Queste non sono semplici parole, colonnello. Io personalmente mi sento tradito dai fascisti e dai tedeschi, oltre che dal Re e dal Governo."
"Che intende dire, capitano?"
"Se lei avesse seguito le operazioni militari come ho fatto io, con le informative riservate, mi capirebbe al volo. Crede che i tedeschi ci abbiano mai considerato davvero degli alleati? Comunque ha ragione: è inutile perdersi in chiacchiere. Dobbiamo agire, gli ordini in fondo li abbiamo."
"Ma cosa dice? Se nessuno si è degnato di rispondermi! Allo Stato Maggiore, addirittura, non rispondono al telefono!"
"Il proclama è chiaro, no? "Reagire ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza". Se abbiamo concluso un armistizio con gli anglo-americani, le uniche ostilità possono giungere da parte dei tedeschi. E da queste abbiamo l’ordine formale di difenderci. Un ordine che viene da Badoglio in persona."
"Ma al Comando di Divisione…"
"Scappano tutti, colonnello. Nemmeno io sono riuscito a parlare col mio ufficio."
"Che farà il Re? Se i tedeschi riescono a prendere Roma, lui e la Corte sono in pericolo…"
"Dubito che siano ancora in città, colonnello."
"Lei crede che il Re e Badoglio intendano preparare personalmente una linea di difesa militare intorno alla Capitale?"
"Non lo so. Me lo auguro, ma non mi meraviglierei se invece fossero diretti a sud."
"In braccio ad Eisenhower?"
"Perché no? Non sono più nostri nemici."
"Sempre che riescano a passare…"
"In questo ha ragione. Ho qualche informazione di prima mano sulla dislocazione delle truppe germaniche intorno a Roma. E benché non fosse il mio compito, so qualcosa del piano di incapsulamento delle loro forze, approntato dal nostro Stato Maggiore. Con quest'aria di tutti a casa, i tedeschi avranno mano facile nel rovesciare l’azione a tenaglia: saremo noi, ad essere incapsulati da loro, e in poche ore. Chiuderanno tutte le vie di comunicazione, dentro la città e fuori: l’Aurelia, la Salaria, l’Appia, la Cassia…"
"E quindi il Re…"
"Non avrà che due possibilità: un volo oltre le linee, che ritengo improbabile, perché troppo pericoloso, o un tranquillo viaggio in automobile."
Il Colonnello non ci aveva capito più nulla: quel capitano, con aria un po’ beffarda, parlava per indovinelli.
"Ma come sarebbe? In automobile, il re e la Corte sarebbero intercettati al primo posto di blocco tedesco!"
"A meno che non abbiano un lasciapassare germanico."
Il Colonnello aveva strabuzzato gli occhi:
"Capitano, io non la capisco…"
"Là fuori c’è il mercato nero, colonnello: lo saprà bene, che di questi tempi si compra e si vende qualsiasi cosa. Anche la libertà, o una fuga."
"E che cosa avrebbe da vendere ai tedeschi, il Re, secondo lei?"
"Mussolini, per esempio. È nascosto da qualche parte: prima era alla Maddalena, ma ora nessuno sa dove sia. Così il Re può offrire al Fuhrer il Duce che tanto ammira, in cambio di biglietto di prima classe su qualche nave ormeggiata in un porto dell’Adriatico o del Tirreno. Diretta verso la Puglia, oppure verso la Sicilia."
Il vecchio Colonnello si era messo le mani nei pochi capelli, sconsolato. Arcieri si era alzato in piedi ed era venuto accanto a lui. Teneva le mani in tasca e la sigaretta in bocca, all’americana.
"Questa è la situazione, colonnello: siamo abbandonati da tutti. Però Badoglio ha lanciato quel proclama, con una frase, "reagire ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza" che è un comodo paravento per lui e una colossale fregatura per noi."
Il colonnello aveva lasciato la sua scrivania e si era abbandonato pesantemente su una poltrona.
"Cosa dobbiamo fare, capitano?"
"Quel che ci detta la coscienza, oppure, al contrario, ciò che ci suggerisce l’istinto di sopravvivenza."
"Vuol fare lo spiritoso, adesso?"
"Non mi pare ci sia davvero nulla di comico, in questa situazione. È una farsa, sì, ma una farsa velenosa. Io credo, colonnello, che sia arrivato il momento di fare i conti con i fascisti e coi tedeschi. Lei è ancora fascista, colonnello?"
L’anziano ufficiale era diventato rosso in viso.
"Che discorsi sono questi!"
"Non si alteri, colonnello. Non sono un idiota: tre quarti degli italiani hanno creduto in Mussolini. Lei fino a quando?"
Il Colonnello aveva alzato il mento, orgoglioso:
"Io non lo sono mai stato! La mia famiglia è di antica tradizione piemontese e militare!"
"Mi sa proprio che ne troveremo pochi, d’ora in poi, di fascisti autentici. Comunque, da questo momento, io considero sospesa la catena gerarchica di comando e mi assumo la responsabilità di una decisione autonoma, che si tradurrà in un’azione personale oppure, se lei è d’accordo, colonnello, in una collettiva dei soldati e degli ufficiali che sono ai suoi ordini…"
"Che intende dire?"
"Visto che lei, come mi ha appena detto, è un soldato per convinzione profonda e per tradizione familiare, e dato che ha prestato, come me, giuramento al Re, di cui Badoglio è Primo Ministro, combatteremo contro i tedeschi, se verranno qua con la pretesa di disarmarci."
"Ci uccideranno tutti."
"Non è detto. Parli agli uomini, subito."
Arcieri aveva convinto il colonnello a tenere un breve discorso agli ufficiali e ai soldati. Aveva detto anche lui qualche parola, che evidentemente era risultata particolarmente efficace, poiché con sua sorpresa, tutti, con l’eccezione di qualche fascista convinto, avevano accettato con entusiasmo la prospettiva di difendere la caserma dai tedeschi. I quali si erano fatti vivi ben presto: all’alba del 10 settembre, varie camionette si erano sistemate in posizione strategica, obbedendo evidentemente a un piano preordinato, intorno al Piazzale di Porta San Paolo. Alle sette, un sottufficiale della Wehrmacht si era presentato con un fazzoletto bianco alla porta della caserma. Aveva rifiutato di entrare ed aveva scambiato poche battute col colonnello all’interno del corpo di guardia, in un Italiano approssimativo ma perfettamente comprensibile:
"Dovete consegnarvi immediatamente, altrimenti la caserma sarà colpita con l’artiglieria."
La situazione era apparsa subito critica. Invece di rimanere asserragliati fra quattro mura scarsamente difendibili, il Colonnello aveva accettato il suggerimento di Arcieri di far uscire gli uomini perché si disponessero nella zona, in gruppetti sparsi: una specie di difesa elastica, in stile guerriglia.
Arcieri aveva preso il comando di due plotoni di soldati, aiutato da un paio di sottotenenti di complemento. Avevano preso i fucili e si erano spostati, in formazione irregolare sul Lungotevere, verso il ponte Sublicio. Lì avevano incontrato un altro capitano, di cui Arcieri non seppe mai il nome: comandava un reparto di carristi e aveva a disposizione dei carri armati leggeri L33, detti "scatole di sardine": potevano fare ben poco contro le colonne corazzate modernissime dei tedeschi, ma era sempre meglio che combattere con pistole e fucili. Erano arrivati anche dei civili, che si erano uniti ai pochi soldati del Regio Esercito e avevano preso a sparare: un’azione di cecchinaggio che era riuscita a provocare qualche perdita fra i tedeschi. Anche il capitano dei carristi era riuscito a sparare qualche buon colpo, centrando un paio di corazzati nemici. Ma la difesa si era rivelata subito inefficiente, per la troppa disparità di forze. Arcieri aveva preso con sé degli uomini e aveva cercato di aggirare la colonna tedesca, alla ricerca di improbabili rinforzi.
Ed era andata così che era stato sorpreso dai due militari tedeschi, e condotto, con le mani alzate, fino al loro comando.
III
Arcieri fu portato dai due giovani soldati tedeschi verso le mura aureliane. C’era altra gente, militari italiani e civili, con le mani sulla testa e il volto contro gli antichi mattoni imperiali. Sembravano pronti per essere fucilati, seduta stante, e Arcieri non considerò affatto peregrina l’idea. Invece furono tenuti per ore in piedi, contro il muro di mattoni del Quarto Secolo, che aveva visto avvicinarsi i Goti di Alarico, ed ora i loro piccoli pronipoti. Arcieri aveva accanto a sé un civile, un uomo di quarant’anni anni in giacca e cravatta, che era riuscito a conservare anche la sua borsa di cuoio. Aveva solo la camicia un po’ insanguinata, per il resto era in ordine. Gli disse che era un avvocato e che stava andando in Tribunale per difendere un suo cliente, quando aveva visto il movimento e si era ritrovato con una pistola in mano, dietro altri civili che sparavano contro un cingolato tedesco. Non avrebbe saputo spiegare, gli disse, il perché del suo comportamento: aveva solo sentito l’istinto di combattere contro i tedeschi, e adesso pensava a suo figlio, un ragazzino di dodici anni che lo aspettava a casa. Gli disse come si chiamava: Franco Ricci, aveva le foto della moglie e del figlio, nel portafogli, e gliele fece vedere. Arcieri non aveva nulla da mostrare. L’avvocato fu portato via da due soldati, e Arcieri lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava, con la sua borsa sotto il braccio, che non voleva lasciare.
Rimasero altre tre ore in piedi, contro il muro, scandite dalle campane delle chiese. Arcieri pensò che era certamente una tortura dei tedeschi, per spezzar loro ogni difesa. Quando qualcuno provava a sedersi per terra, un militare tedesco veniva subito col mitra puntato e con i rabbiosi Schnell, schnell! che lo costringevano a rialzarsi subito. Alla fine vennero a prendere anche lui. Lo portarono verso una caseggiato. Sentiva dei colpi isolati di fucile, ogni tanto, e delle brevi scariche di mitra. Forse li stavano ammazzando tutti, uno per uno. Lo fecero entrare in un appartamento, evidentemente requisito seduta stante. C’era un tinello arredato con mobili moderni, e una grande radio, in un angolo. Accanto, i tedeschi avevano sistemato un apparecchio rice-trasmittente, e un operatore aspettava, con le cuffie e il microfono pronti.
Nessuna traccia degli abitanti. Un soldato voleva che Arcieri si togliesse la cintura. Lui resistette, e allora il tedesco lo colpì in bocca col calcio del fucile. Cominciò a sanguinare, ma gli bastò il suo sguardo per ottenere che lo lasciassero stare.
Entrò un Untersturmführer delle SS e l’operatore e il soldato scattarono in piedi. L’ufficiale aveva più o meno l’età di Arcieri. Non pareva proprio un puro rappresentante della "razza ariana" caro a Hitler: non era alto, aveva i capelli neri corvini e gli occhi scuri. Si sedette su una delle sedie in stile Novecento, davanti a un quadretto che la famiglia proprietaria dell’appartamento doveva aver comprato come ricordo di una gita alle grotte di Postumia. Scambiò poche battute con l’operatore, che cominciò ad armeggiare alla radio e poco dopo gli passò le cuffie e il microfono. L’ufficiale parlò fitto con qualche suo superiore ed ebbe dei brevi scatti, come un volatile in gabbia: Arcieri, che non capiva affatto il tedesco, afferrò solo qua e là dei Jawohl, e il canonico Heil Hitler finale. Con grande sorpresa di Arcieri, quando posò il telefono da campo, l’SS parlò in perfetto italiano.
"Dai suoi documenti risulta che lei è un ufficiale dei Regi Carabinieri. Come ha osato tradire i suoi camerati germanici, prendendo le armi contro di loro, e istigando i suoi soldati a fare altrettanto?"
"Io ho obbedito agli ordini che provenivano da chi, in quel momento, era il mio diretto superiore."
"Stupidaggini! La vostra catena di comando non esiste più da ieri sera! Nessuna comunicazione è avvenuta tra il comando della piazza di Roma, lo Stato Maggiore italiano e i vari reparti! Le sue sono menzogne! Lei ha tradito di sua iniziativa."
"Si sbaglia. Io ho ricevuto un ordine preciso dal mio superiore diretto in linea gerarchica."
"E chi è? Sono fuggiti tutti."
"Per questo è fuggito anche lui. Io ho obbedito all’ordine di Sua Eccellenza il maresciallo Badoglio, inciso su disco e trasmesso alla radio."
Il tedesco rise.
"Badoglio? Ah, Arcieri, lei è un tipico italiano. Questa è ipocrisia totale."
"L’ipocrisia effettivamente c’è, ma è tutta di Badoglio. Io, obbedendo al suo ordine, ho seguito anche la mia coscienza. Quindi non sono ipocrita, ma perfettamente coerente."
"E la sua coscienza le dettava di prendere le armi contro i suoi fratelli germanici?"
"Le ho prese anche contro i miei fratelli inglesi."
Il tedesco dette uno schiaffo ad Arcieri.
"Basta! Lei è un impudente."
"Siamo pari grado. Mi aspetterei anzi che ci dessimo del tu."
"Se lo scordi, vigliacco traditore di un italiano!"
"Se lei fosse un uomo, mi permetterebbe di rispondere adeguatamente a questa offesa."
"Siamo in guerra, non ad una gita in campagna. Ho appena ricevuto l’ordine di passare immediatamente per le armi i civili che hanno sparato contro i soldati germanici, e di inviare i militari ad un campo di concentramento provvisorio, in attesa di un giudizio della corte marziale."
Arcieri sentì ancora degli spari isolati, e pensò all’avvocato in giacca e cravatta, con la sua borsa di cuoio che certo conteneva i documenti per la difesa del suo cliente, magari in lite con un vicino per questioni condominiali, mentre il figlio dodicenne l’aspettava a casa.
"Uccidete i civili? Questo è omicidio."
"Lei parla a vuoto, ben sapendo di avere torto. La legge di guerra è chiara. Hanno sparato come terroristi sulle nostre truppe regolari."
Arcieri cercò di pensare in fretta.
"Sono stati obbligati a combattere da me e dagli altri ufficiali."
L’SS rise.
"Cerchi di trovare qualcosa di meglio, capitano. Voi italiani siete tutti così: non avete un’Idea che vi guidi, uno spirito di lotta, una fede. I vostri valori sono la mamma, l’amico, la donna, ma soprattutto salvare la pelle. Quel che le interessa è che quei vermi non siano giustiziati. Non le importa se è giusto o meno che finiscano al muro. Non vuole vedere scorrere il sangue, questo è tutto…"
"Sono stato io a costringerli. Avevano i fucili dei miei uomini puntati contro, per mio ordine. Non volevano affatto spararvi. Ha detto bene, Untersturmführer: sono poveri italiani, padri di famiglia, impiegati, operai, avvocati… Che vuole che importi loro, dei valori profondi? Sono gente da mandolino e pastasciutta. La responsabilità è mia."
"Interessante dialettica, capitano. Sarei curioso di vedere cosa dice il codice militare di guerra in casi come questi, se le credessi. Ma la sua storia è così improbabile che mi basterà un niente per smontarla: interrogherò qualcuno di quei vermi, prima di metterli al muro. Sono certo che non passerà loro nemmeno per la testa di denunciarla quale aguzzino istigatore al crimine. E così firmeranno da soli la loro condanna."
"Ne risparmi almeno uno. Uno l’ho davvero costretto con la forza a combattere. Potrà scoprire facilmente che non aveva un’arma, gli è stata imposta. È un giovane avvocato, con moglie e figlio. E lui è così poco italiano che, certo, negherà fino all’ultimo di essere stato costretto a combattere. Ma è così, mi creda. Salvi almeno lui."
"Lei è davvero un uomo singolare, capitano. Quasi quasi non sembra un italiano tipico, almeno non di quelli che ho conosciuto io. Quindi le basta che risparmi uno di quei vermi. Uno di quelli che tiene famiglia, naturalmente, come dite voi. Sono tentato di accontentarla."
L’ufficiale delle SS chiamò il soldato di guardia fuori della stanza, con un ordine secco come una fucilata. Gli disse qualcosa, quello scattò immediatamente e uscì di nuovo. Rimasero in silenzio per almeno un quarto d’ora: Arcieri sempre in piedi, il telefonista muto, accanto alla radio da campo. Poi, finalmente, il soldato tornò: teneva per un braccio l’avvocato, che era pesto, con la camicia fuori dei pantaloni. La cravatta non c’era più, ma aveva ancora la borsa stretta sotto il braccio: chissà in che modo era riuscito a conservarla. Arcieri lo guardò negli occhi con un’espressione che era insieme una specie di ordine e una preghiera. L’SS si alzò in piedi e si mise davanti all’avvocato.
"Come si chiama, lei?"
"Franco Ricci."
" Questo capitano italiano dice che lei è un avvocato."
L’uomo fece cenno di sì.
"Risponda."
"Sì, sono un avvocato."
"E tiene famiglia."
L’avvocato aveva l’aria stupita, ma fece ancora cenno di sì. Il tedesco lo colpì col dorso della mano.
"Parli!"
"Sì, ho famiglia."
"Il capitano qui presente, dice che lei è stato costretto, sotto minaccia di morte, a sparare contro i soldati germanici. È vero?"
L’avvocato guardò Arcieri, che gli fece un fugace cenno affermativo con gli occhi, chiudendo le palpebre. L’avvocato capì al volo.
"Sì, è vero."
"Ah, magnifico. Ma che talento di commedianti, che avete, tutti e due: meglio dei teatranti del Carro di Tespi, gli straccioni che ho visto l’anno scorso, a una rappresentazione per l’amicizia italo-germanica. Che manica di imbroglioni miserabili, che siete. Complimenti, complimenti al talento. D’altra parte, lei è un avvocato… Dunque vi dirò cosa ho intenzione di fare: d’accordo, l’avvocato Franco Ricci non sarà passato per le armi. Lei è giunto appena in tempo, capitano, sa? L’avevano già messo contro il muro. Non so ancora cosa recita il codice militare di guerra, in casi come questo, ma agirò di mia iniziativa. L’avvocato Ricci andrà a casa dalla mogliettina e dal bambino, spaghetti e mandolino, italiani di merda. Lei, invece, sarà fucilato. Unico tra i militari, visto che ho ricevuto l’ordine di portarvi tutti a un campo di concentramento che stanno approntando sulla Salaria. Contento?"
"Voglio vederlo andar via."
"Non si fida della parola di un Untersturmführer delle SS, capitano?"
"No."
Il tedesco stava per colpire di nuovo Arcieri, ma si fermò.
"Le pallottole del plotone guariranno anche questa offesa. Ma perché mai dovrei accontentarla?"
"Per rispetto nei confronti di qualcuno che ha dato la propria vita per salvare un innocente. Non è questo un valore abbastanza alto, per lei?"
L’SS sembrò esitare. Non rispose subito.
"Va bene, lo vedrà allontanarsi."
Li portarono fuori. Passarono davanti a soldati che bivaccavano all’aperto. Si sentivano ancora gli spari isolati. Arcieri sperò che si trattasse di sacche di resistenza, in città. Quando furono nel mezzo del piazzale, l’SS intimò un Alt! e diede un altro ordine secco al soldato che teneva Arcieri e l’avvocato sotto minaccia del suo mitra. Il soldato colpì Ricci al fianco, con la canna della sua arma.
"Schnell!"
L’avvocato lì per lì non capì, non si mosse, ma l’SS fu chiaro:
"Se ne vada, pezzente. Da quella parte!" E indicò la piramide Cestia. Arcieri sapeva che i tedeschi non avevano ancora avuto il tempo di bloccare tutta la città. Non vide cavalli di frisia, al di là c’era il Piazzale Bottego, il Testaccio, e certo i tedeschi non avrebbero rischiato imboscate. Se Ricci avesse raggiunto quelle case, sarebbe stato salvo. Seguì con lo sguardo il giovane avvocato, con la sua borsa di cuoio: si era rimesso la camicia nei pantaloni, e si allontanò prima esitante, voltandosi continuamente indietro, poi si mise a correre, finché non sparì alla vista.
"Soddisfatto, capitano Arcieri?"
"Sì, mi basta aver salvato una vita."
"Ma ora la faccio fucilare."
"Mi stupirei del contrario."
Lo portarono al muro. Vide dei cadaveri di civili. Un sergente tedesco comandava un plotone di esecuzione arrangiato: cinque uomini con dei mitra. L’SS lo chiamò e quello scattò. Parlarono brevemente, poi Arcieri vide il sergente che alzava il braccio destro nel saluto nazista e tornava verso di loro. Ma non successe nulla. Lo lasciarono per oltre un'ora così, in piedi, davanti al muro della morte, sorvegliato da un solo militare, in un'attesa insostenibile. Avrebbe anche potuto mettersi seduto per terra, ma non lo fece: rimase dritto, quasi sull'attenti, in attesa del ritorno del sergente e del plotone.
Tornarono quando ormai non ne poteva più e sarebbe crollato certamente da un momento all'altro. Gli legarono le mani dietro la schiena e lo spinsero contro il muro sbrecciato. Vide i cinque giovani nazisti che gli si mettevano davanti, con i mitra in pugno.
IV
Un ordine dell’SS fermò l’esecuzione.
"Non ancora."
L'ufficiale si avvicinò ad Arcieri e lo scrutò attentamente. Cercava qualcosa, ma evidentemente non la trovò, perché assunse un'aria molto seccata, che cercò di mascherare sotto un sarcasmo che per la prima volta, ad Arcieri, parve forzato.
"Ho deciso di provare a lei e a me stesso che il capitano Bruno Arcieri è un italiano tipico, nel senso che intendo io. Voglio darle una possibilità di salvezza. Conosce la corsa del coniglio?"
Arcieri, estenuato, scosse la testa. Il sudore gli aveva intriso tutta l'uniforme, e gli colava a rivoli per il viso. L'SS gli mise una sigaretta in bocca e glie l'accese.
"Si tratta di uno scherzo che facciamo ai banditi francesi. Diamo loro una possibilità: li portiamo in un certo corridoio murato, davanti a una mitragliatrice. Possono correre verso l'uscita, e hanno una possibilità, ripeto, una possibilità certamente assai remota, di non essere colpiti. Fino ad ora non si è salvato mai nessuno. Però tutti corrono, appunto, come conigli. Lo farà anche lei."
Arcieri tirò una boccata di fumo aspro dalla sigaretta del tedesco. Pensò all'avvocato italiano, che forse in quel momento mangiava la pastasciutta e abbracciava suo figlio, raccontando la sua disavventura. Gli bastava.
"Se lo scordi. Dia l'ordine e facciamola finita. Le farò vedere come so comportarmi."
"Lei è un coniglio come tutti gli altri italiani. Correrà."
"No."
"Va bene, lo vedremo. Lei ha molte più possibilità, rispetto ai banditi parigini. Qui non c'è un corridoio di cemento, ma una grande piazza. Ci sono ancora degli alberi. Dalla parte dov'è fuggito a gambe levate il suo eroico amico avvocato, i nostri non controllano l'abitato. Lei, capitano Arcieri, potrebbe anche farcela, sgattaiolando qua e là. Diciamo che se è un buon coniglio corridore, come certe varietà che abbiamo in Renania, può salvarsi la pelliccetta. Mio padre si diverte a farli scappare da una gabbia, i conigli, e spara con un vecchio fucile ad avancarica. Quando li prende, saltano come cavallette e rimangono lì. Lei salterà? Voglio vedere. Un coniglio italiano che salta, colpito da una raffica. Ma non si butti troppo giù... Indubbiamente ha una possibilità. È un italiano, salvare la pelle è il suo sport nazionale."
"Dia l'ordine al plotone di fucilarmi, non ne posso più. Lei è un uomo crudele, inutilmente crudele."
"Ma come? Se le sto dando una possibilità..."
"Lei vuol solo dimostrare che sono un vigliacco senza ideali. Non avrà questa soddisfazione."
L'SS dette un altro ordine incomprensibile al sergente. Questi prese Arcieri per un braccio e lo portò via dal muro. Lo mise in mezzo alla piazza.
"Corra. Conto fino a cinque, poi i miei uomini spareranno"
Arcieri non mosse un muscolo, sull'attenti come una statua di bronzo.
"Corra, maiale di un italiano. Conterò fino a dieci. Voglio che si salvi la pelle. Avanti, corra. Faccia la corsa del coniglio."
Arcieri non si muoveva. Poi udì una voce in lontananza, dietro di sé. Una specie di debole grido disperato:
"Capitano, dia retta a lui. Corra!"
Girò il capo: vide, lontano, l'avvocato. Aveva ancora la sua borsa sotto braccio. Gli fece cenno col capo di andarsene, in modo imperioso. L'aveva salvato, per suo figlio: perché non era fuggito? Che ci faceva, ancora lì? Così era tutto vano...
"Corra, capitano! Presto! Verso di me!"
L'SS sembrava non essersi accorto del nuovo venuto: d'altra parte era lontano, c'erano altre voci che gridavano, solo Arcieri sembrava aver capito le parole di quella piccola figura oltre la piazza, che agitava la sua borsa. L'SS parve fargli eco involontaria:
"Corri, coniglio di un italiano. Corri!"
All'improvviso si materializzarono altri civili, accanto all’avvocato. Due corsero in avanti, e Arcieri riuscì a vedere che uno di loro aveva in mano una pistola. Che succedeva? Quando fu a cinquanta metri da lui, un uomo in canottiera, con la barba lunga, gli gridò:
"Scappi, non faccia l’imbecille fino in fondo!"
Arcieri, in quei terribili istanti, visse un cambiamento per lui epocale. Lottò contro la forza imperiosa che gli imponeva di restare lì, sull'attenti, ad attendere la scarica. Ma pensò anche al dolce profumo della vita. Non ragionava più, non ne aveva la possibilità. E allora sentì i suoi piedi che si muovevano, si girò e corse verso l'avvocato, che da minuscolo si faceva sempre più grande, e agitava la sua borsa. Perché non partiva la raffica? Perché non sentiva la frustata muta nella schiena, perché non cadeva, perché non moriva?
Poi capì. Vide i due cingolati italiani, davanti a sé. Erano sbucati ai lati dell'avvocato, come due mostri mitologici, ma dei mostri buoni. Sentì fischiare le pallottole, alla sua destra e alla sua sinistra, e vide i lampi delle mitragliatrici dei mezzi pesanti del regio Esercito, che tiravano ai tedeschi. Si girò, e il plotone d’esecuzione non c'era più.
Si ritrovò per terra, oltre il muretto di un giardino, quasi abbracciato all'Avvocato, che lo guardava sorridendo.
"Pensava che l'avrei abbandonato?"
Arcieri ebbe la forza di sorridere anche lui. Avrebbe dovuto rispondere "Sì", ma fece cenno di no con il capo, con forza. Si sentì profondamente cambiato, ma niente affatto trasformato in coniglio.
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