Avevo già letto alcuni racconti suoi ma la prima volta che affrontai Scerbanenco in modo professionale fu nel 1969, quando Duccio Tessari, un regista molto noto all’epoca, mi chiamò per chiedermi se volevo sceneggiare per lui il romanzo I MILANESI AMMAZZANO AL SABATO. Con l’impudenza tipica dei cinematografari e dei giovani, dissi di sì con molto entusiasmo, ma in realtà non conoscevo il libro. Ovviamente andai subito a comprarlo, lo divorai in un baleno e m'innamorai perdutamente del romanzo, ma soprattutto del suo autore, che era appena scomparso. Così volli leggere tutto quello che era uscito e in particolare mi fecero impazzire, oltre agli altri tre romanzi con Duca Lamberti, i racconti che cominciavano a essere pubblicati in volumi, da MILANO CALIBRO 9 ad IL CENTODELITTI.
Il lavoro con Duccio è stato uno dei più interessanti che abbia fatto per il cinema perché Tessari mise nel film quel pizzico d’ironia, tipicamente suo, che nel clima cupo e plumbeo del romanzo aggiungeva un sapore di realistico contrasto. Ma soprattutto fu estremamente fedele alla macchina gialla che io – e non sono immodesto – cercai di tradurre in racconto filmico senza tradimenti. Ne uscì un film che allora non fu molto considerato dalla critica, come il solito all’epoca molto snob e chiusa nei riguardi delle opere di genere (dal giallo al western, tutto era brutto e contavano solo i film impegnati). Ebbe un buon successo di pubblico anche se non strepitoso ma, come si dice in gergo, riportò a casa i soldi.
Ne uscì fuori a mio avviso un film, che giudicandolo adesso dopo quasi quaranta anni, è forse il più fedele ai romanzi di Scerbanenco. E per merito anche dell’attore Frank Wolff la figura di Duca Lamberti venne fuori in tutta la sua complessa bellezza.
All’epoca successe anche un’altra cosa importante per me: a gennaio del 1970 uscì in televisione il mio primo giallo televisivo, CORALBA, una grossa produzione internazionale con la Francia e la Germania, diretto da Daniele D’anza e interpretato da Rossano Brazzi, allora un divo di prima grandezza, e da un ottimo cast. Mi ricordo che CORALBA esplose proprio mentre con Tessari stavamo finendo la sceneggiatura e andavo a casa sua per le ultime riunioni. Un giorno, incontrai la mia cantante preferita di allora, la mitica Mina, bella da svenire, che, infatti, cantò le due canzoni scritte da Gianni Ferrio per il film.
Allora, per il successo di CORALBA, cominciai a essere tempestato d’interviste, diciamo che le cose per me cambiarono. Il film fu girato tutto a Milano, interni ed esterni, anche perché era prodotto da una società milanese, se non erro nella primavera del 70, perché usci sempre in quell’anno nella stagione invernale. Io non andai mai a trovare Duccio, mentre girava anche perché ero impegnatissimo a Roma per scrivere gli altri gialli televisivi che mi chiedevano in continuazione. Per chi non c’era allora o era troppo giovane, mi piace l’idea di raccontare che cos’era la televisione in quel periodo, quando c’era solo la RAI con due canali. Quando un successo esplodeva, era meglio o peggio di adesso: tutti ne parlavano, i giornali uscivano con titoloni in prima pagina, sui quotidiani c’erano rubriche fisse di critica televisiva, praticamente le avevano tutti i quotidiani e anche i periodici. Due curiosità: la grande scrittrice Natalia Ginzburg faceva la critica televisiva su IL CORRIERE DELLA SERA e io conservo ancora, come un cimelio, la recensione che su IL MONDO uno scrittore come Mario Soldati fece nella sua rubrica fissa. Stiamo parlando di Soldati, un grande letterato.
Con i gialli l’Italia si fermava, gli ascolti superavano i venti milioni. Ancora adesso l’ultima puntata di DOV’E’ ANNA? Detiene il record d’ascolto con 28 milioni di spettatori superata solo da una partita di calcio dell’Italia, scusate, ma non ricordo quale.
Per tornare a Giorgio Scerbanenco l’unica cosa che mi dispiacque e mi dispiace ancora è il cambio del titolo imposto dalla società di distribuzione, la mitica Titanus dell’altrettanto mitico Goffredo Lombardo, preoccupati che il titolo originale fosse poco nazionale e molto regionale. Così prendemmo una frase che il Duca diceva e il film divenne LA MORTE RISALE A IERI SERA. Mi fa piacere però, adesso che il mito di Scerbanenco è consolidato, vedere che il film è uscito in Dvd con il titolo del romanzo. Diciamo, una specie di risarcimento.
Due altre cose mi hanno riempito di gioia in questo periodo: l’invito da parte di Gian Franco Orsi di far parte dell’antologia della Garzanti dedicata a Scerbanenco e al suo personaggio Duca Lamberti: IL RITORNO DEL DUCA è un’operazione affascinante perché non è soltanto un libro omaggio a un grande scrittore, ma è un’enorme occasione offerta a sedici autori contemporanei di poter realizzare un sogno. Alzi la mano chi non ha sognato di poter usare come protagonista un personaggio letterario di cui si è innamorati. E ora finalmente ognuno di noi poteva rendere protagonista di un suo racconto il mitico Duca, facendogli fare quello che voleva, con totale libertà.
Quando ricevetti la proposta, mi sembrò di avere la mente vuota, poi feci la prima cosa naturale: ripresi il romanzo e lo rilessi. M’innamorai di nuovo del Duca e del suo aiutante Mascaranti, di Amanzio Berzaghi e di sua figlia Donatella, dal corpo stupendo di donna gigantesca e bellissima, però con il cervello da bambina. Nel leggere vidi scorrere davanti ai miei occhi il film che avevo scritto e che Duccio Tessari aveva girato.
Allora mi venne in mente che se Duca Lamberti fosse stato un poliziotto reale, quelli del cinema lo avrebbero invitato e avrebbero fatto carte false per averlo sul set, visto che raccontavano una storia che lo aveva visto protagonista. Mi affascinava l’idea di prendere un personaggio di fantasia e farlo diventare un essere reale messo a confronto con personaggi di fantasia interpretati da attori reali. Uno strano gioco dove realtà e fantasia si confondono e dove soprattutto avviene l’incontro fra il vero Duca Lamberti e l’attore che lo interpreta, Frank Wolff.
Con una ulteriore giravolta, di cui sono orgoglioso: nel finale, le carte si rovesciano di nuovo e la realtà, tragica e angosciosa, prende il sopravvento sulla pura invenzione. Così Duca Lamberti, nella sua ultima apparizione, torna a esercitare la professione di medico dopo che, per eutanasia, era stato radiato dall’Ordine dei medici. E, come medico, ha modo d’incontrare l’altra faccia di se stesso, l’attore che gli ha dato voce e corpo, in una situazione completamente diversa. Non aggiungo altro, in modo che vi venga voglia di leggere sia il racconto che il volume.
E mi fa piacere che molti critici lo abbiano giudicato un buon racconto, senza stabilire graduatorie. Con il timore di apparire presuntuoso, penso di aver scritto un racconto che al grande Giorgio sarebbe piaciuto.
Per questo il complimento più bello che ho ricevuto proviene da Nunzia Monanni, scrittrice e sua moglie, che mi ha scritto: “La ringrazio per il suo bellissimo racconto che mi ha riportato ai tempi lontani della lavorazione del film… tempi tristi perché Giorgio era mancato da poco e non ha potuto vedere questo bel film che avrebbe amato molto.”
Mi scuso con la signora Nunzia per averla citata, ma credo che anche lei sarebbe contenta di avere l’ennesima conferma che il suo Giorgio è sempre tanto amato non solo dal pubblico ma dagli scrittori d’oggi. Che forse sperano di avere in regalo quel tocco magico che fa dire: "questo è Scerbanenco".
Con la speranza di essere contagiati, ma purtroppo con la bravura succede raramente. Uno aspetta sempre che i miracoli avvengano. Un giorno o l’altro. I milanesi ammazzano al sabato, ma la domenica forse qualcosa accadrà…
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