Il pensiero deviato di un serial killer che decide d'un tratto di consegnarsi alle autorità permea dall'inizio alla fine questo nuovo romanzo di Amos Cartabia (Agar).
Il linguaggio è spietato e crudele, piu' diretto e volgare del previsto e del prevedibile. E dire che già la copertina mette in guardia il lettore, con il suo "vietato ai minori" che fa bella mostra di sè fra le braccia che grondano sangue del folle pluriomicida. Scritto in prima persona come fosse un diario, Billy Jhordan. Io serial killer è pieno zeppo di errori ortografici e correzioni spesso volutamente visibili. All'assassino, infatti, la direzione del carcere non affida che una vecchia macchina per scrivere e qualche risma di carta. Se devi cancellare, gli dicono, usa i trattini e non rompere.
L'autore di questa anomala autobiografia pigia i tasti come può e come sa, mentre lo Stato, intanto, gli prepara la sedia elettrica. Perchè tutto questo? Semplice: prima di farsi ammanettare, il mostro ha rinchiuso in un bunker sotterraneo due povere fanciulle e, prima di liberarle, esige di poter terminare la propria folle opera letteraria. In cambio, due cifre alla volta seminate qua e là fra le righe del diario, la combinazione segreta che consentirà all'FBI di spalancare l'uscio alle due sventurate.
Trecentosessanta pagine di pazzia e violenza, pagine e pagine di cattiveria gratuita. Inutile interrogarsi, impossibile dedicarsi alle analisi. Lo sanno gli investigatori e gli studiosi e, ora, grazie ad Amos Cartabia lo sanno anche i lettori.
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