Appare tra i primi quattro titoli della Collana Brivido Café (edita da Il Molo di Viareggio) il nuovo romanzo di Giorgio Bona La lingua dimenticata della cometa, che segue a pochi mesi di distanza il suo Erano Voci sempre pubblicato dallo stesso editore. In questo nuovo romanzo Giorgio Bona lascia le lontane terre russe per addentrarsi in quelle di casa sua. Quelle dove è nato, e dove vive. Quelle che conosce bene. E’ infatti la campagna piemontese la vera protagonista di questo libro, e in particolare quella del basso Piemonte, nel circondario del piccolo comune di Cassine a pochi chilometri da una più famosa e turistica Acqui Terme. Ed è la terra spigolosa e un po’ astiosa, abitata da paisan, contadini perfettamente pennellati dall’autore anche grazie all’abile uso di parole dialettali che permettono di inchiodare sulla pagina e senza mezzi termini, in modo ironico, sarcastico e a volte crudele, una figura, una situazione o una stato d’animo secondo la cultura alessandrina. In questa terra si produce vino. E di vino si vive. Non solo per il suo commercio, ma per quanto è capace di incidere sulla cultura e sull’animo dei paisan. Vino come filo rosso che parte dai vigneti secolari, che scorre per comprendere la vita di una comunità. Più che gli avvenimenti delittuosi (sui quali indaga Daniele Arena, commissario altrettanto spigoloso, capace di rispecchiare perfettamente le peculiarità del suo autore) è proprio la raffigurazione del mondo che sfuma attorno ai fatti che rendono questo libro degno dell’apparire in una collana di brivido. La narrazione scivola sull’atmosfera noir, degna delle migliori campagne cupe, nebbiose e retrive raccontate da un maestro come Lansdale. La scena forte è sempre in agguato, ed è questo che inchioda, ma non arriva, lasciando un turbamento. Lo fa radicare tra le zolle di questa stessa terra spesso rude dove già in autunno si vive tra la bruma, la condensa che sale dal terreno e dove non sarebbe una meraviglia sentire l’eco del terrificante ululato del mastino dei Baskerville.
Con Giorgio Bona non occorre andare oltreoceano o oltremanica per sentirsi parte di certe emozioni, è sufficiente fare un giro dalle parti di casa sua, annusare in giro gli odori, specchiarsi nei colori spesso vivaci ma quasi sempre privi di luce. E cercare di farsi raccontare da lui personalmente, o qualche contadino (magari sfuggito da questo libro) quale è veramente il timore che si porta dietro per l’intera comunità la Flavescenza Dorata (il cancro della vite), cancro che può svilupparsi a macchia d’olio fino a distruggere intere coltivazioni, intere annate di sacrifici, e, di conseguenza, intaccare sì il portafoglio dei produttori.
Ma può andare oltre, fino a rosicchiare un pezzo di anima.
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