Fillm del 1968 voluto dal produttore Dino De Laurentiis, Diabolik inaugura la svolta pop del cinema di Mario Bava che culminerà pochi anni dopo con titoli come Lisa e il diavolo e Cinque bambole per la luna d’agosto.
Inizialmente la pellicola doveva essere diretta dal regista inglese Seth Holt.
Mario Bava subentra nel progetto in un secondo momento e si trova nella scomoda posizione di dover girare un’opera su commissione che non risulti troppo indigesta al grande pubblico.
Per questo il regista sanremese pervade il film di un’estetica personalissima, che sposa il suo gusto visivo con le influenze delle avanguardie artistiche più in voga in quel periodo.
La fotografia, curata da Antonio Rinaldi insieme allo stesso regista, è pervasa infatti da tonalità forti, accese, spesso contrastanti, che aggrediscono lo spettatore cancellando da subito ogni idea di verosimiglianza.
Le scenografie poi, sono parte integrante dell’impostazione che Bava ha voluto dare al film.
A questo proposito basti pensare al look del nascondiglio sotterraneo di Diabolik, con forme e colori che mescolano disinvoltamente pop art, futurismo e psichedelia.
La sceneggiatura, nel contesto di un film che trae il suo interesse principalmente dalle immagini, passa inevitabilmente in secondo piano.
In questo lungometraggio infatti, abbiamo poco più di un canovaccio, una sequenza di eventi, che oltretutto cambiano bruscamente direzione a metà film, che servono principalmente al regista per guidare lo spettatore nel viaggio psichedelico che ha voluto proporgli.
Cancellando ogni connotazione morale del personaggio originale, che si caratterizzava per la sua natura anti-borghese e che nelle sue azioni seguiva un codice morale che i suoi nemici non possedevano, Bava smonta e sbeffeggia i valori del suo tempo.
Alla sequenza in cui il discorso del capo della polizia viene accolto da incontrollabili risate, indotte da un gas sparso nell’aria da Diabolik, o a quella in cui il ministro delle finanze si umilia chiedendo alla nazione di pagare di propria spontanea volontà le tasse, accolto anch’esso da sbeffeggiamenti e scherno, fanno da contraltare le sequenze di Diabolik e Eva sepolti in un mare di banconote, e quella in cui il ladro decora il corpo della donna con i costosissimi smeraldi appena rubati, per poi tuffarsi, insieme a lei e ai gioielli, in una piscina.
Un’amoralità figlia della sfiducia da sempre nutrita dal regista nei confronti della propria arte e del cinema in generale e che va a cozzare contro l’impostazione politicamente impegnata di tante pellicole di quel periodo.
Una menzione va fatta anche alla colonna sonora di Ennio Morricone, che si discosta abbastanza dalle composizioni più note del musicista proponendo motivi psichedelici e tipiche composizioni dell’epoca, sposando così in pieno il gusto pop che pervade il film.
In definitiva, si può dire di essere di fronte a un film importante nella filmografia di Bava, oltre che anomalo all’interno del variegato panorama dei film tratti da fumetti, l’unico caso, forse, in cui la trasposizione cimematografica è in un certo senso più fumettistica dell’originale.
Un film che, ancora una volta, mostra da un lato la sfiducia e l’auto-denigrazione tipiche del regista sanremese nei confronti del suo lavoro, ma che dall’altro lato ne ribadisce l’assoluta validità.
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