La conoscenza non deriva dagli episodi, ma solo dalle idee e dalla potenza del modello logico o geometrico.

Questo lo spirito del romanzo Delitto a quattro dimensioni, con cui Cesare Pasqua, romano appassionato di filosofia e matematica, ci conduce attraverso i meandri di un originale "mathematical thriller", che ha il respiro di un ragionamento logico.

Considerate, infatti, il problema della camera chiusa: esso somiglia al paradosso di Epimenide, il cretese che enunciò la proposizione “i cretesi sono bugiardi” (proposizione che non può essere né vera né falsa, quindi è un paradosso). E il delitto di una donna in carriera, strangolata nel suo appartamento, chiuso dall’interno, è come un "ipersolido" di dimensione 4: le 3 spaziali e la quarta di chi si interroga e cerca il colpevole.

Come il commissario a riposo Baldi: vissuto gomito a gomito con il delitto per tutta la vita, ha fatto della lentezza un dogma e del gioco degli scacchi rappresentazione geometrica dell’esistenza. E proprio il Baldi, catapultato in treno in un interminabile viaggio per l’Italia (anche il treno è paradosso, perché congiunge due punti più o meno lontani, senza mai muoversi), comincia una disamina puntigliosa del delitto, dei presunti omicidi e dei loro moventi. Poiché non si ragiona mai da soli a voce alta, un giovane paziente passeggero diviene lo specchio delle riflessioni del vecchio commissario. Con i soli strumenti della logica e della matematica, il commissario ridà vita alla vittima e agita una ridda di personaggi, in uno stillicidio di sillogismi e deduzioni. Perché “ciò che è già accaduto è necessario”, egli giunge alla conclusione che in nessuno dei mondi possibili la vittima avrebbe potuto salvarsi. Anzi, anche il giovane passeggero che lo ascolta potrebbe essere l’omicida in fuga oppure semplicemente un uomo che giunge a destinazione.

In conclusione, quando il treno riparte, il commissario si ritrova, da solo, a osservare i binari in lontananza, somiglianti a curve algebriche di vile metallo: l’emblema del movimento. Da cui zampilla, secondo Zenone di Elea, la necessità, se il movimento esiste, di percorrere in un tempo finito infiniti tratti. E quindi l’impossibilità di giungere alla conclusione. Dell'omicidio, come del significato che vi sta dietro.