A questo punto, dopo avere esaminato diverse detective lady (anche quelle non ancora inserite nella mia rubrica), è venuto il momento di tirare le somme su tre aspetti peculiari della loro vita che saltano subito agli occhi del lettore: lavoro, famiglia e sesso.
Vediamo che cosa fanno e come se la passano da un punto di vista economico. Ce ne sono di tutti i tipi e di tutti i colori: zitella, madre di famiglia, detective privato, avvocato, agente, commissario, ispettore, sergente (mettete tutti gradi della polizia e dell’FBI), medico, patologa, archeologa, insegnante, psicologa, levatrice, infermiera, suora, sostituto procuratore ecc… Ci manca, forse, la becchina ma non ne sono tanto sicuro. Si trovano in ogni luogo e in ogni tempo. Negli Stati Uniti come nella Botswana, in Francia come in Norvegia, o in Egitto, o in Germania o nella Nuova Guinea. A nord a sud, ad est ad ovest. In cielo, in terra, in mare. O in Italia. Qui da noi è stato attuato appieno, senza troppi problemi, il federalismo giallistico. Non c’è regione, provincia, comune, piccola città o borgo sperduto tra le montagne che non abbia il suo bel commissario/a-ispettore/trice-investigatore/gatrice che dir si voglia. E in ogni tempo dicevo. In quello dei greci e dei romani, nel medioevo, nel rinascimento e su su fino ai giorni nostri (l’ultima che ho sotto mano è Maisie Dobbs di Jacqueline Winspear nella Londra degli anni Trenta) e perfino nel futuro (Eve Dallas è infilata da J.D. Robb, pseudonimo di Nora Roberts, nel 2058. Leggere Codice cinque, Tea edizioni 2004, per credere). Oppure giù giù fino all’età della pietra (esagerazione tipicamente toscana) dove bastava una randellata in testa, e non tanti mezzi sofisticati, per mettere fine all’odiato/a essere (più o meno) umano.
In genere non se la passano male, soprattutto le avvocatesse americane con i loro studi tirati a lucido ed i vestiti alla moda (in gran voga gli stilisti italiani da Versace a Gucci ad Armani ecc…). Se sono sull’orlo della bancarotta (spesso) c’è sempre qualcuno pronto a rimpinguare le loro finanze. Certo chi lavora per lo Stato si becca il solito salario e non c’è da stare allegri. Non mancano “uffici” (le virgolette ci stanno a pennello) rappezzati, magari ricavati da un garage, ma comunque mi pare che sia passato il tempo dei Marlowe dalla faccia d’angelo (o da diavolo) e dei loro bugigattoli scalcinati, delle sedie diroccate, delle pseudoscrivanie pericolanti sulle quali poggiavano temerariamente i loro piedi con sommo sprezzo del pericolo (quella di mettere i piedi sul tavolo da lavoro non è proprio da detective lady anche se si trovano esempi come Stella del Fante di Claudia Salvatori). In ogni caso diciamo che c’è chi sta peggio e la chiudiamo qui.
Oltre a doversela vedere con il famoso lunario e l’assassino di turno, la detective lady moderna ha anche il compito di criticare e filosofeggiare per il suo Tuttologo (leggere Satiretta n°3 nello “Spazio libero”).
Per andare sul concreto basta pensare a due libri recenti: Nido vuoto di Alicia G. Bartlett, Sellerio 2007 e Uno sbirro femmina di Silvana La Spina, Mondadori 2007 dove le protagoniste, Petra Delicado e Maria Laura Gangemi non diventano altro che strumenti delle autrici per criticare la società e tirar fuori la filosofia della vita. Petra sul brutale sfruttamento infantile e delle lavoratrici straniere “Di colpo mi tornarono in mente la responsabile del laboratorio, le operaie rumene, rinchiuse a cucire, i bambini di strada, la pornografia minorile. Il sorriso che avevo ancora sulle labbra sparì di colpo”. E non è la prima volta che la scrittrice spagnola inserisce la vicenda gialla in una cornice di umanità più o meno degradata. Ricordo le lotte clandestine dei cani, il mondo sotterraneo delle sette, il fango della cosiddetta stampa rosa, quello dei senzatetto e dei quartieri alti. Il cinismo, la povertà, la disperazione. Maria Laura sui mariti violenti, sulla Mafia (Don Nitto Torrisi), sulla Chiesa come apparato burocratico in contrasto con la chiesa militante di don Jano Platania (un disobbediente per Monsignor Corrao) ucciso dal figlio di un boss, sulla città di Catania, sui siciliani tutti “ che vedono nel caffè la panacea di tutti i mali”, sulla Sicilia dei soprusi e del voto dato dietro compenso, sull’Italia “delle vallette, delle sceneggiate politiche, degli inciuci, delle arroganze, delle prepotenze, delle minacce e dei ricatti, delle feste napoleoniche sui panfili dei finanzieri che si mangiavano le nostre finanze a morsi”. E così via. Due esempi ( dove i vari piani del racconto sono però abbastanza bene amalgamati) che si aggiungono ormai a molti altri (dove i vari piani fanno a capocciate).
Chiusa la parentesi lavorativo-sociofilosofica il problema delle nostre amiche libresche è ben altro.
Non c’è una donna-poliziotto o una investigatrice privata che non abbia una situazione personale o familiare da brivido. Grassa se i suoi genitori sono vivi. In caso positivo stai sicuro che risultano divorziati (la mamma sprint di Nan Vining ha quattro matrimoni alle spalle). Uno dei due, di solito il padre (chissà perché), deve essere già sotto tre metri di terra. Anche per fratelli o sorelle vale la stessa cosa. Se sono ancora vivi sono anch’essi sfortunati (come minimo divorziati o violentati) o hanno le rotelle fuori posto e possono perfino minacciarla di morte. La sfiga può tranquillamente allargarsi a cerchi concentrici sugli/sulle amici/amiche e perfino sugli/sulle amici/amiche degli/delle amici/amiche. Ho sotto gli occhi In caso di mia morte di Carlene Thompson, Marcos Y Marcos editore 2004. Qui abbiamo Crystal, l’amica di Laurel Damron (protagonista principale), che per prima cosa perde i genitori, poi partorisce un bambino senza vita, ed infine viene lasciata dal marito. Monica (altra amica) è più fortunata. Perde solo la madre, poi il padre si sposa di nuovo ma la moglie non ne vuole sapere di lei e viene spedita presso una prozia. Anche Mary, sempre amica della suddetta, (e sorella di Faith finita morta impiccata per un gioco pazzesco e sfortunato), viene abbandonata dal marito Neil Kamrath ( e qui non c’è niente di nuovo sotto il sole). Il quale marito perde moglie e figlio in un incidente stradale. Dico la verità. Sono solo a pagina 63 ma ho paura ad andare avanti. E non certo per il racconto in se stesso.
Tolta di mezzo la parentela e le amicizie passiamo a lei. Anch’essa divorziata almeno una volta o anche due e più al bisogno (Una bomba per gli appassionati di Petra Delicado già citata. Si è sposata nuovamente! E siamo a tre…), con l’ex marito che le sta ancora tra i piedi e perfino nella stessa casa. E che magari conosce anche il suo nuovo fidanzato. Se il matrimonio funziona (una su mille ce la fa come Jane Rizzoli che aspetta un bambino) mettiamo pure in conto che può ritrovarsi vedova in quattro e quattr’otto con l’amico poliziotto che le fa una corte spietata per prendere il suo posto (quello del marito). Da vedova le può pure capitare di perdere il figlio o la figlia tanto per completare il quadro. Se il matrimonio non funziona può essere tranquillamente lasciata insieme con un paio di mocciosi a farle compagna. Se invece non si sposa, visto il vento che tira, non è che la faccia franca. Avrà un sacco di fidanzati (Mariarita Fortis, creatura di Claudia Salvatori, se non sbaglio arriva a undici) che la prenderanno in giro o che prenderà in giro perché è una donna moderna e disinibita. Non se la cava nemmeno da lesbica perché le si presenteranno (quasi) tutti gli stessi problemi. Ma non è finita qui. Troppo comoda. Sia per il lavoro che svolgono, sia per i vari accidenti della vita, sono talvolta in compagnia della depressione (cito, per esempio, Rebecka Martinsson di Il sangue versato di Asa Larsson, Marsilio 2007), oppure, pur combattendo il crimine, ne sono attratte in maniera patologica come Lucie Henebelle protagonista di La stanza dei morti di Franck Thilliez, Nord edizioni 2007. Essendo il primo libro dell’autore vedremo in seguito che cosa potrà combinare. Insomma una sfiga tremenda che fa venire i lucciconi solo a pensarci. E veniamo al sesso.
Tralasciamo le detective di un secolo fa (o suppergiù) in genere asessuate (non tutte) perché di età avanzata o zitelle per convinzione (o per forza dirà qualcuno) o perché suore (sebbene in alcuni casi il germe dell’istinto si insinui anche in loro). Non è poi che nelle loro storie il sesso sia bandito del tutto. Anche Miss Marple non fa sesso ma neppure lo ignora. E’ parte integrante della natura umana. Certo nelle sue storie non c’è da aspettarci chissà che cosa e un casto bacio dell’età vittoriana può benissimo rappresentare un’orgia dei giorni nostri. Ma insomma la simpatica vecchietta è preparata anche su questo tema così scottante. E non solo sul sesso “normale”. Mi pare che lo dica lei stessa (ma non fidatevi e controllate meglio). Ci interesseremo, invece, della donna-poliziotto più vicina a noi anche se non sempre esattamente dei nostri giorni.
Rara avis la freddina alla Kathy Mallory, la bionda “dagli occhi di ghiaccio”, quella che per un motivo o l’altro non vuole saperne del maschietto o maschiaccio che le gira intorno e che prende pure a pesci in faccia. Per tutto il romanzo (Come una bambola di stracci di Carol O’Connell, Piemme 2006) non aspetti altro che si sciolga con qualcuno ma non c’è niente da fare. Anzi qualcosa ci sarebbe da fare. Darle una sberla. Perché proprio alla fine del libro… Ma leggiamolo direttamente “Charles sentiva il suo respiro sulla pelle, i suoi capelli che lo sfioravano e un profumo di fiori esotici che non crescevano a New York. Gli era sempre più vicina e lui annegò nel verde dei suoi occhi, sempre più grandi. Lei posò le labbra sulle sue, dolcemente, scatenando in lui una paralizzante corrente elettrica che gli inondò il corpo di un caldo sfarfallio. E lui la baciò”. E lei cosa fa? Lo saluta e se ne va lasciando il povero Charles come un allocco. Credo che sia un trucco intelligente delle autrici (pochissime) per mantenere viva l’attenzione verso la protagonista in un mondo (quello del giallo in generale) dove se non stai attento te la sbattono pure in faccia.
Poi c’è quella che la tira per le lunghe e ti fa soffrire per tutte le tre o quattrocento pagine (anche cinquecento). La do o non la do, sì la do, no non la do, vedremo se la do (detta proprio terra terra). Uno stress per il lettore peggio di quello provocatogli dall’intera vicenda di morti ammazzati spinto istintivamente ad urlare “Ma perché non gliela dai brutta schifosa!” Alla fine o non la dà (vedi per esempio Anna Travis in Dalia Rossa di Lynda La Plante, Garzanti 2007 che almeno in fondo si lascia baciare) o la dà che la dà che la dà. Tramortendo il povero masculo di turno che si ritrova pesto e sanguinante peggio di un incontro di boxe. Esagero? Ecco come ci si mette d’impegno Ewa Johnsén (Il mercato dei ladri di Jean Guillou, Corbaccio 2007) “Quando sentì che tentava di divincolarsi sotto di lei, mormorando qualcosa che poteva sembrare la parola “preservativo”, lo tenne fermo scuotendo la testa e si chinò su di lui bisbigliando che voleva averlo tutto dentro di lei, tutto e ancora di più, di più”. Poi aspetta che sia di nuovo pronto e gli bisbiglia ancora una volta all’orecchio di volerlo fare ogni dieci minuti (mi immagino la faccia di Pierre). Oppure Petra Connor (Subito dopo mezzanotte di Jonathan Kellerman, Sperling and Kupfer 2005) che se non resiste non resiste. Rischiando il grottesco “Poi non ce la fece più. Prima spogliò frettolosamente il suo corpo pallido e ossuto, poi si strappò quasi di dosso i vestiti, con tanto affanno che per poco non inciampò nei calzoni”. Per il suo compagno Eric non c’è scampo “Crudeli e sconsiderate furono le posizioni in cui lo costrinse”. Ho provato per loro un sentimento misto di invidia e di pena. C’è anche chi, come Anna Pavesi, psicologa trentottenne separata (Una piccola storia ignobile di Alessandro Perissinotto, BUR 2006), non solo se la fa con il dottor Marco Callegari ma ci riprova (istintivamente) anche con il marito Stefano (dopo avere visto una film porno, pensate un po’). Però gli piace di più il primo e se capita anche in macchina pazienza.
Qui gli autori sono uomini ma non scherzano nemmeno le donne. Qualche volta inframezzato al sesso ci infilano la parola amore o il classico ti voglio bene (vedi Lucia Dove della Scoppettone) ma più spesso danno sfogo libero alle loro creature per le quali il Kamasutra è una favoletta per bambini. Capita che tradiscano pure senza farla tanto lunga. “Vuoi scoparmi?” chiede tranquillamente il commissario di polizia di Catania Maria Laura Gangemi (già citata) ad un collega giovane e carino. Però dietro a questo gesto c’è quasi sempre una storia di dolori e violenze da parte del marito o del compagno per cui al posto del tradimento ci starebbe meglio una martellata in testa. Come, per portare un altro esempio, sul capoccione di quel cretino di Cuomo (non ricordo il nome) che tratta male il commissario di Genova Erica Franzoni, protagonista, insieme al primo dirigente Antonio Maffina, di alcuni gialli di Annamaria Fassio. La prima volta per una discussione la spinge contro il muro e le urla in faccia; la seconda dopo avere fatto l’amore “l’afferra per le spalle, la chiama puttana, zoccola, bagascia”; poi le sberle. Lei non lo tradisce ma, semplicemente, lo lascia (io sarei per la martellata). E a proposito di tradimenti ecco che cosa ne pensava un personaggio degli anni cinquanta “Ma tu, Juliet, sorellina cara, non devi prendere troppo sul serio la scoperta di queste trasgressioni mascoline. Si verificano negli ambienti migliori, e non sono affatto catastrofiche come tu immagini. Devi imparare la tolleranza, o non sarai mai una brava mogliettina” (Guy Cullinngford Il morto che non riposa, Polillo 2003). Come cambiano i tempi!
Ritorniamo a bomba. Se non la dà è perché è proprio sfigata e cacata (volgarissimo ma rende bene il concetto) da tutti. Però non bisogna buttarci giù perché se non è la donna-poliziotto a fare esercizi sessuali lungo tutto il romanzo c’è sempre qualcuna che ne fa le veci. Mi viene in mente la Kamenskaja (La donna che uccide di Alexandra Marinina, Piemme 2006) invaghita senza successo di Ivan Alekseevic. Al suo posto Kira con Platonov. E non se la sbrigano niente male. E mi viene pure in mente Denise, uno dei personaggi (non la investigatrice per caso Mara Dunn) di La maledizione dell’Orchidea di Michelle Wan, Garzanti 2007, che sforna diversi amplessi così forti con Julian tanto da fargli sembrare “di avere fatto l’amore con un pitone”.
Poi c’è quella che te la dà (ormai il registro è questo e dovete farvene una ragione) sin dall’inizio ed ha la faccia spiccicata per questo lavoro. Ce n’è una, per esempio, che se si fissa su un certo Marco non la scampa e scopa come un grillo (Camilla Cagliostri). Infine abbiamo la tizia che la dà subito ma poi ci ripensa e non la vuole più dare. Con altro inevitabile stress per il lettore che almeno per quanto riguarda il sesso vorrebbe che tutto filasse liscio come l’olio.
Anche le lesbiche hanno le loro belle performance sessuali. Saz Martin e Molly (Carne fresca di Stella Duffy, Marsilio 2006) lo fanno talmente con soddisfazione e aperta libertà da “far arrabbiare sul serio il loro vicino di sopra”. Tutto può accadere all’improvviso come ne Il sangue versato di Asa Larsson, Marsilio 2007 “Mildred la spinge dentro, le mani sotto il maglione di Lisa, le dita sui capezzoli. Attraversano la cucina incespicando, una volta in camera ruzzolano sul letto…Mildred sulla schiena. Via i vestiti. Due dita infilate nel suo sesso”.
Invece Vanessa Tullera (BoodyArt- Il ritorno della lesbocommissaria di Pablo Echaurren, Fernandel 2006) è più riservata e si butta solo alla fine. Anzi, più che buttarsi è costretta a ricambiare all’attacco della collega Rosa che a cavalcioni su di lei “con una forbice acuminata le taglia in due la gonna, la camicetta, il reggiseno, lo slip”. Alla faccia della delicatezza femminile! (ma il libro, ad esser sinceri, è basato sulla ironia iperbolica).
Insomma ce ne sono di tutti i tipi e di tutte le specie. Come gli uomini. Cambiando gli addendi il prodotto non cambia.
Ecco qui una specie di riepilogo dei punti essenziali:
1) Siamo passati da un tipo di detective dilettante che svolge anche altri lavori (vedi maestra, suora, infermiera ecc…ma può benissimo essere anche una semplice casalinga) ad un tipo di detective individuale ( da sola o in coppia), o inserito nell’ambiente poliziesco con diverse responsabilità (sergente, tenente, antropologa, medico ecc…), oppure in quello giudiziario soprattutto come avvocato.
2) Di solito, per quelle moderne, età compresa tra i venticinque ed i quarantacinque anni. Altrimenti si schizza più in alto.
3) Fisico che va dal bruttino (raro) al grazioso (frequente) per terminare al dirompente (bella gnocca).
4) Temperamento quasi sempre forte, risoluto, battagliero. In contrasto con i superiori, di solito maschi. Altrimenti si passa alla depressione. Culturalmente elevate, competenti.
5) Status sociale disparato ma se si va in America si trovano fior di avvocati con fior di studi. In genere non se la passano male (non mancano le eccezioni). Alcune fissate con il guardaroba firmato.
6) Famiglia disgraziata (nel senso che i genitori si sono divisi) o sfortunata (nel senso che almeno uno di essi è deceduto). Anche gli eventuali fratelli o sorelle presentano qualche problemino dal punto di vista psichiatrico.
7) Amore spesso sfortunato con matrimonio o matrimoni falliti alle spalle (non manca, però, una certa attrazione per l’ex marito o ex fidanzato) e fidanzamenti poco o nulla riusciti. Talora single per scelta con compagnia del cane o del gatto. Per lo più eterosessuali ma vi sono, come abbiamo visto, anche inclinazioni verso lo stesso sesso.
8) E a proposito di sesso si può dire che è alterno, nel senso che si passa da un normale trasporto, o addirittura da una specie di rifiuto fino ad arrivare ad un superlativo che ci dà che ci dà che ci dà.
9) Fumano e bevono (in genere) come turchi (dato per scontato che i turchi lo facciano con grande trasporto). Un goccetto comunque fa sempre bene.
P.S.
Naturalmente quello che ho scritto è solo un piccolo spunto rispetto all’abbondanza di materiale a disposizione. Però troppe citazioni avrebbero reso eccessivamente pesante il discorso. Spero di avere dato almeno un’idea al lettore. Avrei potuto scegliere un registro diverso, più fine, più delicato. Ma parlando di sesso bisogna andare al sodo senza fare gli schizzinosi e senza tante manfrine. E con un pizzico di ironia che fa sempre bene.
Oggi il sesso è dappertutto. Lo si infila anche quando non ce n’è bisogno. Vedi l’inizio del libro di Gianni Mura Giallo su Giallo, Feltrinelli 2007 (presentato su Sherlock Magazine), “Ehi, Barba, ti andrebbe una bella scopata?” ed un sogno erotico alla fine del capitolo ventunesimo che sembrano infilati a forza (avendomi fatto un’idea di Gianni Mura giornalista ed uomo tutto d’un pezzo). Tanto per far piacere all’editore, suppongo. E non va di moda solo il sesso normale ma anche quello estremo dove è davvero labile il confine tra il piacere, la vita e la morte. Vedere Sexy Thriller di Claudia Salvatori e Sabina Marchesi, Aliberti editore 2006.
Per ritrovare rossori più o meno verginei bisogna andare dietro nel tempo (ad essere sinceri qualche rossore l’ho incontrato anche in libri recenti). Magari alla fine dell’Ottocento. Come succede nei due gialli di Victoria Thompson L’albero degli impiccati e Omicidio a Gramercy Park pubblicati quest’anno nei Classici della Mondadori, dove la levatrice-investigatrice Sarah Brandt rosseggia di continuo dietro il sergente Frank Malloy, tra l’altro più timido di lei. Un po’ di riposo dopo tante fameliche scopate.
Spazio libero
Satiretta n°3
Il Tuttologo e il Malloppone
Se qualcuno oggi pensa di poter leggere una storia poliziesca in santa pace si sbaglia di grosso. Voglio dire una storia normale con i suoi bei morti ammazzati, l’assassino/a che si nasconde (in senso figurato. Non c’è bisogno che scappi) e il/la poliziotto/a di turno che gli dà la caccia. Impossibile. Introvabile. Bisogna che si metta il cuore in pace e ritorni ai vecchi classici di un tempo che fu.
Oggi la sola, nuda e cruda vicenda gialla farebbe ridere. Tutti sono bravi a scriverla. Perfino i bambini delle elementari. Per cui si assiste nel campo del giallo (inteso nel senso generale) ad una metamorfosi degna di Ovidio. Lo scrittore di romanzi polizieschi che si trasforma in Tuttologo. Con la T maiuscola, s’intende.
La parola stessa ci indica la sua nuova professione. Egli sa tutto, si intende di tutto. E scrive di tutto. Come organizzare e sviluppare una vicenda poliziesca, via non c’è nemmeno bisogno di dirlo. E’ una vita che costruisce macchinazioni ed intrighi perfetti. Su questo non esiste problema. La performance è assicurata. Morti e suspance a volontà. Troppo facile. Troppo elementare, caro il mio bel Watson.
Occorre aggiungere qualcosa di vivo, di attuale, di concreto. Una bella critica alla società, per esempio. Ed ecco allora il nostro Tuttologo tuffarsi negli angoli più sordidi e bui per tirare fuori il marciume che ci appesta e mettersi le mani nei capelli, e gridare allo scandalo e lanciare anatemi e moccoli da tutte le parti. Il rimedio? Semplice, volersi bene. Ecco, vogliamoci bene.
Ma pensate, voi letteronzoli ingenui, che la sola critica alla società crudele e abietta possa bastare al nostro Tuttologo? No che non può bastare. No che non basta. Insieme al sociale ci vuole l’individuale. Insieme alla sociologia, la psicologia. Ma non una psicologia superficiale, terra terra che lascia il tempo che trova. Occorre un trattato. Denso e compatto. Una anamnesi da brivido. Almeno sul/sulla protagonista principale. Che si sdraia sul lettino all’inizio per alzarsi alla fine del libro. Sudato/a fradicio/a peggio di un chirurgo dopo una estenuante operazione.
Bene, sociologia e psicologia. Se ci si aggiunge la storia dei morti ammazzati (in un giallo che si rispetti c’è sempre) siamo a posto. Diremmo noi. E, sono sicuro, direste anche voi. Un tubo! grida paonazzo il Tuttologo. E la filosofia? Dove la mettiamo la filosofia? Già, che sciocchi, ce n’eravamo dimenticati. Ad una certa età…Non sarebbe da Tuttologo lasciarla da parte. E infatti, se ci fate caso, nei suoi libri non la lascia per niente. Ma se la trascina dietro dalla prima (diciamo quasi per non esagerare) all’ultima pagina. Con riflessioni sofferte sull’uomo, sulla sua vita, sul suo destino, sui suoi amori, sui suoi dolori. Sulla felicità, sull’odio. Sulla morte. Su Tutto. Essendo egli, appunto, un Tuttologo.
E per esprimere questi alti concetti non può certo curarsi se essi fortuitamente rompono il flusso della storia e del racconto. Se distraggono il lettore. Se lo infastidiscono e lo confondono. Il Tuttologo va dritto, sicuro, saldo come roccia per la sua strada. Non ti curar di lor ma guarda e passa. E scrive e scrive e scrive. E ancora scrive, scrive, scrive. Fino a raggiungere il suo vero e unico obiettivo: un librone bello, grande, grosso, corpulento, micidiale: il Malloppone. Il Tuttologo è il padre indiscusso e indiscutibile del Malloppone. E a lui vanno tutti i miei più sentiti accidenti. Quelli veri.
Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it
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