Nella giungla di offerte in DVD che s’affacciano in edicola una collezione interamente dedicata al thriller made in Italy mancava. La collana appena varata dalla DeAgostini e curata nei testi di accompagnamento da Marina Visentin, offre la possibilità di acquistare per un prezzo contenuto titoli di grande rilievo (i classici di Dario Argento) ma anche di scoprire altri meno famosi registi (Lucio Fulci, Umberto Lenzi, Mario e Lamberto Bava) la cui opera (sdoganata dalle citazioni di Tarantino quanto da un revival iniziato da una sezione dell’ultimo festival di Venezia dedicato al cinema trash degli anni ’70) era per molti sconosciuta o introvabile. Iniziativa meritoria alla quale auguriamo il successo che merita per diverse ragioni. Primo perché è la testimonianza di un’epoca in cui il cinema italiano produceva, anche copiosamente, opere di qualità con pochi mezzi e molta inventiva, secondo perché, a detta di chi scrive, il thriller argentiano rappresenta la più vera e originale vena del giallo italiano. Per la verità bisognerebbe chiamarli thrilling come si usava negli anni ’70 con quella storpiatura grammaticale dell’inglese che trasformava un aggettivo in un sostantivo, simbolo già di per sé di quella scatenata voglia di competere con modelli anglosassoni senza saper rinunciare a moduli narrativi e atmosfere tipicamente nostrane. L’uscita di questa collana che si presenta con un ricco catalogo (accanto a L’uccello dalle piume di cristallo, Profondo rosso e Il Cartaio troviamo titoli quasi introvabili quali Lo squartatore di New York, Demoni, La Chiesa) che illustra una panoramica di film e autori da non sottovalutare per gli appassionati del genere. Si tratta di storie che solo generalmente si rifanno alla tradizione anglosassone ma che sconfinando spesso nell’horror mescolano le carte, introducono elementi nuovi tali da generare veri e propri fenomeni di culto in paesi stranieri. Nemo profeta in patria… Lucio Fulci (che qui troviamo con Lo Squartatore di New York e Manhattan baby) è sempre stato considerato dalla critica poco più di un mestierante ma la pari del suo maestro Mario Bava (Sette Bambole per la Luna d’Agosto, Shock) sin dagli anni ’60 ha cercato di creare una scuola italiana al genere, dapprima appropriandosi di spunti straniero poi creando una vero e proprio filone in cui Argento s’è inserito apportando le sue novità. La scelta di Opera come titolo per il lancio della collana è felice in quanto il film rappresenta un vero e proprio ponte tra la produzione più classica, anni ’70, di Argento e quella successiva, più orientata al fantastico che al thriller vero e proprio. Opera ha in sé il gusto della citazione dei classici (un rimando al capolavoro letterario di Gaston Leroux dal quale lo stesso Argento ricaverà poi Il fantasma dell’opera, presente nella collana), la capacità di trovare un’ambientazione italiana facilmente esportabile anche all’estero (il mondo del melodramma e le ambientazioni romane) e quella straordinaria abilità di creare paura attraverso l’uso dello spazio vuoto (la scena dell’omicidio nella sartoria, la casa di Betty che diventa un labirinto di passaggi segreti) e di semplici oggetti (forbici, manichini, guanti) ripresi con una maniacale attenzione per il dettaglio. A questo punto il gioco perverso tra l’assassino e la vittima designata costretta a “guardare” la violenza proprio come uno spettatore (o un critico?) riluttante, il sangue e l’atmosfera malsana che permeano tutto il racconto sono quasi un di più, elementi a supporto di un’angoscia strisciante il regista ha già creato semplicemente muovendo la macchina negli ambienti, intorno agli attori. È stata una stagione fortunata quella del thrilling italiano e non solo perché ha smentito l’ormai vetusto ma non abbandonato pregiudizio sulla capacità degli italiani di creare storie avvincenti e spaventose. Il thrilling come il poliziottesco, il western spaghetti sono testimonianza di come tradizioni nate fuori dai nostri confini possano trovare una loro originalità e riuscirci a volte con pochi mezzi e malgrado gli strali della critica. Soprattutto sono il ricordo di un’industria del cinema dove si premiava la capacità di svolgere professionalmente un mestiere, con risultati a volte eccellenti a volte anche semplicemente “onesti”, Tanto da dare lavoro a centinaia di attori e maestranze e divertire un pubblico oggi costretto a cercare all’estero film soddisfacenti. Era l’epoca degli pseudonimi, dell’uso di attori americani ritenuti mediocri in patria di passaggio a Cinecittà ma che trovavano, in questi film, occasione di mostrare quel talento del quale, evidentemente, erano provvisti. E tutto ciò prima del postmodernismo lanciato da Pulp Fiction, lodevole sotto un profilo ma vergognoso per un altro. Era davvero necessario citare Fulci in Kill Bill 2 per renderci conto di avere in casa un archivio di storie avvincenti raccontate da artigiani appassionati che forse meritavano di più? I Maestri della Paura è un’occasione, per chi conosce solo sporadicamente o per sentito dire questo filone di ripescare opere che, letteralmente, non si devono dimenticare.
I Maestri della paura - DVD Collection - DE AGOSTINI - quindicinale - prima uscita il 22 gennaio 2005 euro 6.90, successive 12.90 - Primo titolo: OPERA di Dario Argento
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