Si chiamano Elettronoir. La loro opera d'esordio si intitola Dal fronte dei colpevoli. E si tratta di un album musicale. No, non avete sbagliato rubrica, state leggendo C'è sempre una prima volta, che, per questo mese, ha deciso di dedicarsi alla musica. In realtà la scelta è stata dettata da una serie di coincidenze che ci hanno fatto incontrare. O meglio che hanno fatto in modo che gli Elettronoir mi trovassero. E così mi sono detta: si tratta pur sempre di esordienti…. In realtà io non ci capisco molto di musica, canto, con discreti risultati, sotto la doccia, ma poco di più, spero comunque di essere all’altezza. Direi che, se non ci sono obiezioni, possiamo cominciare. E, come suggerisce il Galateo, cominciamo con le presentazioni.
Chi sono gli Elettronoir?
Quattro ragazzi e una ragazza, con i loro sorrisi e i loro piccoli drammi.
Ovvero:
Marco Pantosti: Voce, Pianoforte
Matteo Cavucci: Chitarra Basso
Davide Mastrullo: Elettronica/Campionamenti
Nando Mattera: Produzione artistica, fonico
Georgia Colloridi: Voce, Amore inquieto
E da dove vengono gli Elettronoir?
Da tanti posti, luoghi di profonda provincia, riuniti poi nella metropoli romana, con tutte le suggestioni e i rifiuti annessi. Le strade che c'hanno fatto incontrare sono state lunghe, diverse, progressive. C'è chi è passato dalle parti di Morricone, chi di de Andrè, chi s'è inerpicato per i concerti brandeburghesi o s'è fatto trasportare dai corrieri cosmici. Chi invece ha lasciato che le calde onde del dub o le dure colate del metal lo bagnassero. Veniamo da lontano, e non siamo ancora arrivati.
E' importante non sentirsi mai arrivati, si correrebbe il rischio di fermarsi, di adagiarsi e di non andare mai oltre. Ma da quanto tempo suonate insieme e come si è evoluto questo percorso?
Era il gennaio del 2004, eravamo diversi, avevamo un altro nome. Si è evoluto con incontri, strade condivise, racconti, intenzioni, dolore e piaceri vari. Trenta concerti, due dischi e soprattutto la nostra ostinata e maledetta voglia di vivere. A maggio 2007 continuano le nostre trame.
Ora cerchiamo di entrare un pochino più nel merito del vostro primo lavoro. Se siete ospiti di questo salotto letterario virtuale, è perchè Dal fronte dei colpevoli non è un album qualunque. Esso nasce infatti dalla commistione forte tra la musica e un genere letterario ben preciso: il noir. E' possibile perciò narrare una storia noir con il linguaggio musicale?
Qualcuno direbbe che è come ballare di architettura, ma occorre pensare il rapporto in base alle affinità delle emozioni, delle evocazioni, piuttosto che ai codici stilistici. E' una questione di impressioni, di sensazioni, che fa capire che un connubio genere letterario/musica sta riuscendo.
E' vero le emozioni e le sensazioni sono fondamentali: sono loro che permettono di cogliere le sfumature che rendono questo lavoro diverso da altri. Ma operativamente come si fa?
Bisogna slegarsi, quanto più possibile, dai canoni del genere, andare a cercare l'essenza di un'intima fascinazione e poi inondarla di nuovi elementi, di nuova ricerca. Bisogna ridurre il genere letterario a suggestioni, emozioni, un regresso "sentire" e da qui partire per costruire qualcosa di nuovo. Cre-azione.
Detto così sembra un po' metafisico, sembra che basti lasciarsi andare e….si da il via alla crazione…
Esatto, è proprio così…quando meno te lo aspetti arriva qualcosa e da lì tutto parte. Poi bisogna accompagnare le idee, farle crescere e saperle capire. Arriva l'idea e bisogna vestirla bene.
Ma quali sono allora gli elementi che fanno della vostra musica una musica noir. E, per dirla con parole forse un po' terra terra, esiste ed è possibile creare un suono noir? Come?
Le parole e i temi trattati sono sicuramente vicini a un genere definito. Ma non solo: anche i suoni. L'uso di un'elettronica incalzante, le atmosfere oniriche dove si incuneano melodie e liriche introspettive, intime come un delitto; alla base, però c'è l'unicità delle storie narrate. Il tutto deve fondersi e definirsi nel nero delle trame umane che manovriamo.
E qui avete usato una parola chiave: trame. Ascoltando le canzoni dell'album, infatti, mi sono trovata a fare alcuni ragionamenti, proprio come se stessi leggendo un romanzo. Secondo me, infatti, si può dire, senza timore di sbagliare, che Dal fronte dei colpevoli racconta una storia che si snoda brano per brano. E' vero?
Dal Fronte dei Colpevoli è una storia, una sequenza (molto filmica) a lungo respiro. Tre ragazzi. Delinquenza giovanile. Due donne, vittime sacrificali, dive salvifiche. Napoli. Dicembre 1977. Parte un treno, destinazione Monaco, In viaggio. Miserie umane che si scontrano contro la vita. Questo è il fronte dei colpevoli, che cerca vendetta con una p38 in mano e una lacrima sulla pelle.
Continuando con il parallelismo con un romanzo, la storia raccontata finisce qui? O bisogna aspettarsi un sequel?
In realtà Dal fronte dei colpevoli è il primo episodio di una trilogia dal titolo Tutta colpa vostra. Quest'idea di narrare, di raccontare queste storie nere attraverso le canzoni è nata nella testa di Marco e da li è partita la nostra raffinazione, c'è stato il primo passo della creazione. Si tratta di storie maledette, di sangue e piombo: è inutile fare un riassunto più dettagliato, anzi rovinerebbe la suspense. Non esiste modo diverso per narrarle e ascoltarle se non nelle tracce del disco. Ci saranno gli altri due episodi. Entro l'anno cominceremo a lavorare al secondo capitolo della trilogia.
Una tematica che mi ha molto colpito e che ricorre regolarmente nei testi è quella della vita/morte, o meglio della vita/non vita. Si esprime in versi come "Da qui la vita che non c'è/ E' un'idea troppo semplice.." dal brano L'Ultima volta. Sembra quasi che non ci sia un'alternativa a una vita che non è vita, che con la sua disarmante semplicità non ti lascia scelta.
Più che vita/morte, si trovano inizio, partenza, scontro, fine. Molte tappe, mai una certezza. Nella narrazione di Dal fronte dei colpevoli c'è un continuo elogio del dubbio che schiaccia i personaggi dentro se stessi per esplodere all'esterno in maniera imprevedibile, incondizionata, quasi pura, pulita, in ogni scelta tragica del dramma, inteso come azione. Il disco affronta le varie tematiche legate al concetto delle "vite impossibili", le vite che sfuggono dal controllo, le possibilità che si frantumino senza poterci fare nulla. L'ineluttabilità dei destini e la consapevolezza che, citando J.C. Izzo "poteva essere diverso, bastava poco".
Lo stesso tema, anche se rappresentato in modo diverso, secondo me c'è ne La dolce vita. In questo brano "la vita che non c’è" è rappresentata da quest'amore che non può sbocciare, che inevitabilmente cala la testa. Bello e forte, in particolare secondo me il contrasto tra le parole d'amore e la forza con cui il protagonista scaccia la sua donna.
La dolce vita, come anche Nero, zero parlano dei due addii che Fabio e Franti, i protagonisti, devono dare alle proprie donne, le uniche persone a cui si siano mai davvero legati. Fabio cerca un pretesto, lo cova dentro, si fomenta per trovare la forza di distruggere un fiore, un amore, una relazione. E alla fine lo dice, lo grida, lo piange. Franti in questo invece è diverso. Non riesce a fermarsi, deve scappare dall'unica possibilità d'amore che ha. Lui deve odiare. Quindi non affronta la situazione, e scivola via nel silenzio.
In questo album, oltre a una forte commistione tra la musica e il noir, c'è anche l'utilizzo di più linguaggi, legati di solito a forme d'arte ben distinte. Mi riferisco in particolare all’utilizzo alternato a seconda delle esigenze narrative della letteratura, nei testi per la narrazione vera e propria; alla musica naturalmente e al recitato, che spesso si rifà a uno stile cinematografico.
E' vero. Riducendo tutto all'uno, ai pensieri, alle suggestioni che sono alla base di un certo sentire, si scopre una certa affinità con lavori diversi, anche lontani. Lo stupro di C'era una volta in America è perfetto, infatti, per la nostra rapina in banca, come niente poteva meglio racchiudere quel dolore della fuga che l'incipit di Jules e Jim.
Infatti sul vostro sito definite l'album come "Una colonna sonora per film già scritti, diretti, interpretati".
Il nostro disco è anche sintesi di varie arti. Poi è molto bello, per gli Elettronoir, avere nel proprio esordio discografico ospiti quali Gian Maria Volontè, Elio Petri, Sergio Leone e François Truffaut.
Ma come riuscite a miscelare, gestire e utilizzare linguaggi così diversi?
Frammenti esistenti, che hanno una vita propria, si decontestualizzano e tornano a raccontare una nuova storia, diventano parte di un nuovo tessuto narrativo. La citazione che porta con sè il fascino del luogo da cui proviene, ma che si trova parte di un discorso diverso. La voce di Gian Maria Volontè non è solo quella di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ma è anche un personaggio della nostra trilogia. Recita una nuova parte. Nel cinema se ne parla spesso: basti solo pensare, per esempio, all'ultimo Tarantino.
Ora una domanda un po' provocatoria. Non è che tutto questo rimescolare di stili, emozioni, linguaggi dipenda più che da una scelta, dall'incapacità di confrontarsi con un'arte precisa, sottostando alle sue regole?
L'arte vive di commistioni, influenze e contaminazioni. Gaber faceva il teatro canzone. Fo la commedia di satira, nessuno direbbe che l'uno e l'altro non sono in grado di confrontarsi con un'arte precisa. Pasolini ha scritto anche canzoni (e che canzoni!), qualcuno ha il coraggio di discuterne la grandezza?
Ora che ci siamo addentrati, anche se solo per sommi capi, nel disco, parliamo di un argomento meno artistico, ma sicuramente interessante per chi ha il sogno nel cassetto di dedicarsi alla musica. Dal fronte dei colpevoli è un disco autoprodotto. Come mai avete deciso di autoprodurvi? O meglio si è trattato di una scelta o di necessità?
Scelta di necessità. Siamo come un'officina dove gli operai sono padroni dei mezzi della produzione. Per far uscire un disco, l'unica cosa che non facciamo noi è la stampa fisica del cd. I vantaggi sono infiniti, dalla nostra indipendenza totale su ogni scelta artistica, al gusto di imparare giorno per giorno come va il mondo. Ci sono pure le difficoltà, il fatto che spesso non si ha troppo tempo da dedicare al progetto o che non si possa mai contare su budget importanti. Questo ci rende una vera band "politica", nei fatti prima che nei discorsi.
Cioè?
Autogestione, scelta diretta delle opportunità, autofinanziamento, condivisione sensibile di tutto quello che ci capita.
Ma questa gestione, posti gli innegabili vantaggi citati, non ha lo svantaggio di non permettervi di "fare il salto"? Cioè non vi costringe a una dimensione locale e poco conosciuta?
Sicuramente la poca visibilità ci consente una lenta diffusione. Lenta ma presente e non usuale. Molti concerti sono stati direttamente organizzati da chi ci apprezza, senza l'aiuto di "direttori artistici", promoter e gestori vari. Siamo conosciuti un po’ a macchia di leopardo, a zone. Ma il passaparola funziona, funzionano le recensioni, gli articoli, il nostro sito internet, il nostro blog sul myspace dove si possono ascoltare alcune nostre tracce; funziona il rapporto che ci lega con le persone che ci contattano e che conosciamo attraverso la nostra musica, esperienze importanti, profonde che ci piace vivere. Un buon gruppo che ha qualcosa da dire di salti ne deve fare quotidianamente e soprattutto deve scrivere, e proporre, sempre qualcosa di sensato e importante. In realtà poi, con la rivoluzione di internet e l'accesso diffuso ai canali di comunicazione, non esiste più una dimensione locale. Tutto diventa facilmente globale, ovvero raggiungibile da chiunque. Non ci sentiamo certo limitati a un territorio o a un gruppo di persone, come magari poteva essere una band autogestita anche cinque o dieci anni fa.
E se riceveste una proposta da un grande produttore, che vi permetterebbe di fare di questa attività il vostro lavoro e di assumere una dimensione nazionale?
Dipende dalle sue intenzioni, se vuole davvero seguire il progetto o trarne semplicemente profitto personale. Le forme di collaborazione possono essere tante pur non snaturando l'idea di indipenza. Comunque per quanto possiamo, siamo già "nazionali", a modo nostro. Non siamo "popolar-nazionali", ma in fondo, che male c’è?
Sul finire di questa intervista, mi piacerebbe che ci svelaste qualche curiosità. Ci raccontate la vostra prima volta su un palco?
Un esordio importante. Al RoxyBar, da Red Ronnie a Bologna. Un'esibizione sconsiderata, non ci rendavamo conto di nulla, non davamo peso alle telecamere, un atteggiamento molto Punk, lo stesso che ci contraddistingue tutt'oggi.
E qual è la canzone dell'album che amate di più?
No dai, non ce lo chiedere, sono tutte bellissime per noi, ognuna rappresenta qualcosa di intenso, profondo. Ognuna ha la sua bellezza. Rispondi tu a questa domanda, forse esternamente è più facile dare un giudizio di questo genere.
In realtà sono due le canzoni che mi hanno colpito particolarmente, e sono quelle che ho già citato durante l'intervista. Con La dolce vita, però, non è stato amore di primo udito. La prima volta che l'ho sentita, all'inizio, l'ho trovata noiosa e l'ho lasciata scorrere di sottofondo mentre facevo altro. A un certo punto, però, mi sono chiesta: chissà come si intitola questa bellissima canzone! E mi sono accorta che era la stessa. Diciamo che si è presa prepotentemente un posto "privilegiato" tra le altre. De L'ultima volta invece mi affascina molto il concetto, disarmante nella sua semplicità, della "vita che non c’è"…. Mi intriga, mi fa riflettere….. Ora però vi ripasso una parola per un paio di "giochi" che mi piace fare con tutti gli ospiti: ditemi tre aggettivi con cui definireste Dal fronte dei colpevoli.
Intenso, diretto, sperimentale.
E secondo voi, perché ascoltare Dal fronte dei colpevoli?
"Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti"
Ormai siamo proprio agli sgoccioli e chiudo con una domanda di rito: quali sono i progetti per il futuro? A breve e eventualmente a più lungo termine.
Un mucchio di cose poi, ma in fondo, non c'è una strada da seguire. C'è solo da camminare…
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