Striscio sino a uno steccato. Due metri dal ragazzo che chiama il compagno di guardia. Questi fa appena a tempo a voltarsi con la mano alzata.
Gordon spunta dal nulla, lo ghermisce al collo e gli affonda dieci centimetri di lama a due tagli tra l’orecchio e il cranio. Un ruscello di sangue imbratta vittima e assassino.
Il giovane davanti al fienile compie un movimento sconnesso, disorientato.
Lo uccido con un double tap, scoperchiandogli il cranio.
Anche il belga ha aperto la strada al suo gruppo.
--Adesso!—ordino al laringofono. La voce vibra, appena più forte di un sussurro.
I miei passi sulla paglia. Suole su ghiaia e fango indurito dal freddo.
L’urlo. Un grido da Erinni. Violenza e rabbia.
Dal fienile sbuca una donna.
Bionda, giovane, pantaloni militari e camicetta ancora aperta sul seno abbondante. Lunghi capelli biondi e lineamenti volgari. Una maschera d’odio.
Tra le dita un Kalashnikov. Spara una raffica rapida e gracchiante.
Mi getto a terra rotolando malamente. Il terreno esplode in eruzioni di pietrisco. Ginocchio in appoggio su una pietra. Non perdo tempo a mirare. Tre colpi a distanza ravvicinata sollevano da terra la ragazza, il petto squarciato da macchie cremisi. Addio sorpresa.
-- Dentro!—urlo. Non c’è altro da fare. Getto la Beretta impugnando l’AKSU mentre i miei compagni escono allo scoperto sparando da tre direzioni differenti.
Il muro viene scosso da una grandine di colpi. Una granata disintegra la porta.
Dall’interno dell’abitazione rispondono al fuoco.
Una finestra al piano superiore vola in pezzi. La canna di un fucile a pompa tuona due volte. Dietro di me un francese viene sollevato da terra e scagliato lontano, già morto prima di toccare terra.
Un altro dei miei crepa bestemmiando, falciato in due.
Ho appena il tempo di scorgere la figura dietro la finestra, quella con il fucile. Un’altra donna. Più anziana, chioma da leonessa striata di grigio. Il volto di una strega.
Le scarico addosso quasi un intero caricatore ma non sere a nulla.
Poi uno dei miei infila dentro la stessa finestra un RPG.
Vengo scaraventato a terra dallo spostamento d’aria.
Per una manciata di secondi ho l’impressione che i timpani siano scoppiati. Poi torno a udire un fragore cavernoso. Il tetto è crollato.
L’uomo con l’RPG rimane immobile, quasi incredulo che quel groviglio di fiamme e fumo sia opera sua.
Errore fatale. Dalle macerie emerge un’ombra.
Non so se siano grida o pianti. Rumori. Vengono da una zona oscura. L’ombra spara e basta, uccidendo il terzo dei miei uomini. Uno di quelli che ho promesso di riportare a casa. Invece non ci arriverà.
E io faccio giustizia.
Poi, solo allora, mi accorgo che l’ombra era un bambino. Un altro bambino cresciuto con il fucile in mano e la rabbia nel ventre.
Il fumo impiega quasi un’ora a diradarsi.
Il marconista viene ad avvertirmi che lo Huey e i due Mangusta di scorta sono in vista per il recupero. Dobbiamo lasciare in fretta la zona. Non è sicuro restare là.
--Non c’è—sussurra Renzo Sarni che esce in quel momento dalle rovine della masseria.—Lui non c’era. Rado ci ha fregato.
Alzo le spalle. La nostra guida s’è beccato una scheggia nel collo. Noi, invece siamo ancora vivi. E dobbiamo andarcene di là, perché Renzo ha ragione. Abbiamo mancato il bersaglio.
Due giorni dopo gli uomini della mia squadra cominciano a morire.
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