PROLOGO
Valico di Blace, confine tra Macedonia e Kosovo
Questo è il mio incubo.
Avete mai visto una bambina morire? Io sì, troppe volte. L’ultima si chiamava Szusana.
S’era presa nel ventre un’infilata di 7,62 mentre attraversava Prizren, sulla strada di casa.
I bambini vengono colpiti sempre per sbaglio. Non potrebbe essere altrimenti. Solo pensare il contrario significherebbe negare l’esistenza di Dio.
Szusana si è spenta tra le mie braccia sussultando, le palpebre scosse da un fremito disperato. Il sangue che esce a grumi, scuro, dagli intestini riversandosi sulle mie dita.
Non c’era nulla che potessi fare se non bestemmiare.
È la vita che mi sono scelto. Sono un soldato. Il Professionista. E i soldati come me, vanno dove si combatte. Anche se oggi i governi preferiscono parlare di missioni di pace.
Be’, non so che cosa sia questa a, ma per me torna a essere guerra.
Da animali, primitivi con asce di selce e mazze di legno scheggiato.
Sono consulente per la UNMIK 2000, la missione in Kosovo delle Nazioni Unite.
Gli ordini: applicare la fottuta risoluzione 1244. Disarmare gli stessi banditi che fino a due mesi prima abbiamo addestrato per rovesciare Milosevic e costringerlo a uscire dal Kosovo con le sue squadre della morte.
Fine delle stragi?
No, tutt’altro. E il corpo rantolante di Szusana è là, a ricordarmelo ogni volta che chiudo occhio.
Il paese è in mano a bande rivali, briganti da strada, assassini, macellai di ogni credo e colore politico. Il Kosovo “liberato” è loro adesso.
E ci vuole qualcosa di più energico di una forza di pace per rovistare tra i cadaveri, nei palazzi divelti dai proiettili all’uranio impoverito, tra le fosse comuni.
Sono necessari i Nochnoy Dozor, i Guardiani della Notte. Gente come me, reclutata per spalare nella fogna che tutti rifuggivano.
Mi hanno insegnato a ridere in faccia alla Morte.
Abbiamo marciato nei campi ancora coperti di croste di ghiaccio nero, tra paludi fetide e carogne di animali per una notte intera. Il viso coperto di fuliggine e tintura mimetica mescolati al sudore, le uniformi senza mostrine, armi prive di identificazioni. Sedici trooper misconosciuti da tutti, una task force per inchiodare un solo bersaglio.
Abbiamo strisciato nella cloaca di quel territorio desolato per troppe ore, rosi dall’odio. Chi vuole ridere? Né alla morte né a nessuno. La Morte siamo noi.
--Credi che sia davvero là?—domanda Sarni accucciato accanto a me, dietro una balla di fieno secco.
--Rado dice di sì—rispondo rauco. Rado Bajika è la nostra guida. Un ex miliziano dell’UCK. Trafficante di donne, tagliagole, assassino. Ma è il “nostro” assassino. E ci ha portato sul bersaglio.
Scandaglio il campo di fuoco. Una masseria in pietra e travi di legno. Un fienile annesso. Il confine tra Kosovo e Macedonia. Nella nebbia gelata del mattino potrebbe essere la porta dell’Ade e nessuno se ne accorgerebbe.
--Squadre in posizione—sussurro al laringofono.
Ho quindici uomini con me. Un gruppo raccolto tra contingenti di almeno cinque stati. Hanno accettato per la paga ma giurano di farlo per onore. Io per rabbia.
--Sentinella vicino al pozzo—mi giunge la risposta di Gordon, un nero del SAS. Il migliore di tutti.
Sposto lo sguardo. Nell’agghiacciante mancanza di suoni del primo mattino lo scalpiccio degli stivali del macedone con il cappello di pelo e l’AKM in spalla è quasi rassicurante.
--Un altro sul lato sud, vicino al fiume— segnala Vallen, il belga.
Ho già un piano e, in quelle ore, la mia mente l’ha ripetuto sino a trasformarlo in un mantra della distruzione. --Procediamo. Niente prigionieri. Ricordatevi con chi abbiamo a che fare. -- Lo sguardo vitreo di Sarni mi conferma che la paura è l’arma migliore del nostro nemico.
Colgo appena il movimento di Gordon che striscia sino al pozzo, il pugnale brunito serrato tra le dita. Vallen metterà fuori combattimento l’altra sentinella.
Io voglio essere davanti a tutti. Passo l’AKSU a tracolla dietro la schiena e sfilo la Beretta silenziata. Attimi di tensione, l’aria brucia nei polmoni.
Dal fienile esce un ragazzo. Alto, biondiccio, indossa solo i pantaloni e porta un mitra Borko sulla spalla, di traverso. Con l’arroganza della gioventù non controlla neppure la zona circostante. Si dirige al pozzo.
Può essere un problema. Devo risolvere io.
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