Il giallo italiano si sta avviando, specialmente in questi ultimi decenni, ad una riflessione sui percorsi storici del nostro Paese, affrontando anche temi scomodi e provando a offrire un contributo alla loro interpretazione. Non fa eccezione un argomento spinoso, quale è quello legato alla difficile realtà dei rapporti che l'Italia ha intrattenuto durante il ventennio fascista con i popoli slavi presenti sul confine orientale. Il tema, già presente nelle pagine di molti autori appartenenti alla narrativa non di genere, come Fulvio Tomizza o Carlo Sgorlon, per citare due nomi universalmente noti, trova anche un'eco non diffusa ma significativa nella produzione gialla, basti pensare, a titolo di esempio, alle interessanti pagine di Ezio Mestrovich, che imprime al suo "Foiba in autunno" un efficace taglio poliziesco.

Ma qual è stata, in tutti questi anni, l'elaborazione culturale operata dall'"altra parte", dalla cultura slava, di quanto è accaduto durante il periodo dell'occupazione nazifascista? Questi temi hanno toccato anche la narrativa di genere? E quali sono le caratteristiche e i percorsi della narrativa poliziesca balcanica?

Lo abbiamo chiesto allo scrittore fiumano Diego Zandel, autore di gialli e, tra l'altro, di un saggio sul premio Nobel jugoslavo Ivo Andric', scritto a quattro mani con Giacomo Scotti ed edito da Mursia.

 

 

Il fascismo italiano è quasi del tutto assente nella narrativa balcanica di lingua slava, relativa ai paesi che un tempo componevano la Jugoslavia.

Per quanto riguarda specificatamente gli autori croati ne parla solo il romanzo di Milan Rakovac "Riva e druzi".

Anche in Serbia il tema non è direttamente affrontato. Ci sono invece opere, a cominciare da "Il sole era lontano" di Dobrica Cosic, scritto nell’immediato dopoguerra, che raccontano l’epopea della lotta partigiana contro i tedeschi, che magari possono essere anche definiti nazifascisti, che era poi il neologismo relativo all’alleanza tra i nazisti tedeschi e i fascisti italiani. Il romanzo di Cosìc, al pari di altri, aveva finalità propagandiste e mirava a costruire un’identità nazionale jugoslava. Identità – come ha dimostrato la guerra civile degli anni Novanta che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia – in realtà mai conquistata.

I romanzi più interessanti, infatti, pur riferiti in qualche modo alla guerra partigiana, sono stati scritti dopo, ma in chiave sperimentale, con lo scopo di ritrovare davvero una propria identità, che restava comunque fortemente condizionata dalla terra – Serbia, Croazia, Bosnia o Slovenia che fosse – in cui si aveva le proprie radici. Cito, a riguardo, alcuni romanzi, per lo più di autori serbi, entrambi tradotti a suo tempo in 

italiano: "Titolo provvisorio dell’infinito" di Oskar Davico (Mondadori, 1966) che guarda con spirito interrogativo dentro il corpo della nazione per rispondere alla domanda: ecco, c’è stata una guerra che ho combattuto per liberare la mia terra, abbiamo costruito una nazione, il socialismo, e adesso cosa dobbiamo fare? E’ un libro che coinvolge fortemente la scrittura e che è sulla linea di quel genio che è stato Danilo Kis con "Una tomba per Boris Davidovic" che Adelphi ha ritradotto non molto tempo fa, dopo che, nel 1980, era già uscito presso Feltrinelli col titolo di "I leoni meccanici": un libro che aveva spinto la sua ricerca identitaria fino al punto da essere respinta in patria e costringere l’autore all’esilio. A riguardo Isif Brodkij, scrivendo del capolavoro di Kis, ha commentato:

"Dal di fuori, la tempesta che si è abbattuta su 'Una tomba per Boris Davidovic' sembra un fatto assolutamente curioso, perché il libro non ha letteralmente nulla a che fare con la Jugoslavia e la situazione interna. Nessuno dei personaggi è jugoslavo: ci sono polacchi, russi, rumeni, irlandesi, ungheresi; la maggior parte di essi è di origine ebraica. Nessuno di loro ha mai messo piede in Jugoslavia. 'Una tomba per Boris Davidovic’ è fondamentalmente il breve resoconto romanzesco dell’autodistruzione di quel folle cavallo di Troia che fu il Comintern. L’unica cosa che i suoi ospiti – i personaggi del romanzo di Danilo Kis – hanno in comune con questo piccolo paese è l’ideologia che questo paese professa oggi e in nome della quale furono assassinati ieri. Abbastanza per far infuriare i devoti".

Il giudizio di Brodskij è del 1980, ed è tratto dalla prefazione alla edizione inglese al libro di Kis.

Danilo Kis
Danilo Kis

Meno problematiche, ma altrettanto sanguigne, come scrittura, altre opere che frugano nell’anima del nuovo uomo jugoslavo nato dalla lotta partigiana antitedesca sono "Una preghiera per i miei fratelli" di Malden Oljaca (Baldini e Castaldi, 1965) e "Arrivano i demoni" di Miodgrad Bulatovic’ (Mondadori, 1966). Nel primo abbiamo una storia prettamente individuale: il giovane Drasko è cresciuto con il fucile in mano, ha combattuto contro i tedeschi e, in quella temperie, ha amato e sposato Bojana. Giunta la pace si trova con una vita tutta da ricostruire, compresi gli amori che non ha avuto, i corpi che non ha posseduto, entrando così in conflitto con la giovane moglie. Nel magistrale romanzo di Bulatovic’ invece c’è una problematica più ampia: davanti al nuovo mondo da ricostruire, cosa fare del peso delle tradizioni che ancorano l’uomo jugoslavo alla terra, intesa come ancestrale terra contadina e patriarcale?

Detto questo c’è poco altro, se riferito al portato espresso da una guerra in cui i fascisti, nella accezione più ampia di nazifascismi, erano la forza di occupazione da cui liberarsi. E, quanto alla narrativa di oggi, i temi e le testimonianze sulla guerra degli anni Novanta hanno più attualità.

C’è tuttavia un’opera relativa a fascismo e Balcani slavi che è d’obbligo, a riguardo, segnalare. Si tratta di "Magamal", della scrittrice serba Mira Otasevic, nata nel 1944, studiosa delle avanguardie dell’inizio del Novecento e artista multimediale. "Magamal" è un romanzo epistolare, la cui gran parte delle lettere sono scritte da Adela Kun, detta Magamal, personaggio inventato, che scrive – siamo nel 1930 – ai grandi artisti sperimentali del tempo, e questi realmente esistiti, tra i quali non poco spazio trova il futurista Filippo Tommaso Marinetti.

Filippo Tommaso Marinetti
Filippo Tommaso Marinetti

Alice Parmeggiani ne ha tradotto alcune pagine per la bellissima antologia "Sul mare brillavano vasti silenzi – Immagini di Trieste nella letteratura serba", a cura di Marija Mitrovic, edita da "Il ramo d’oro". Per gentile concessione dell’editore, riportiamo un passo significativo: <<Trieste, 5 dicembre 1919 – I giornali sono strapieni della campagna elettorale del partito di Benito. Provo ribrezzo. Questa sensazione di assoluta, completa nausea nasce dall’osservazione del procedere pagliaccesco di Filippo Tommaso. No, non sono gelosa. Si tratta di un sentimento superiore, un sentimento di profonda disperazione e una terribile imprevista sensazione di essere stata ingannata. In concorrenza con Mussolini e Toscani, Filippo Tommaso conduce in maniera convincente.

"Grazie al denaro e all’influenza di un famoso avvocato romano, il signor Santini, padre della signorina Domenica Santini, fidanzata del capo futurista, Filippo Tommaso ottiene un numero sempre maggiore di voti" scrive il Corriere. Vincerà?

Noi, fascisti, ci aspettiamo la vittoria del migliore, del più grande, del più celebre! A lui appartiene il futuro del mondo. I perdenti semplicemente li calpesteremo!"leggo su Il Popolo.

Non sento più nulla. Paralizzata, muta, lotto contro il mostro invisibile della malvagità, sperando che il cammino da occidente a oriente, opposto al cammino del sole, non possa vincere.

Filippo Tommaso vince alle elezioni.

Andare incontro alla luce, invece che sulle sue tracce, è un indiscutibile ritorno alle tenebre.>>

* * *

Finora abbiamo parlato di romanzi non di genere. Nel campo dei gialli, per quanto riguarda il rapporto Balcani-fascismo, la situazione però è analoga.

Viceversa, più in generale, risulta molto vivace, fin dagli anni Cinquanta, la produzione di gialli tout-court, particolarmente in Croazia, dove qualche tentativo era già stato fatto prima della seconda guerra mondiale, ma senza grandi effetti. Tracciamo, però, una breve sintesi del genere con l’aiuto dell’editore Zoran Milevoj, titolare della Matthias Flaccius Illyricus, casa editrice istriana che pubblica opere di autori prevalentemente originari della zona di Albona o, comunque, libri qui ambientati. L’esordio vero e proprio del romanzo poliziesco croato viene datato nel 1956 con "Jednostavno umortstvo" (Un omicidio semplice) di Antun Soljan (1932-1993), allora pressoché sconosciuto e che sarebbe diventato uno dei maggiori scrittori croati. Un suo romanzo "Kratki zivot" (Una breve vita) è tradotto anche in italiano da una piccola casa editrice, la Lefti.

Antun Soljan
Antun Soljan

Un altro scrittore non di genere che si è cimentato con il giallo è anche Ivan Raos (1921-1987). Due i titoli: "Crna limuzina" (Una limousine nera), del 1960, e "Mrtvaci ne poziraju" (I morti non stanno in posa) del 1961. Raos, considerando il giallo un genere minore, li aveva firmati con lo pseudonimo di Navi Soar.

Nel 1957 fa il suo esordio uno tra i più prolifici autori di gialli croato: Milan Nikolic’ (1924-1970). Ne ha scritti infatti diciannove. Ciononostante, oggi Nikolic’ è completamente sconosciuto e non è neppure possibile trovare i suoi libri. Il motivo, probabilmente, sta nel fatto che egli, pur essendo croato, scriveva in serbo, ovvero quindi in cirillico, e solo 4 o 5 romanzi ha scritto in lettere latine e autenticamente in croato. Protagonista dei suoi romanzi, comunque, era l’ispettore Malin della questura di Zagabria.

A usare lo pseudonimo quando scriveva gialli era anche Nenad Brixy (1924-1984), che ha esordito nel 1960 con il romanzo "Mrtvacima ulaz zabranjen" (Ingresso vietato ai morti). Ne avrebbe scritti 14 di gialli, tutti ambientati negli Stati Uniti e aventi per protagonista un detective pasticcione dal nome di Timothy Tatcher. Proprio l’editore Zoran Milevoj ha pubblicato nel 1997 uno di questi romanzi "Tajna crvenog salona" (Il segreto del salotto rosso) per il fatto che è ambientato in Istria, nel castello di Krsan (Chersano). Una curiosità riguardo a Brixy: era il traduttore di Alan Ford in croato, tanto bravo da fare del personaggio di Max Bunker uno tra i più grandi successi in Croazia per quanto riguarda il mondo dei fumetti.

Negli anni Sessanta esordì anche Branko Belan (1912-1986), cineasta oltre che scrittore, con il giallo "Biografija utopljenice" (Biografia di una donna affogata) nel 1962 e "Obrasci mrznje" (I modelli dell’odio) nel 1964, entrambi ben accolti dalla critica.

Risale al 1977 l’esordio di Pavao Pavlicic (1946), riconosciuto, insieme a Goran Tribuson (1948), tra gli autori più rinomati e prolifici del giallo croato (anche se Tribuson è un nome, per via del nonno, di origine italiana). Di Pavlicic citiamo soltanto il primo romanzo "Plava ruza" (La rosa blu), tralasciando i numerosi titoli che sono seguiti.

Goran Tribuson
Goran Tribuson

Per quanto riguarda Goran Tribuson, ricordiamo che egli è soprannominato il Raymond Chandler croato grazie al suo detective Nikola Banic che, come Philip Marlowe ama il jazz e le sigarette. Con protagonista questo ispettore Banic, Tribuson ha scritto 6 romanzi, il primo nel 1985, "Zavirivanje" (Gettare uno sguardo) e l’ultimo nel 2004, "Gorka cokolada" (Cioccolata amara). Nei primi due romanzi Banic lavorava nella polizia, ma dal terzo in poi, scritto nel 1991, ha aperto un’agenzia investigativa privata. Tribuson trae sempre ispirazione dall’attualità, dagli aspetti sociali, dai problemi che attraversano la società. E, quindi, i suoi romanzi si possono leggere anche come cronaca della criminalità nella società croata contemporanea.

Irena Vrkljan
Irena Vrkljan

Tra gli ultimi esponenti del giallo croato abbiamo Josip Pavicic e Robert Naprta. Entrambi si occupano della Croazia nata dalle ceneri del recente conflitto che ha dilaniato l’ex Jugoslavia, affrontando, con uno stile hard-boiled, i temi della corruzione e quant’altro intacca il tessuto della nazione.

Infine, a scrivere gialli, ma non solo, sono anche due donne: Visnja Stahuljak e Irena Vrkljan.