29 maggio 1923
Cara Noemi,
hai ragione, bisogna essere prudenti, ma quanto paghiamo per questa vigilanza continua sulle nostre azioni? La necessità di prestare attenzione alle parole, agli atteggiamenti, la sensazione di un pericolo incerto eppure costante e concreto rendono i nostri giorni sempre più inquieti. Forse stiamo cominciando tutti a sentirci un poco colpevoli di non riuscire a sfoderare il coraggio, e troviamo reciproco conforto al pensiero di essere accomunati dalla quieta vigliaccheria del tirare a campare cercando di proteggere le nostre vite. Ma davvero le stiamo proteggendo, sorella mia? Davvero tenere nascosti i pensieri, la rabbia contro quello che è palesemente ingiusto, davvero non prendere posizione ci sta aiutando a preparare un futuro degno di essere vissuto? Troviamo scuse consolatorie dicendoci l’un l’altro che le decisioni vengono prese in alto, là dove noi non possiamo influire, ma non pensi anche tu che il nostro silenzio stia creando un varco sempre più ampio nel quale ormai cominciano a spadroneggiare persone e istinti sempre più oscuri? A volte penso che siamo tutti diventati come un branco di gazzelle che, intuita la presenza di un leone, drizzano il collo tendendo le orecchie e si disperdono in fuga, lasciando lo spazio vuoto intorno all’aggressore. Ma questi non sono leoni, sono uomini mediocri, pieni di rabbia, forse proprio per una segreta coscienza della loro piccolezza. Quello che per loro è coraggio, può solo chiamarsi abiezione. Qui da noi la situazione peggiora di giorno in giorno. Le violenze non vengono compiute mai da una persona sola, sono sempre almeno in due, più spesso in gruppo. Cantano canzoni che suscitano repulsione, minacciano, insultano, deridono e picchiano, sentendosi forti nel momento in cui condividono un gesto di sopraffazione. Aumentano le persone che, per aver espresso un’opinione, per aver detto la verità, sono costrette, da gruppi di prepotenti, a bere l’olio di ricino. Non mi stupisce che abbiano scelto il nero per le loro divise, è lo specchio del buio che è dentro di loro.
Vorrei tanto poterti parlare di persona e questa lontananza mi pesa, perché ormai, da quando tu e Adelmo siete partiti, mi sento più sola, senza nessuno della mia famiglia. Raoul, come sai, è spesso fuori per lavoro e, anche se sono circondata da amici, è la familiarità, il calore di casa che mi mancano. Quando arrivano le tue lettere, dopo tanti giorni di viaggio, penso sempre a quante cose saranno successe o saranno cambiate nel frattempo, e immagino che lo stesso penserai tu, quando ricevi le mie. Mi consolo pensando che almeno tu vivi in un paese più libero del nostro, almeno per ora.
Ti dicevo, dunque, che qui la situazione peggiora e i pochi che si oppongono pagano conseguenze gravi e, purtroppo, anche gravissime, e il mio naturale ottimismo si sta affievolendo. Fa male sapere che sconosciuti subiscono torti e violenze, ma se muoiono i tuoi amici la stretta dell’angoscia diventa difficilmente sostenibile.
Tu mi conosci bene e sai che non ho mai messo piede in quella che dovrebbe essere la mia chiesa. Avevo sentito parlare tanto del parroco, ma non lo conoscevo. L’ho incontrato circa un mese fa, al funerale di Natale. Era lì, in mezzo a tutti noi, gli amici di una vita, addolorati e increduli. Accettare una morte ingiusta, anzitempo, è un peso che toglie il respiro. Sapevo che Natale era legato da un’amicizia profonda con questo prete, mi sembrava uno strano sodalizio, eppure erano evidentemente in sintonia. Pensa, Aida, che l’unica persona che ha avuto il coraggio di condannare pubblicamente l’assassinio di Natale è stato questo parroco. Mi ha subito colpito quando l’ho visto, ha energia e schiettezza. Si distingue, forse, per l’imponenza della figura, o perché cattura l’attenzione della gente parlando con parole semplici, spesso in dialetto. Qui tutti gli vogliono bene.
L’ho avvicinato per scambiare qualche parola, per ringraziarlo del suo gesto di coraggio, che in tutti ha suscitato ammirazione, ma che pochi, me compresa, sarebbero capaci di compiere. Abbiamo conversato a lungo, dell’amicizia che entrambi avevamo per Natale, e di tante altre cose. Da quando ha fondato l’associazione degli scout, gli stanno facendo la guerra: insulti, minacce e perfino attentati. I ragazzi che vogliono iscriversi vengono spaventati e alcuni loro genitori hanno addirittura perso il posto di lavoro.
Mi dici che ti parlo sempre della situazione politica italiana e ti racconto poco di me. È vero, mi rendo conto anche io che sono talmente oppressa dall’atmosfera cupa in cui siamo costretti a vivere, dal continuo restringersi della libertà che mi rimane poco spazio per altri pensieri. Quando ti scrivo ho così tanta voglia di sfogarmi per questa situazione che dimentico di raccontarti di me, di come sto, di cosa faccio.
Provo a passare ad argomenti più leggeri e ti mando qualche notizia. Raoul mi ha molto incoraggiata a far vedere i miei acquerelli a un suo amico, che ha una galleria d’arte a Venezia. Siamo andati a trovarlo quindici giorni fa. È stata una grande emozione tornare nella mia città preferita, ma più ancora mostrare i miei lavori a una persona competente. Ero imbarazzata, anche un poco orgogliosa, ma temevo una critica negativa. Comunque, nonostante le mie paure, l’amico di Raoul ha detto che sarebbe addirittura disposto a farmi fare una mostra personale prima della fine dell’anno, se nel frattempo riuscissi a produrre ancora una decina di acquerelli oltre quelli che gli ho portato. Ho passato una giornata veramente incantevole, e non ti dico che gioia è stata per me trascorrere finalmente due giorni interi di vacanza con Raoul. Era da tanto tempo che non succedeva e spero che l’atmosfera romantica di Venezia mi porti bene, perché, come ti ho già detto, desidero tanto questo bambino che non arriva. Ho 30 anni e comincio a diventare vecchia. Scrivimi presto, ti bacio
tua Angela
30 agosto 1923
Noemi carissima,
ho cominciato a scriverti qualche notte fa, ma non ci sono riuscita. Riprendo la lettera per raccontarti una cosa terribile. La sera del 23 ho cenato da sola, Raoul era a Berlino per lavoro. Ero molto agitata e non capivo perché, non ne avevo alcun motivo, oppure forse presagivo quello che sarebbe successo di lì a poco. Se tu fossi qui, immagino che mi diresti: "Dai, su, dimmi subito cos’è successo, non tenermi in sospeso", come facevi sempre quando iniziavo i miei racconti senza arrivare al dunque, perdendomi in tanti dettagli. Questa volta ti accontento e andrò subito al nocciolo, ma tu permettimi di raccontarti per filo e per segno perché voglio che tu condivida con me tutto, proprio tutto quello che ho vissuto qualche sera fa. Dunque, dicevo che mi sentivo agitata e allora ho pensato che fare un giro in bicicletta mi avrebbe aiutata a calmarmi. Ho pedalato un po’ per il centro, ma il calore accumulato dal selciato risaliva verso l’alto rendendo faticosa la mia escursione cittadina. Ho deciso quindi di dirigermi fuori città, verso gli argini del Po. I grilli cantavano a tutto spiano, in mezzo ai pioppi l’aria era fresca e umida, il cielo era tutto un brillio di stelle. Nonostante la sera fosse serena, continuavo a sentirmi inquieta e neanche la lunga passeggiata riusciva a calmarmi. Ho percorso ancora qualche chilometro, poi sono tornata verso la città. A un certo punto, ho sentito il cuore che cominciava a battere forte, ma non per la fatica. Mi sono fermata, spaventata, con la sensazione che stesse per succedere qualcosa di orribile. Ho respirato a fondo, senza riuscire a calmarmi, dicendo a me stessa che ero una stupida, che non avevo alcun motivo per lasciarmi prendere dall’ansia. Avrei voluto rimontare sulla bicicletta, ma non riuscivo a muovermi, mentre il mio sguardo rimaneva fisso sulla curva nella strada che correva poco lontano da me, sotto l’argine. Non c’era anima viva, se non ci fossero stati i grilli, il silenzio sarebbe stato assoluto, eppure sentivo la presenza di qualcuno. Non so quanto sono rimasta lì ad aspettare. A un certo punto sono spuntate due persone, un prete alto e un ragazzo che parlavano animatamente. Una delle due figure era inconfondibile: ho riconosciuto subito il parroco di cui ti ho parlato nell’ultima lettera. Poco dopo, dietro di loro, sono comparsi due uomini vestiti di nero. A quel punto il cuore ha cominciato a battermi all’impazzata: ho capito subito che erano loro i messaggeri della paura che sentivo addosso. Rapidi e silenziosi si sono avvicinati al prete e al ragazzo e con un movimento fulmineo li hanno colpiti con un bastone con un’incredibile violenza. Sono caduti a terra entrambi, come sacchi svuotati improvvisamente, dalle loro teste il sangue ha cominciato a spargersi per terra. Gli assassini sono scappati nel breve istante in cui ho chiuso gli occhi per l’orrore. Ora l’ansia era scomparsa e al suo posto montava immensa la rabbia. Sono risalita in bicicletta e sono scesa di corsa dall’argine urlando per chiamare aiuto, mentre vedevo i due uomini che tentavano di rialzarsi.
Il ragazzo si è salvato, il prete no. Lo hanno portato a Ravenna per il funerale. Ad accompagnare il feretro all’uscita della nostra città c’era quasi tutta la popolazione, in piedi, lungo i lati della strada. Tutti volevano salutarlo, anche quelli, che come me, non sono mai entrati in chiesa.
Pochi giorni dopo, ho saputo da Aldo una notizia che suona come una beffa: dalla sua caserma è partito, per telegrafo, un messaggio che conteneva la frase "Movente del delitto, lievi dissensi politici".
LIEVI DISSENSI POLITICI! Lascio a te i commenti,
Angela
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