Campione d’incassi in Corea del Sud, The Host di Boong Joon-ho è apparentemente un film horror incentrato sulla figura di un mostro -l’ospite del titolo. In realtà, vera protagonista della pellicola è la famiglia strampalata che decide di dare la caccia al mostro stesso, imbattendosi in una serie di disavventure, soprattutto con il personale medico della città. Il padre Hee-bong (Byun Hee-bong), proprietario di un chiosco di cibarie e bibite varie sul bordo del fiume Han, insieme ai figli Gang-du (Song Kang-ho), un po’ ingenuo e lento di riflessi, Nam-joo (Bae Doona), medaglia di bronzo al tiro con l’arco, e il nullafacente Nam-il (Park Hae-il), partono alla ricerca della piccola Hyun-seo (Ko Ah-sung), figlia di Gang-du, catturata appunto dal mostro. Ma i medici coreani, assistiti da una missione statunitense, intendono bloccare tutte le persone “contaminate” dalla creatura perché possibili veicoli di un misterioso virus che sembra inquinare l’atmosfera e gli esseri umani dopo il passaggio dell’essere mostruoso. Gand-du, in particolare, viene messo in quarantena dopo aver dichiarato candidamente di esser venuto a contatto con la bestia. Ma Hee-bong e gli altri due figli lo aiutano scappare dalla clinica e, armati di arco, bombe carta e semplice determinazione, tenteranno di sfuggire dalle grinfie pericolose del personale sanitario della città. Ma il gruppo di “dissidenti” non ha fatto i conti  con i propri limiti, e dopo la morte shock del padre e la ricattura di Gang-du i tre figli si separeranno, non senza escogitare ciascuno separatamente un modo per rintracciare la piccola Hyun-seo, nel frattempo raggiunta da un altro bambino, vivo, e da una serie di ossa umane putride. In uno scenario che vede Gang-du suo malgrado martire della causa ambientalista e insieme simbolo della protesta politica contro i soprusi del “potere”, alla fine forse i nodi verranno al pettine, anche se la famiglia che verrà a riformarsi non sarà esattamente come prima.

Perennemente in bilico tra farsa, commedia, dramma e horror, The Host regala momenti di autentico divertimento senza cedere alla comicità becera o facile né alla classica dicotomia tra bene e male, riducendo anzi la portata potenzialmente distruttiva del mostro sostituendole uno sguardo corrosivo e insieme burlesco sulla casta dei medici, che travisano volutamente la realtà in nome del controllo sugli individui. La scelta di costruire il ruolo portante della vicenda attorno alla figura di loser di Gang-du, goffo, grasso, tardo se non addirittura stupido ma profondamente “innocente” nel suo amore per la figlia, unica verità che possiede al mondo, assume una valenza provocatoria e sicuramente più apprezzabile e originale se paragonata alle tante pappette hollywoodiane infarcite di situazioni melense ed eroi senza macchia e senza paura che alla fine trionfano sempre. Certo questo non basta a rendere The Host un gran capolavoro, ma ci regala comunque un’opera in grado di divertirci senza far quadrare forzatamente tutto, in ciò dimostrandosi dunque un film molto “umano” nel suo ritrarre degli esseri imperfetti e forse per questo più piacevoli da guardare.