Luigi Comencini, nato a Salò l'8 giugno 1916, è stato uno dei padri della commedia all'italiana, insieme a Risi, Monicelli e Scola.
E di quello che è stato definito il neorealismo rosa.
Ha diretto i più importanti attori italiani, come Vittorio de Sica e Gina Lollobrigida in Pane, amore e fantasia, del 1953, ma anche Sordi, Manfredi, Mastroianni, Tognazzi.
Aveva cominciato, nel 1946, con Bambini in città e ha idealmente chiuso la carriera col remake di Marcellino pane e vino (1991) che cercava di restituire il piccolo santo cattolico a una dimensione laica e non lacrimosa.
L'etichetta di "regista dei bambini" gli rimase sempre addosso, attraverso quasi tutte le fasi della sua carriera, da Proibito rubare (1948), La finestra sul Luna Park (1957), Incompreso (1967), Le avventure di Pinocchio (1972), Voltati Eugenio (1980), fino al Cuore per la tv del 1986.
L'alternativa, per questo raffinato intellettuale lombardo, consisteva nel vedersi descritto come il campione di un cinema popolare che traduceva l'eredità del neorealismo in chiave ironica e addolcita con trionfi quali Pane amore e fantasia (1953, con il naturale seguito l'anno dopo) e commedie graffianti fra cui eccellono Tutti a casa (1960), lo sfortunato Senza sapere niente di lei (1969) e l'elegante La donna della domenica (1975).
La sua biografia artistica però è ben più complessa.
Laureato in architettura, amico di Alberto Lattuada, fece parte con quest'ultimo della rivista Corrente, fondata nel 1938 da Ernesto Treccani. La sua passione per il cinema risale a quegli anni e il corpo dei suoi scritti come critico si arricchì, nell'immediato dopoguerra, delle ficcanti recensioni scritte per L'avanti e per il settimanale Il Tempo.
Intanto, aveva collaborato con suo fratello, Lattuada e Mario Ferrari per dar vita alla Cineteca Italiana di Milano, il primo archivio del nostro paese.
Si trovò dietro la macchina da presa quasi per caso, alle prese con un documentario sull'infanzia delle borgate.
"Non è che i bambini mi piacciano in modo speciale - spiegò molti anni dopo - E' che sono una specie a parte, generalmente indifesa e oppressa dagli adulti.
Attraverso i loro occhi il mondo si vede meglio e nelle loro rabbie, gioie, anche egoismi, trovo spesso molta più schiettezza che negli adulti". Parole che sono un intento di poetica per la sua opera, tutta dedicata agli indifesi, agli sconfitti, alle donne, ai bambini appunto.
Arrivato a Roma, gli toccò in sorte l'adattamento alla napoletana di un successo americano come La città dei ragazzi.
Il suo talento si ritrova pienamente espresso nei due successivi melodrammi Persiane chiuse e La tratta delle bianche, a lungo osteggiati dalla critica ideologica dell'epoca.
E fu questo ostracismo diffuso a spingerlo sulla via del buon cinema di consumo con la serie Pane, amore... seguita dalla Bella di Roma del 1955.
"Io non sono un artista - ribatteva con forza a chi lo criticava - mi considero un buon artigiano e non è detto che il mio cinema non raggiunga per questo l'artisticità del risultato".
Solo negli anni '70 la critica gli avrebbe reso merito, facilitata anche dal grande successo ottenuto in Francia e dalla rivalutazione della commedia all'italiana che con il suo Tutti a casa segna uno dei suoi momenti più alti. Lavoratore instancabile, burbero all'apparenza, curioso come i suoi occhi sempre in movimento dimostravano bene, ha vissuto da patriarca illuminato in una famiglia tutta di donne, favorendone con l'esempio l'inserimento in quel mondo del cinema che non aveva mai mitizzato. Negli ultimi anni della sua carriera infatti, ha tenuto a battesimo gli esordi nella regia delle figlie Francesca e Cristina.
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