Quali sono le mie paure?
Bisogna distinguere tra le mie paure come individuo e quelle come scrittore.
Le prime credo siano quelle di tutti, ovvero di non capire a volte il senso della vita, di temere per le persone che ami, di temere anche per te stesso una delle infinite orribili cose che capitano agli altri e che, per qualche misterioso motivo sul quale non hai alcuno strumento per indagare, ti sono state risparmiate.
Come scrittore, invece, non ho paure, ma solo speranze. Speranza di avere successo, perché il successo, ovvero il riconoscimento del tuo lavoro paziente e solitario, ti sostiene e ti da linfa per continuare.
Di più, sono un’idealista, lo so, ma ormai è tardi per cambiare pelle, spero di riuscire prima o poi a dire davvero “qualcosa”. Non chiedetemi cosa, tanto lo avete capito.
Il cibo mi piace, mi piace che gli ingredienti siano i migliori e mi piace che siano ben cucinati quindi... cucino io. Ho l’ausilio di un centinaio di libri di cucina, che di solito leggo e rileggo, strano contrappasso, quando sono a dieta. Dieta dimagrante (ci tengo a restare nella mia piccola taglia) o disintossicante (a volte intruglio, quindi devo rimediare) o leggera (per mio marito, che quando ha pranzi e cene di lavoro e implora patate bollite e stracchino). Più o meno sempre dieta confortata da letture di ricette, quindi, salvo quando vengono gli amici, e allora mi sbizzarrisco.
Non sono golosa, certo non di dolci, salvo i cannoli di mia madre, ma vado matta per pane e olive, quelle piccanti, oppure per la pizza bianca romana con la mortadella o con la ricotta (slurp! solo a pensarci mi viene l’acquolina in bocca).
Cibo come cultura? Secondo me è la prima cultura che apprendiamo, ed è una quelle fondanti. Per questo all’estero non ho mai messo piede in un ristorante italiano e quando viaggio, e io viaggio parecchio, per capire di più il paese che sto visitando mangio sempre cucina locale. Infatti mi è capitato di mangiare finanche piraña, iguana e un animale che in Amazzonia chiamavano “topone”, sul quale ho preferito non fare indagini.
Caffè, caffè, caffè. E whisky con acqua e ghiaccio a parte, please.
Ho un ottimo rapporto col mio corpo, ci mancherebbe altro. E’ da quando sono nata che mi fa compagnia, mi tratta bene e mi fa stare bene con gli altri. Mi va bene così com’è e non lo cambierei in nulla, salvo in un piccolo particolare di non scarsa importanza: dovessi rinascere, voglio undici decimi, per contratto.
Certo che mi piace vestirmi, sono una donna, no? Ma non è una cosa astratta, indipendente dal contesto: mi piace avere l’abbigliamento giusto al momento giusto al posto giusto. Ho sempre ammirato la dignità di Pertini che in prigionia la notte metteva i pantaloni sotto il pagliericcio per fargli mantenere la riga e sono convinta che Oscar Wilde avesse ragione quando affermava che “Solo i superficiali non giudicano dalle apparenze”.
Mi piace scegliere e comprare stoffe e partire da lì per disegnare i vestiti. Sì, perché me li disegno io, scusate. Ho cassetti pieni di tessuti, praticamente il fabbisogno per cinque o sei stagioni. Per fortuna ho una bravissima sarta che trasforma le mie idee in cose concrete e la pensa come me. E’ capace di smontare una spalla se conviene sul fatto che è di mezzo centimetro troppo larga. Dite che sono pignola? Avete ragione. E’ troppa fatica?
Nella casa che abito da un anno e mezzo, e che ho avuto la fortuna di poter costruire secondo i miei desideri, tra le altre cose mi sono fatta un bagno esageratamente ampio con vasca, doccia, bagno turco, telefono, nonché ampia poltrona. Ci passo le ore, anche perché ho potuto notare (cosa non si fa per giustificare la propensione all’ozio) che è lì, oltre che nel dormiveglia o girando in macchina, che mi vengono le idee migliori.
Abito a Roma e cerco di muovermici sempre con gli occhi spalancati perché, nonostante ci viva da quando sono nata, è sempre capace di mostrarmi qualche altra sorprendente bellezza. Non vorrei vivere in nessun altra città, ma non posso non infuriarmi per come viene svilita. E’ caotica, con un traffico impossibile, varchi che ti espropriano di interi quartieri, buche e immondizie ovunque. Non è una situazione che grida vendetta?
Di quelle italiane, Milano è la seconda città del mio cuore. Gli amici milanesi non ci credevano, ma hanno capito che è vero quando hanno letto “Delitti alla Scala”, il mio quinto romanzo, che ho dedicato alla loro città, che considero anche un po’ mia, e al suo strepitoso Teatro alla Scala.
Mi piace camminare, macino chilometri, ma solo nelle città, che giro tutte a piedi, anche perché sono convinta che è il solo modo per capirci qualcosa. Se mi dite però di fare una passeggiata in campagna mi vengono i crampi.
Non sopporto la montagna, ma il mare l’adoro. D’estate e d’inverno, dalla riva o in barca. Mi rilassa finanche se lo guardo in cartolina.
I viaggi in macchina, in aereo, in treno, in nave, in barca, purché si viaggi.
Passiamo alla scrittura.
Nella prima fase, quando cerco un’idea, sono come un rabdomante, vago dentro e fuori della mia mente, alla ricerca. So che la scoverò, l’idea, ma non so quando.
Se si tratta di un romanzo traccio prima una breve trama e il profilo dei personaggi principali, se si tratta di un racconto, lo scrivo direttamente.
Sono lenta, ma “buona la prima”, scrivo una sola stesura. Certo mentre scrivo limo e controllo e correggo, ma poi quello che è fatto è fatto. Mio marito è la prima vittima. Primo lettore, e sponsor, quando arriva a casa si ritrova subito in mano le pagine del giorno.
Con la tecnologia ho un ottimo rapporto. Ho faticato da morire quando, tanti anni fa, traducendo un giallo per Mondadori, mi si è rotta la macchina elettrica e sono dovuta passare al PC di colpo. Avevo una scadenza, il sistema era ancora in DOS, le pagine scomparivano e io andavo in panico... Una esperienza orrenda.
Adesso farei molta fatica a lavorare senza PC, internet, e-mail e tutto il resto.
Non ho mai avuto il terrore della pagina bianca, però non mi sono mai nemmeno provata a scrivere senza essere pronta. Contorcimenti interiori per riuscire a concentrarmi, quelli sì, tanti, ma non li sfuggo perché ho il sospetto che facciano parte della creatività, almeno della mia.
Non sopporto quelli che dicono “beata te, devi avere tanta fantasia....”. Non è fantasia, che a me sembra una cosa da Vispa Teresa. E’ la fatica quotidiana di mettere al lavoro la tua immaginazione, ovvero di associare cose che a volte nemmeno sapevi di avere nella testa. Come poi questo processo si traduca in pagina scritta non lo so.
Quando prendo un impegno lo mantengo, nella scrittura e nella vita. Quindi per me le scadenze sono le benvenute. Mi scuotono dalla pigrizia e mi stimolano. Stress positivo. Con le scadenze che mi do da me non funziona altrettanto bene.
Scrivo preferibilmente nei pomeriggi, riservando le mattine, in cui non sono mai completamente sveglia, a tutto il resto.
Mi piace molto stare da sola, organizzare in libertà il mio tempo, ma non apprezzerei la solitudine se non sapessi di avere amici, e la possibilità di stare con gli altri.
Spero, è naturale, di piacere, soprattutto a quelli che mi interessano, ma sono perfettamente consapevole, come Charlie Brown, che “non si può piacere a tutti”. Pazienza.
Voglio ricordare Federico Zeri, uomo straordinario che mi ha onorato accettando di scrivere due romanzi a quattro mani con me e col quale stavo progettando un terzo. Purtroppo è morto, e mai più mi sentirò così intelligente e colta come nei tre anni trascorsi a lavorare con lui. Ci vedevamo almeno una volta alla settimana, nella sua villa a Mentana che era una via di mezzo tra una strepitosa biblioteca e un magnifico museo, e passavamo la mattina lavorando e parlando di tutto, soprattutto di politica. Poi gli piaceva sorprendermi con qualcosa di speciale servito nei suoi famosi piatti d’argento. Mangiando parlavamo di cibo e ricette e tra una ricetta e l’altra lui, che tra l’altro aveva una memoria prodigiosa, mi raccontava infiniti e spesso piccanti aneddoti su tutte le persone che aveva conosciuto nella sua ricchissima vita.
E’ stato molto bello, sono cosciente di aver goduto di un enorme privilegio. La sua intelligenza, la sua vivacità, la sua cultura e il suo pensiero libero mi mancheranno per sempre.
Come si lavora a quattro mani? Posso dire come lavoravamo noi. Decidevamo dove ambientare la storia, chi dovevano essere i protagonisti. Poi io mi inventavo un plot e buttavo giù una scaletta sulla quale lavoravamo insieme.
Una volta sola ha voluto che sostituissi un aggettivo che giudicava un francesismo. Non so che darei per ricordare quale era.
La malattia e la morte mi sgomentano. Però la morte fa parte della vita, quindi vorrei cercare di capirla come cerco di capire la vita. Per questo, se proprio devo morire, vorrei poter aver la forza di farlo con serenità, consapevolezza e distacco.
I tentativi di svegliarmi presto per lavorare di più sono stati sempre fallimentari. Sto meglio e lavoro meglio quando dormo molto. E in più nel sonno ci sono i sogni, e i sogni mi organizzano le idee, e spesso mi spiegano quello che di giorno non ho capito, o non ho voluto capire.
Si spera di vivere prima o poi di sola scrittura perché vorrebbe dire che ce l’hai fatta. Nel frattempo si vive di scrittura lo stesso: fumetti, traduzioni, sceneggiature, articoli, reportage, racconti per riviste...
Devo ringraziare molte persone: innanzi tutto mio marito, primo, grande, sostenitore e ammiratore.
Lia Volpatti, la più grande esperta di gialli d’Italia che un giorno, mentre ero già felice di aver scritto tantissimi fumetti e mi crogiolavo nella soddisfazione di aver vinto il Gran Giallo di Cattolica con il migliore racconto di spionaggio, mi chiese come se niente fosse di provare a scrivere un romanzo per il Giallo Mondadori. Se i miei romanzi non vi piacciono sapete a chi dare la colpa.
Mario Spagnol, uno dei geni dell’editoria italiana, che nutriva grande rispetto degli autori, che amava seguirli e coltivarli, e che con me è stato attento e partecipe come altri mai. La sua stima mi ha fatto raggiungere la consapevolezza di essere uno scrittore e la sua generosità mi ha regalato il suggerimento di ambientare un romanzo alla Scala di Milano.
Federico Zeri, uomo immenso che mi ha fatto l’onore di considerarmi sua pari.
Ho desiderato fortemente di eliminare qualcuno, più d’uno, anche avendo la certezza che sarei stata giudicata per il mio atto. Uno scrittore deve pur conoscerle, le passioni...
Sono invisibile e vado dove voglio e faccio quello che voglio quando penso e quando scrivo.
Non è un passatempo, ma pratico con piacere da tantissimi anni yoga un paio di volte a settimana. Poi mi piace tirare con la pistola, giocare coi miei gatti, arredare la casa, viaggiare, dipingere e andare al cinema, ma l’unica cosa cui non potrei rinunciare è leggere.
Sesso e volentieri, ma allegro, per carità. C’è più gusto.
Carmen Iarrera. Sono nata a Roma da famiglia siciliana, e mi sono laureata in Scienze politiche all’Università La Sapienza. Ho scritto cinque romanzi gialli (Delitti alla Scala, Uno sguardo indiscreto, Mai con i quadri, Jihad 1999, Guantanamera), di cui due con Federico Zeri.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID