Dove è nata e dove ha trascorso la sua infanzia? Che scuole ha fatto?
Sono nata nell’Illinois, sono cresciuta a Los Angeles dove sono anche andata alle scuole pubbliche, dopo sono andata al college a Kenyon nell’Ohio e dopo il college mi sono messa a scrivere e quando ho capito che quella era la mia strada ho preso un master di narrativa all’Università del Michigan
Da ragazza le piaceva leggere? Quali sono state le sue letture preferite? Attualmente legge? Cosa?
Da piccola malauguratamente guardavo molto la Tv, poi con il crescere sono diventata una lettrice sempre più avida ed ora sono addirittura vorace. E’ chiaro che leggo molto anche per dovere di ricerca: quando preparo un libro nuovo. Però mi è sempre piaciuto e mi piace molto diversificare le letture per cui leggo anche noir/thriller/gialli (mistery) e letteratura contemporanea, alcuni nomi dei miei preferiti di sempre Minnette Walters (scrittrice di polizieschi), Lisa Sea, Jeff Walter, e prediligo sopratutto quei romanzi dove si combinano e si sposano il lavoro di scavo del personaggio con l’elemento suspense, quindi John Fearle e Lisa Scottolini che è una italo-americana e che sono autori di legal thriller.
Quando ha deciso di diventare scrittrice? E cosa la ha avvicinata alla scrittura?
Ho sempre tenuto un diario e cosi ho iniziato, e mi è sempre piaciuto scrivere, però non ho mai pensato di guadagnarmi da vivere scrivendo poi quando sono uscita dal college ho iniziato a lavorare nell’editoria: ero una di quei lettori che si “smazzano” i manoscritti che arrivano agli editori senza essere richiesti, per questa attività c’è una splendida definizione in gergo editoriale americano che coinvolge un mucchio di “qualcosa di schifoso che scorre via”. Inoltre lo stesso lavoro l’ho fatto per una casa cinematografica, la Castle Rock, per la quale sono arrivata a leggere anche cinque manoscritti a settimana e controllavo se c’era qualcosa da tirare fuori ai fini della casa cinematografica.
Quale è stato il percorso per poter pubblicare un suo primo lavoro? E di cosa si trattava?
Io ad un certo punto ho avuto una Fellowship (incarico come ricercatrice all’università) dalla Stranford University (in pratica lavori e studi contemporaneamente). Però era un tipo di rapporto in cui il punto focale era molto letterario, insomma li non si lavorava a scrivere di letteratura di genere era molto più orientato verso una scrittura di tipo letterario, difatti il mio primo romanzo era una via di mezzo tra pura letteratura con un elemento di suspense molto forte. Ma in realtà non era un mix, la trama non era quella di un giallo era un romanzo al centro del quale c’era la storia di due sorella una delle quali diventava attrice cinematografica (The Art of Seeing). Prima di questo romanzo, che ho impiegato 12 anni prima di riuscire a pubblicarlo, avevo scritto tanti racconti. Per riuscire a pubblicare un mio primo romanzo ho fatto la solita trafila nel senso che ho provato a “tirare tutte le funi” ma non ha funzionato niente, cioè ho mandato il mio manoscritto a tanti agenti che me lo hanno puntualmente respinto e la cosa strana e che il migliore agente fra i vari: il più noto, il più affermato è stato proprio lui che me lo ha accettato. Ed è tutt’ora il mio agente e a lui debbo il mio successo.
Lei è sposata e madre di tre figlio, dove e come trova il tempo per scrivere
Si è vero ho tre figli, però i due più grandi vanno a scuola, il piccolo va all’asilo nido e siccome per me scrivere è una professione quando tutti sono via io mi metto a scrivere, in casa non faccio nulla, non pulisco non faccio le faccende di casa ecc. ecc. ed a volte scrivo anche di notte.
Dove scrive, in che tempi e di cosa si circonda quando lavora ad un libro? Ha abitudini particolari? Scrive quando le capita oppure ha delle regole rigide (tutti i giorni, in determinate ore, tante cartelle ecc)?
Diciamo che in passato non ero così legata a regole fisse, però ora sto andando in quella direzione in quanto mi sono accorta che in realtà uno deve produrre un certo numero di pagine al giorno e si deve dare questa regola che serve, se non ad altro per stabilire anche quando è il momento di fermarsi. E quindi cerco di tenermi attorno ad una media di 4/5 pagine al giorno, naturalmente la cifra che indico non tiene conto del processo lungo, tortuoso e tormentoso di revisione e correzione e delle ricerche.
Per quale tipo di lettore scrive i suoi racconti? E questo romanzo Eye Contact quale pensa possa essere il lettore tipo?
Principalmente la mia speranza è che questo libro finisca in mano a genitori di bambini autistici come lo sono io, che gli serva sia a rivedere loro stessi, a rispecchiarsi, a rivedere le proprie esperienze, la vita che fanno ma anche a trovarci un motivo di conforto di speranza e di incoraggiamento. Poi verso tutti coloro che conoscono direttamente un bambino autistico o dei loro famigliari e quindi sono magari desiderosi di conoscere meglio questa condizione.
E poi naturalmente come qualsiasi scrittore spero che il lettore scelga il mio libro perchè si aspetta un buon thriller una buona storia che ha una forte componente di suspense e quindi anche un pubblico di lettori in generale.
Il romanzo Eye Contact è nato con l’idea di scrivere un thriller oppure nasce dalla sua personale esperienza di madre?
Sicuramente è stata più la mia esperienza di madre che voleva far conoscere ad un più vasto pubblico il problema dell’autismo. Però siccome sono anche una lettrice a cui piacciono le storie scritte bene e “che funzionano”, e libri che abbiano una bella trama, ad un certo punto mi è venuta in mente l’idea di cosa succederebbe se ci fosse un bambino che si trova ad essere l’unico testimone di un crimine, l’unico che custodisce dentro di se le informazioni necessarie a risolvere il caso. Ho iniziato a scrivere intorno a questa idea sono arrivata all’incirca a metà e poi mi sono arenata perchè non sapevo più come proseguire la vicenda. Sono passati due anni e poi ho ripreso con l’idea di aggiungere dei ragazzi un poco più grandi in veste di detective dilettanti perchè ero andata a visitare uno di questi gruppi che ci sono nel mio paese, che cercano di aiutare le persone che hanno problemi di socializzazione a vario titolo, quindi comunicazione, socializzazione, amicizia ed ho scoperto dei ragazzi adorabili più grandicelli del mio Adam ed è nata così l’idea di mettere loro come apprendisti detective che affiancano la madre e la legge e sono loro il vero ponte, il vero raccordo, il vero punto di contatto che unisce Adam al resto della comunità.
Per quale motivo ha scelto di scrivere il romanzo con vari punti di vista dei vari personaggi e non dal solo punto di vista di Cara?
E’ una tecnica che mi piace e che mi è capitato di apprezzare leggendola presso altri autori. Secondo me la molteplicità delle voci acuisce la suspense. Mi sembra un dispositivo che aiuti a presentare diversi pezzi del puzzle e li faccia arrivare all’intuizione del lettore perfino prima che li capiscano i vari personaggi. Per esempio nel libro di cui stiamo parlando ci sono delle cose che emergono proprio dal racconto di queste voci molteplici e che il lettore viene a sapere direttamente da ciascuna di queste persone e che la mamma di Adam ancora non sa. Quindi aggiunge mistero a mistero e fa arrivare al lettore degli indizi forse persino prima che arrivino alla madre, che dovrebbe essere il centro del narrato. Chiaramente è un modo di narrare che comporta dei rischi; sono perfettamente consapevole che il pericolo è che la narrazione diventi dispersiva, cioè non bisogna esagerare nel numero delle voci che intervengono.
Per me il grande vantaggio è che in questa maniera io riesco a far capire al lettore, quale è l’impatto, quali sono gli effetti che può avere un fatto del genere così cruento sulla intera comunità (genitori, maestre, investigatori ecc.).
Cara sicuramente è una donna con un carattere forte, che ha saputo affrontare le varie difficoltà della vita, però ha sempre avuto rapporti problematici con amiche, compagni ecc. Questo riflette il suo carattere?
E’ interessante il fatto che nel libro ho descritta Cara come madre nubile, mentre io sono felicemente sposata. E’ degno di nota che questo personaggio, io l’ho isolato all’estremo: senza marito, genitori morti ed ha pure rotto con alcuni vecchi amici. Ho fatto questo perchè quando si scrive un romanzo che ruota attorno all’elemento della suspense, del mistero, lo scrittore vuole che i personaggi alzino la posta del gioco più che possono. Questo al fine di aumentare la tensione. Io isolando la protagonista con questi rapporti problematici che ha avuto, con questi affetti mancati, sparizioni o morti, faccio in modo che la sua vita ruoti interamente attorno al figlio che è realmente ed autenticamente tutta quanta la sua esistenza. In questo effettivamente c’è un motivo autobiografico, infatti gli anni successivi alla diagnosi di autismo di mio figlio, sono stati anni carichi di lavoro veramente intenso perchè un genitore deve imparare ad inventare un linguaggio per comunicare, per farsi ascoltare. Sono anni nei quali a buon bisogno anche se avevo vicino un marito che voleva bene a me ed al figlio mi sono sentita sola. E quindi anche se in modo del tutto non intenzionale credo che questo aspetto rispecchi la mia esperienza personale. Questa grande solitudine in cui ti vieni a trovare. Sei solo tu e il problema.
Nello scrivere questo (bel) romanzo, ci sono stati autori che l’hanno influenzata?
Rain man continua ad essere un film straordinario ancora oggi a tanti anni dalla sua uscita. Straordinario per quanto è realistico il modo in cui ritrae la situazione di una persona con l’autismo. Adesso i libri con al centro personaggi autistici stanno aumentando e non parlo soltanto del libro di Mark Haddon, che ovviamente ho letto. La saggistica sulla malattia non mi ha influenzato molto: sono più una appassionata di gialli.
Il motivo per cui l’ho scritto è che volevo partire dalla mia esperienza e volevo narrare una storia vera, che arrivasse al lettore come vera e penso che questo sia un bene perchè quante più persone vengono a conoscenza di questo problema tanto più la gente riesce a capire ed aiutare queste persone. Una ultima osservazione comparativa l’uomo ritratto in Rain Man ed il ragazzino del libro di Mark Haddon sono molto diversi tra di loro. E’ importante che la gente capisca che l’autismo non e’ un problema unico, dietro ci stanno delle situazioni diversissime tanto quanto sono diversi questi due personaggi cioè dentro l’autismo ci sono delle persone che non parlano ed altre decisamente loquaci. Questo aumento del numero delle storie su pellicola o su carta che ci raccontano l’autismo serve a far capire che in esso si trova una gamma molto vasta e molto differenziata di problemi.
Sicuramente sul problema “Autismo” lei ha una profonda conoscenza. Le chiediamo se allo stato attuale della medicina e/o della chirurgia ci sono delle speranze a Breve? Ci sono delle serie ricerche in merito?
Sui finanziamenti alla ricerca ho cifre abbastanza approssimative e solo per gli Usa: di certo solo ultimamente si è visto un certo incremento nello studio dell’autismo. Comunque ogni 20 dollari spesi per la ricerca sul cancro solo 1 viene speso per la ricerca per l’autismo. Mentre il problema non riguarda un piccolo gruppo di persone, negli Usa c’è un milione di ragazzi al di sotto dei 15 anni che ha una diagnosi di autismo, cioè un bambino ogni 166
Quello che è particolarmente frustrante ed angoscioso per i genitori è sentirsi dire al momento della diagnosi al figlio: “guardate di questa malattia sostanzialmente non si sa nulla; nel senso che non ci sono dei dati scientificamente quantificabili sulle terapie che funzionano”. E’ un po di questo e un po di quello e molto sono affidate ad un passa parola, più che a dati certi. Per es.: si sente da altri genitori che un tipo di alimento o supplemento alimentare funziona vuol dire che il ragazzo starà meglio, oppure ho letto su una rivista medica che la tale dieta funziona. I genitori apprendono subito che devono andare molto a tentoni e che le speranze migliori stanno in quel tipo di terapia, dieta o altro che realmente fa stare meglio i figli e molto spesso questi miglioramenti riguardano tutto quello che non è il cervello, infatti si deve sapere che attorno all’autismo ci sono tante altre condizioni e sindromi che l’accompagnano e possono essere problemi di convulsioni, epilessia oppure gravi problemi gastrointestinali come è successo a mio figlio. Per i primi 5 anni della sua vita mio figlio non assorbiva il nutrimento necessario alla crescita. Il cervello in certi momenti appare del tutto secondario, quindi che si possono guarire è tutt’altro un paio di maniche ma si può intervenire sulla alimentazione od altro per migliorare le loro condizioni di vita.
Per i genitori è importante imparare ad accettare un figlio in queste condizioni sapendo che non potrà mai guarire. E si spera che in un prossimo futuro aumentino i finanziamenti per la ricerca.
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