L'ultimo re di Scozia di Kevin MacDonad, biopic a cavallo tra realtà e finzione sul quale c’è poco da dire. Al centro Idi Amin ”Dada”, il “signore di tutte le bestie della terra e dei pesci del mare”, istrionico, folle, uno dei tanti padri-padroni dell’Africa (Uganda), acclamato all’inizio schifato alla fine (anche perché responsabile di ripetuti massacri degli oppositori). Salito al potere (con il beneplacito della Gran Bretagna) grazie ad un colpo di stato militare nel gennaio del ’71, dura in sella fino all’aprile del ’79, allorquando, dopo la fallita invasione della Tanzania lo stesso esercito tanzaniano lo costringe alla fuga, prima in Libia, poi in Arabia Saudita, dove morirà nel 2003. Questo per la cronaca. Interpretazione e candidatura all’Oscar per Forest Whitaker (già vincitore del Golden Globe 2007 come miglior attore drammatico), che agevolato da una somiglianza non indifferente con il vero Idi Amin, riesce a tratti a farlo rivivere sullo schermo. A tratti perché la scelta è quella, imperfetta, di narrare le vicende attraverso lo sguardo di Nicholas Garrigan (James McAvoy), un giovane medico scozzese che giunto in Uganda per motivi umanitari si ritrova d’improvviso medico personale nonché consigliere del dittatore. Scontato il processo di progressiva presa di coscienza della follia che alberga in quello che all’inizio appare essere un benefattore dell’umanità. Ma il narrare “attraverso gli occhi di” ha le conseguenze di allontanare nel limbo delle buone intenzioni la figura del dittatore. Il personaggio di Amin così va ramengo lungo la storia, un giullare quando va bene, un occhio spiritato quando va male. Questo per il film. Da confrontare le due versioni dell’Africa presenti in questo momento sugli schermi, quella di Blood Diamond (fotografata da Eduardo Serra), selvaggia e dagli ampi orizzonti, e questa (fotografata da Anthony Dod Mantle), prevalentemente urbana.