Qualche anno fa, in una serie di incontri con autori di genere alla Fnac, ponevo agli ospiti la domanda "Che cosa ti fa più paura?" Lucarelli rispose "I pesci abissali", Douglas Preston rispose "La follia"... Quando fu chiesto a me, risposi "Ho paura... di tutto." Nel senso che sono un pessimista d'assalto e cerco sempre di prevedere ogni possibile scenario per poterlo debellare o quantomeno combattere. Potrei allo stesso modo dire che non ho paura di niente: in un paio di momenti della mia vita mi sono lanciato in battaglie piuttosto rischiose, come quando pubblicavo articoli sulla strategia della tensione su Delitti & Misteri e qualche magistrato mi ha guardato con sospetto, o quando ho smentito le verità ufficiali su Lady Diana, o quando la scorsa primavera - malgrado fossi certo che le mie telefeonate erano sotto controllo - ho collaborato attivamente con un'organizzazione per la libertà di stampa con base a New York per far scarcerare il giornalista Mario Spezi "colpevole" di scomode rivleazioni sul Mostro di Firenze. In realtà ho le mie paure radicate, di cui spesso faccio uso in quello che scrivo: non amo le grandi altezze, non farei mai il paracadutista e non mi piace passeggiare sull'orlo di un precipizio guardando di sotto; detesto bisturi e siringhe specie quando è me che stanno tagliando e bucando... ma curiosamente ho da qualche tempo cominciato a collezionare riproduzioni di armi da taglio (navaja, spade di Toledo, karambit, katana, jian...) probabilmente per esorcizzarne il timore. Di una cosa credo di non avere paura: la pagina bianca. L'ho constatato partecipando infinite volte a spettacoli di scrittura dal vivo, le famose "Improvvisazioni d'autore" ideate da Pinketts e Massaron, di cui poi sono divenuto il portabandiera: si tratta di presentarsi di fronte al pubblico e scrivere in 5-10 minuti un racconto assolutamente improvvisato, partendo da un incipit dato dagli spettatori, che poi nel corso della scrittura "lanciano" frasi da inserire obbligatoriamente nella vicenda anche se non c'entrano nulla.
Mi piace mangiare e bere, anche se non mi considero goloso. Non sono granché come cuoco, ma so preparare qualche piatto dignitoso che di solito ha successo. Qualcuno vuole assaggiare il mio pollo al chili? Sono sempre disposto a farmi cucinare qualcosa da chi ne sa più di me. Recentemente ho molto apprezzato una trasferta a Modena in cui, oltre a firmare autografi su decine di copie vendute, sono stato portato dagli organizzatori della presentazione ad assaggiare le specialità locali. Spero di tornarci presto! Ho una predilezione per il salato e non amo particolarmente (ma apprezzo) i dolci. Se sono da solo e sto lavorando, mi preparo pasta (alimento irrinunciabile per me), qualche risotto e normalmente carne alla piastra e contorni semplici. Preferisco cucinare qualcosa di più serio quando ho ospiti e talvolta quando sono io ospite... ma ogni tanto lo faccio anche quando sono da solo. Non riesco a mangiare senza vino, o birra (ma solo quando va d'accordo con i piatti, almeno secondo il mio gusto), sono sempre stato un consumatore di tè, soprattutto a colazione, e di caffè, che ho dovuto ridurre. Le tisane sono per le lunghe sere d'inverno e mi sono servite per ridurre con successo il mio consumo industriale di superalcolici, cui tuttavia non ho rinunciato.
Una volta praticavo un po' di yoga, da autodidatta, e mi tenevo in esercizio facendo ginnastica ogni giorno, ora mi limito a camminare moltissimo: non avendo un'automobile, a Milano mi sposto solo a piedi e con mezzi pubblici ogni volta. Tra casa mia e la redazione di Alacrán Edizioni c'è un quarto d'ora di cammino in un parco, che faccio quasi tutti i giorni: meglio che niente. A volte ci vado anche a tarda ora o nei festivi, quando non c'è nessuno, lasciando sulle varie scrivanie post-it con istruzioni varie, firmati "lo stakanovista maskerato".
Ogni momento è buono per mettersi a scrivere o prendere appunti: post it e foglietti, ritagli di articoli che possono servire per qualche storia sono tappeti e tappezzeria della mia casa. Persino il tavolo della cucina è un prolungamento della mia scrivania. La carte e la penna (o la matita, meglio ancora) servono nella parte di preparazione: ho un piccolo rituale che precede la stesura di un romanzo, consistente nello scrivere su un foglio tutti gli elementi che si sono raccolti nella mia testa, collegandoli con linee e frecce. Poi passo al computer, ormai irrinunciabile. La stesura, infine, è rapidissima: quando arrivo a scrivere un romanzo, posso avere alle spalle mesi o anni di lavoro di ricerca e avere già moltissime idee sparse. Ma non voglio mai sapere tutto di quello che accadrà, mi lascio sempre alcune "zone di indeterminazione", a volte persino nel finale, per mantener evivo l'entusiasmo di scoprire come si svolgerà la storia. Così può capitare, come in Nightshade-Babilonia Connection che quello che doveva essere un personaggio secondario assuma il ruolo di coprotagonista della vicenda: come in Diabolik-La lunga notte che quello che in origine pensavo fosse il soprendente inizio della storia diventi in realtà il colpo di scena a metà romanzo; o, come in Martin Mystère-L'occhio sinistro di Rama, che quello che doveva essere il finale diventi solo un passaggio che prelude a una lunga parte conclusiva molto più spettacolare. Mi lascio sopraffare dalle storie, che si svolgono davanti ai miei occhi come un film che io cerco di riportare fedelmente sulla pagina. Poi provvedo a limare e ad aggiustare con una o più riletture, Ma è nor
Per il resto non pratico sport e il mio corpo non sempre ne gioisce. Gli concedo, quello sì, lunghe permanenze nella vasca da bagno, che rappresenta il luogo principe delle mie meditazioni: molto del mio lavoro di costruzione delle trame si svolge "in immersione", cosa che ho scoperto di avere in comune con Agatha Christie e William Somerset Maugham. La doccia è solo funzionale, solitamente quando sono in viaggio. Anche perché viaggio in treno - spesso portandomi copie dei libri per le presentazioni - e in aereo e arrivo sempre a destinazione in condizioni che poco hanno di umano. Sono sempre stato un solitario e in questo periodo ho la tendenza a esserlo ancora di più. Nondimeno, per qualche tempo, ho trascurato le presentazioni e gli incontri con il pubblico e di fatto ne ho sentito la mancanza. Ora sono tornato a condurre insieme ad Andrea G. Pinketts gli appuntamenti settimanali di "Seminario per giallo e bar" nel quartiere milanese di Brera, al mercoledì, e a fare presentazioni die miei libri in giro per l'Italia, con quel tanto di esibizionismo che ho sempre avuto e considero complementare al mestiere di scrittore. Non scrivo storie solo per me stesso, ma per comunicare emozioni e idee ai lettori. Presentare i libri ne è un proseguimento. Credo che molti scrittori pubblichino libri perché quello che sentono e pensano sia condiviso e possibilmente amato dal pubblico. Carenza affettiva? Probabile. Di sicuro, se il pubblico non amasse quello che scrivo, nessuno mi pubblicherebbe più e non avrebbe più senso scrivere.
La mia famiglia ha condizionato e condiziona, nel bene e nel male, la mia vita. I miei nonni, al di fuori del loro lavoro, hanno sempre avuto un temperamento artistico. Il nonno materno, il primo che se n'è andato, faceva anche il musicista e l'attore teatrale. Il nonno paterno, morto qualche anno dopo, era anche lui un attore oltre che un pittore dilettante. La nonna materna, scomparsa nel 1993 prima di poter leggere il mio primo racconto pubblicato (le avrebbe fatto piacere) aveva dovuto rinunciare per la famiglia a una carriera di cantante lirica. Mia madre è una pianista e ha tentato di trasmettermi il suo talento, senza successo; mio padre era solo un avido lettore ma anche un critico attento e, anche se avrebbe voluto che diventassi un ingegnere e questo è stato a lungo motivo di conflitto, nei suoi ultimi anni di vita era la prima persona a cui facevo leggere tutto quello che scrivevo, fidandomi dei suoi consigli. In tutto questo c'era un corpo estraneo, la nonna materna, che non ha mai apprezzato o compreso quello che facevano tutti gli altri e, nel mio caso, si è resa conto che non ero completamente un fallito solo quando ho cominciato ad avere un moderato ma innegabile successo. Ma era pur sempre mia nonna e le ho dedicato moltissimo tempo, anche quando non ne avevo e alternavo un lavoro "nornale" a quello di scrittore.
La malattia e la morte mi fanno moltissima paura. Moltissima. Mio padre ha avuto parecchie brutte esperienze di salute che ne hanno provocato la fine prematura. Data la notevole somiglianza tra me e lui, quando l'ho visto morto era un po' come se vedessi morto me. Dev'essere per questo che ho cambiato look: per sfuggire all'immagine del mio cadavere.
Se si può vivere di scrittura... Se per scrittura si intende pubblicare racconti e romanzi... no. Si guadagna troppo poco o troppo di rado. Per vivere, da dodici anni a questa parte ho fatto mille mestieri editoriali, soprattutto il traduttore. Spesso ho guadagnato di più a tradurre mediocri romanzi stranieri che a scriverne di miei, oggettivamente migliori. Oggi ho quantomeno il privilegio di scegliere chi tradurre e lavorare su autori che amo e che spesso sono anche miei amici, come Jeffery Deaver, Douglas Preston, Stuart Kaminsky, Raymond Benson, Richard Stark, Pedro Casals, Andreu Martin... Anche se non sempre ho il tempo di tradurre personalmente tutto quello che scrivono!
Una volta era molto importante leggere, adesso leggo quasi solo per lavoro, solo di tanto in tanto riesco a prendere in mano un libro esclusivamente per piacere. Anche se per fortuna oggi non faccio quasi più il lettore editoriale e spesso mi occupo di bei libri che stanno per essere pubblicati, da Sonzogno (con cui ho lavorato per molti anni e collaboro ancora) e per Alacrán. Leggo ancora fumetti, anche se non quanto vorrei. E appena posso vado al cinema o guardo film in dvd: di questi ormai ne compro più di quanti riesca a consumarne, avendo pochissime serate libere dal lavoro. Di sesso ultimamente ne ho avuto poco, per le stesse ragioni (la storia della mia vita!).
Andrea Carlo Cappi, 1964. Italia. Scrittore, traduttore, sceneggiatore per fumetti e radio, consulente, direttore editoriale di M-Rivista del Mistero. Ha pubblicato per vari editori, tra cui Mondadori, EL, Addictions, Sonzogno, Alacrán. Come narratore, si trova perfettamente a suo agio sia nel racconto breve che nella misura del romanzo. Ha ideato alcune serie, tra cui quella di Carlo Medina e del Cacciatore di Libri. Per Segretissimo, con lo pseudonimo di François Torrent, ha creato il personaggio seriale di Nightshade (Missione Cuba, Progetto Lovelace, Obiettivo Sickrose, Babilonia Connection). Tra i massimi esperti di James Bond in Italia, è tra i fondatori dello 007 Admiral Club. In collaborazione con Edward Coffrini Dall’Orto ha curato il saggio MondoBond. Ha dedicato un paio di libri a due celebri personaggi del fumetto italiano, ricreandone con cura personalità e atmosfere nei romanzi Diabolik - La lunga notte e Martin Mystère - L’occhio sinistro di Rama. Suo è anche il saggio Elementi di tenebra, un Manuale di scrittura thriller arricchito da opinioni e consigli di svariati tra i maggiori autori nazionali e internazionali di gialli. Nei suoi romanzi, Cappi s’impone generalmente una regola: che il lettore si diverta, senza smettere di pensare. (FN dal DizioNoir)
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