Incontro Alessandro Zannoni (alias Merisi) nella tana della Tecla (Dozio), la Libreria del Giallo a Milano, lo scorso 2 dicembre. Di persona, dopo averlo conosciuto leggendo due romanzi. Un viso, finalmente; e non più solo un nome su una cover. Una voce e uno sguardo che, all’istante, lasciano un solco. Come un’incisione.
E da questa convergenza, un’idea. Voglio essere un angelo, per lui. Il suo “angelo nero”. E specchiarlo, muta, nella sua stessa scrittura. Un contrappunto “duale”. Per riflettere anche il suo angelo “noirissimo”.
Merisi si presenta nel panorama letterario con quattro romanzi pubblicati:
Alla luce dei fatti (2001, autoprodotto; ripubblicato nella collana I dispari/Res edizioni 2001);
Nero in dissolvenza (2002, collana I dispari/Res edizioni; ripubblicato Contatto edizioni, 2005 - vedi libri/1444);
Lo stretto necessario (2003, autoprodotto);
Imperfetto (2006, autoprodotto, distribuito da Autocircuito - vedi libri/3941)
E assecondando il suo percorso letterario, lasciamo parlare le opere e, di riflesso, l’autore; che a questi brevi estratti risponde, con essi si mette in gioco e a noi rimbalza uno spaccato di sé.
Come in una invenzione a doppia voce, in dissolvenza.
Il tuo percorso letterario e linguistico prende le mosse dal ritmo della vita di provincia. Come l’atmosfera che esplode a Sarzana, la tua città, in occasione del mercato dell’antiquariato.
“All’inizio di agosto, nei giorni iniziali della cosiddetta kermesse antiquaria, le speranze di vendita sono molte,valide e forti, anche se ci sono in giro migliaia di curiosi ribattezzati dagli antiquari gente da gelato.
[Sarzana] una cittadina di ventimila persone, diventerà il porto di approdo per centomila turisti, sguinzagliati su tutta la costa e l’entroterra… Ma dalle sei del pomeriggio a notte inoltrata, la città offrirà il suo centro storico come campo di battaglia per la conquista di una cena, una bevuta, un acquisto e qualche chiacchiera…. Se chiedi a un sarzanese cosa ne pensa del mercatino, capisci subito se è residente o operatore dalla risposta assassina o entusiasta.” (da Alla luce dei fatti)
Ho vissuto per anni a Bologna e Milano, in gioventù qualche mese l’ho passato a Londra, e per lavoro ho girato tutta Italia e mezza Europa, ma niente mi ha cambiato, io sono un provinciale nato e convinto: Sarzana è il centro del mondo, tutto qui accade, senza lasciare tracce apparenti, senza clamori, ma se sai vedere oltre quello che appare, puoi trovare l’Eden. Trasuda amore per la mia città, il primo romanzo, scritto di botto e steso in sei/sette giorni: è nato da un’idea che mi frullava in testa da anni – mercatino/quadro/vecchio omicidio – e dalla voglia di descrivere Sarzana nei particolari e i suoi meccanismi di vita – da contrapporre ad un libro giallo bruttissimo che dicevano essere ambientato qui ma che della mia città riportava solo il nome.
Col tempo mi sono reso conto che Sarzana rispecchia la città di provincia ideale, né grande né piccola, dove ambientare storie italiane tipiche. Uno sfondo perfetto per le mie storie.
Qual è il potere della parola? Esiste un rapporto fra scrittura e biografia? Che cosa ti ha spinto a scrivere?
“Non credo assolutamente al valore taumaturgico delle parole nei momenti di sofferenza. Bisogna solo dare tempo al tempo e se il dolore è estinguibile, questa è l’unica cura. Aspettare” (da Nero in dissolvenza)
Credo al potere della parola scritta, potere inestinguibile che regna nel tempo, inalterata, scolpita nel suo significato, eterna. È splendido e terrificante. E per questo è onere enorme mettere giù, una dopo l’altra, lettere, e poi segni, costruire frasi e delineare concetti, visualizzare scene, descrivere momenti, senza cadere nel banale, senza scivolare nel già scritto. La parola va scelta, la frase s
istemata, il senso progettato. Non mi piace il vocabolo ad effetto, odio le frasi barocche. Persevero nella ricerca della semplicità, quella dritta, tagliente, tanto profonda quanto elementare, arcaica, minima, che va dal punto A al punto B con una semplice retta, senza svolazzi, perciò più dura.
Cerco la poesia nelle parole di tutti i giorni, quelle abusate, quelle spremute da tutti, gli reinfondo nuovo vigore e senso dell’essere; e poi curo e studio le virgole e i punto e virgola, i due punti e i punti a capo, gli spazi, le attese, perché ho capito la loro importanza nel cercare nuove strade nella scrittura. Parole e punteggiatura, i miei romanzi, la mia vita: sono un cerchio che si è chiuso: quello sulla carta sono io, i miei ricordi, le mie esperienze, i miei sogni, i miei sbagli. Butto dentro tutto, verità e fantasia, mescolo, confondo, nascondo, trucco, dichiaro a cuore aperto. Chi mi conosce dice che i miei romanzi sono sedute analitiche, e che un buono psicologo potrebbe aiutarmi.
Ma non è certo questo che mi ha spinto a scrivere.
L’ho sempre fatto, mi diverte sempre molto, e non mi è mai pesato. Pagine e pagine a cascata, un’idea dietro l’altra, senza fatica, e lo facevo solo per me, poi lo davo da leggere alla fidanzata di turno. Punto. Nessuna velleità, nessuna mania di grandezza, neppure una volta che mi sia frullato in testa di fare lo scrittore.
A pensarci adesso mi pare una cosa strana.
La musica sottolinea lo scorrere del tempo e della stagioni. Eppure, sono rari i momenti in cui essa appoggia le tue parole. E forse per questo, di una efficacia straordinaria. Che cosa puoi dirci al riguardo?
“Nighthawks at the dinners, of Emma’s 49’er
therEs a rendez-vous of strangers
around the coffee urn tonight…”
La voce storta di Tom Waits e il suo pianto triste. Tom Waits e Novembre hanno le medesime note. La sua ironia come i rari giorni di sole ancora caldo, la sua tristezza per le giornate fredde di pioggia. (da Nero in dissolvenza)
La musica è parte integrante della mia vita e massima fonte di ispirazione, come i testi di Vinicio Capossela, che condensano poesia, romanzo, e densità della parola; o le musiche incredibilmente evocative dei vecchi album di Waits (questi sono solo i due esempi più lampanti). Però è vero, nei miei romanzi sono rari i momenti in cui le parole poggiano sulla musica, questo perché non voglio sprecarla in passaggi sterili. Ma la musica è viva in ogni capitolo, è un sottofondo presente/nonpresente; cerco solo di evitare le banalità di citare titoli di brani musicali in maniera fredda, da lista di classifica dei dischi, per non svilirne la forza evocativa. La mia ossessione è trovare il modo per affiancare musica parole e immagini indotte in modo nuovo naturale e morbido ma che lasci il segno, così come Bratt Easton Ellis, che è riuscito a trovare una formula unica e spaventosa per inglobare in maniera sublime musica e testo del romanzo ma, ahimè, in maniera irripetibile, come ha fatto in An american psycho. Ecco, questo è il mio punto di partenza.
Il nero è il colore dominante nella tua produzione: come titolo e come elemento cromatico di cover. Esprime la tua visione?
“E’ il nero che comanda qui, dall’inizio della storia, da sempre. Me ne rendo conto solo adesso. Nero fuori, nero dentro. Finale in tinta.” (da Nero in dissolvenza)
Difficile dire qualcosa di definitivo sul mio nero, sul suo perché. In larga parte rispecchia il mio modo di vedere la vita e la realtà, anche se poi sono un tipo che vede il bicchiere mezzo pieno. Sono abbastanza anomalo in questo, altalenante. Cambia sfumatura del cielo, passa un minuto, e quello che mi pareva bellissimo è già diventato uno schifo e viceversa. No, non ho le idee chiare. Però, forse, la cattiveria che piaga le mie storie serve ad esorcizzare quella che incombe nella vita reale. Ecco, sì, è un esorcismo alla buona, fatto in casa. Poi mi viene in mente che sono sempre stato un divoratore di gialli, sia libri che film, che da piccolo sognavo di fare il detective, e quindi immagino che questa sia una visone indotta da overdose di genere. Mi ci trovo bene, nel genere nero, mi aggrada, e riesco a vivere tutte quelle storie e le avventure che immaginavo da piccolo. E tutte quelle, più dure e crudeli, che immagino da grande.
Segreti. Che parlano o alludono al male annidato in provincia. “Segreti che possono recidere di netto le false geometrie” Che cosa hanno a che vedere i segreti con il noir e con i tuoi romanzi?
“Segreti. Quanti segreti ci saranno in questa piccola città? Li immagino incrostati su queste vecchie mura, coperti a silenzi, confusi dal tempo, diluiti dalla pioggia; segreti piccoli o dolorosi, sopportabili o ingombranti, tenuti sul fondo degli occhi, stipati nel petto, dispersi nella testa, in agguato in casa; segreti antichi senza più paure, segreti freschi ancora spaventosi, segreti spuntati, che non fanno più male, caduti in prescrizione; segreti che uniscono persone sbagliate, segreti affilati come rasoi nuovi di zecca…” (da Nero in dissolvenza)
Grande o piccolo, tutti abbiamo un segreto da nascondere, non è così? È il peso della vergogna che fa il resto.
E la provincia è una cassaforte stracarica di segreti, ma è anche la meno sicura. Una volta aperta c’è l’imbarazzo della scelta, su quale scegliere per ricamarci sopra una storia. Ogni segreto è buono per giustificare la violenza più spietata, e la brutalità della provincia non conosce perdono, se il fine è mantenere IL segreto.
Non ami i personaggi seriali. Eppure, uno di essi l’hai visto crescere. Come è avvenuto questo processo di formazione?
“Il mio nome è Bernardo Strozzi, antiquario sarzanese specializzato in dipinti antichi. … Se sono qui a parlarvi di me,.. qualcosa è accaduto, o deve accadere ed io mi ci ritroverò invischiato, che mi piaccia o no…. A differenza della mia prima storia da protagonista, posso parlare in prima persona e questo mi fa capire che ho fatto n salto di qualità: sono diventato un narratore. “ (da Lo stretto necessario)
Il personaggio dell’antiquario detective ha una genesi ben precisa: doveva essere un figo, un gran detective, un bravissimo intenditore di quadri, e doveva avere il nome del mio primogenito, in maniera che mio figlio si innamorasse di quel nome, Bernardo, che fino a poco tempo fa detestava. Doveva durare lo spazio di 126 pagine, il tempo che Bernardo si avvicinasse al suo nome con orgoglio, niente più. Ma come potevo sopprimere un personaggio così legato alla famiglia, alla fine mio alter ego, e poi così amato da chi lo ha letto? Sono stato costretto – non troppo – a fargli vivere un’altra avventura e l’ho promosso sul campo: l’ho fatto parlare in prima persona - prima persona e tempo indicativo presente sono le basi della mia scrittura – come contraltare al narratore e credo sia stato un esperimento riuscito. Certamente sarà il protagonista di altre storie, di certo lo sfondo sarà quello del mondo non troppo pulito dell’antiquariato, ma sempre con una forte connotazione di disagio sociale. Questo perché, se prima era un ambiente per poche persone, ora un certo antiquariato è ridotto alla stregua di un qualsiasi altro lavoro.
Paura: di essere fraintesi, di sciogliersi. Intento di abortire i pensieri. Come nascono i tuoi personaggi? Come vivono in rapporto agli altri?
“Non chiedere, non sapere, l’auto deve correre a caso, verso il niente. Capita quando non hai voglia di parlare, quando vuoi tenere tutti i cazzi chiusi in valigia ma ti scoccia farlo da solo. Allora stai con una persona che non ti assilla, non ti domanda ma ti fa sentire che c’è, è lì con te e ti senti meno solo in balia del destino. " (da Nero in dissolvenza)
Scelgo personaggi comuni che vivono vite normali stravolte dal destino. Immagino le reazioni, la paura, lo sgomento, il senso di abbandono e di profonda sfiducia nelle cose del mondo e in Dio, cerco di tirare fuori tutta la loro umanità, evidenziando pregi e difetti. Comunque sia, cerco di dare vita a personaggi plausibili che non rientrino nei clichè imposti dai generi, metto in scena antieroi impauriti, uomini comuni col numero 42 di scarpe e il problema del mutuo da pagare.
E una donna dietro l’angolo pronta a ribaltargli la vita.
Gli oggetti parlano, anche quando tacciono. “Il silenzio disperato degli indumenti”. In particolare, gli indumenti, con il loro silenzio disperato. Soprattutto se appartengono a una donna. Che cosa puoi dirci dei personaggi femminili dei tuoi romanzi?
“Certi silenzi non andrebbero interrotti, andrebbero lasciati come sono, gravidi di sottintesi, di frasi non dette, di carezze e baci non dati, di significati importanti. Invece certi silenzi andrebbero riempiti con qualsiasi cosa, pur di non sentirli, pur di non lasciarli padroni della vita. Sono silenzi tragici che impauriscono, che sbriciolano pensieri, che congelano parole, che mettono distanze abissali, che fanno intendere il peggio, che bloccano i muscoli come una malattia, che muovono solo la bocca in un sorriso idiota e tengono gli occhi fissi sul niente e quando parli riesci a dire solo una cazzata.” (da Imperfetto)
Come nella vita, le donne sono fondamentali, imprescindibili. Fanno e disfanno esistenze, decidono anche quando sembra che non lo stiano facendo; sono forti anche nelle loro debolezze, e mai banali; e sanno cosa vuole ogni uomo, quello è il loro punto di forza. Sanno che l’uomo lo compri con poco, anche quello che sembra diverso dagli altri.
Ne scrivo con quel poco che ne conosco, di queste donne madri sorelle amanti mogli amiche nemiche bastarde puttane sante confidenti bottegaie direttrici avvocatesse e ancora di più, che mi hanno riempito la vita e lo faranno ancora, per sempre, e ancora non saprò bene cosa sono e cosa dirne.
Sei un appassionato di arte e un antiquario di professione. Come gestisci il confine e il rapporto fra scrittura e questa anima duplice?
“Io sono l’arte che giustifica l’omicidio. Mi domando quanti libri, quanti film, quante trasmissioni televisive faranno, perché non potranno che parlare di me per molto tempo… Ma io non farò nulla per aiutarli a comprendere. Rimarrò per sempre in un’aurea di mistero. Un terrificante mistero senza soluzione.” (da Imperfetto)
Fare antiquariato in maniera seria richiede una dedizione totale, corpo e mente, giorno e notte, è un lavoro che non lasci in negozio. Scrivere, come lo intendo io, è la stessa medesima cosa. Nasce per forza un conflitto di interessi. Possibile soluzione: dedicare il giorno all’antiquariato e la notte alla scrittura. Ma se hai un figlio appena nato che non dorme e ti scombussola i piani? Come puoi intuire, cara Marinella, far convivere le due anime è semplice, si integrano alla perfezione; la cosa difficile è trovare una soluzione di gestione dal punto di vista pratico.
Una cosa che ho capito, che è ben chiara, è che la mia voglia di scrivere non è influenzata dalla mia passione per l’arte: io scrivo di quello che conosco e perciò ecco l’antiquariato e l’arte che fanno da sfondo alle mie storie. Probabile che se avessi fatto il meccanico sarebbero state le marmitte e i carburatori i miei sfondi preferiti.
Due anime. Un dualismo che si armonizza nella scrittura. A proposito di convergenza: che cosa serbi in futuro, per i lettori? Puoi aprirci qualche spiraglio in proposito?
Lentamente sto riconquistando spazi notturni, e a breve dovrei rimettere le mani su un romanzo iniziato lo scorso anno: la storia è triste e terribile – tutto parte da una madre che uccide il figlio dentro la lavatrice – e io cerco di dare una spiegazione e un senso a questo fatto inumano, inventandomi vita aspettative sogni dolori delusioni di questa donna, cercando di arrivare quasi ad un perché, a una giustificazione del gesto, se può esistere.
In contemporanea lavoro all’adattamento e alla messa in scena per il teatro del mio racconto Biondo 901 (racconti/3850), che, se il destino non mette altri intoppi, dovrebbe essere portato presto in scena da Alessandro Bertolucci (è sua l’idea del teatro), giovane e talentuoso attore che potrete vedere presto su Raiuno nella fiction Un medico in famiglia.
Siamo al termine della nostra invenzione a due voci.
Prima che cali il silenzio, un sentito ringraziamento all’autore (nel suo doppio canto/controcanto), con l’augurio di ritrovarlo presto nelle pagine di un nuovo romanzo. E un grazie anche a Chiara Bertazzoni, angelo onnipresente nella sua lontana vicinanza, che ha reso possibile l’incontro e l’intervista.
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