Durante l’estate del 1958, i celerini del 15° Reparto Mobile di Peschiera erano aggregati a Bolzano per la storia dei “tralicci dell’alta tensione”. Alloggiavano presso l’Hotel Austria, requisito dal Governo. Una sistemazione da nababbi rispetto alle camerate del 15°. In tre per camera, anziché in otto, ci si sopportava meglio e si respirava di più. C’erano lenzuola, materassi e cuscini veri. Alla mensa/ristorante dei camerieri vestiti di bianco servivano canederli, bistecca, purè e strudel tutti i giorni. E se girava bene c’era anche un bicchiere di ottima birra, altro che la Moretti dello spaccio! Insomma, dai crucchi, come li chiamavano loro, non si stava niente male. Una pacchia. Il comandante, però, li obbligava a restare in albergo durante le ore di riposo. Almeno finché Tambroni non avesse risolto la situazione. Insomma, le direttive erano precise: fuori servizio evitare di farsi vedere dagli sciuzzen. Non è cosa, ripeteva il Colonnello. E lo sottolineava con disprezzo.
Di posti di blocco, da quando stavano lassù, ne avevano fatti parecchi.
Sempre in luoghi diversi, ma, solitamente, all’entrata o all’uscita delle città o sulle statali tra Bolzano e il Brennero.
Potevano trovarsi sulla statale per Gomagoi, per Brunico, o al bivio per lo Stelvio e la sera poteva capitare persino di alloggiare al campo base di Trafoi, anziché tornare ogni volta a Bolzano. Non che fosse una regola, ma alla fureria sembrava si divertissero a mandarli a destra e a sinistra e farli dormire in tenda, ogni tanto. Arruolati nella PS, dicevano sempre, e girerai l’Italia. Una grande verità.
Adesso, tre di loro erano a Merano. Dove non erano mai stati.
Il funzionario della questura gli aveva assegnato un blocco in via San Francesco nei pressi della stazione.
Una classica pattuglia fissa. La guardia aggiunta imbracciava il mitragliatore MAB, la guardia scelta agitava la paletta di segnalazione e l’appuntato se ne stava sulla vecchia Jeep americana a guardarsi intorno. Finalmente vedevano passeggiare anche delle donne, femmine sode, da far girare la testa, e non solo mucche e caprioli.
Di tanto in tanto fermavano una macchina, controllavano i documenti, salutavano e via. Trascrivevano i nominativi dei cittadini di lingua tedesca che fermavano e, a fine turno, li consegnavano al capo contingente che poi, tramite il funzionario, li girava alla questura.
Gliel’avevano spiegato bene come ci si doveva comportare per eseguire un posto di blocco. Bisognava innanzi tutto posizionare il cartello di segnalazione venticinque metri prima, quello con scritto Alt-Polizia. Un poliziotto si doveva piazzare quasi nel mezzo della carreggiata, alzare la paletta di segnalazione in segno di stop e far defluire l’automobilista sulla destra con un gesto rotatorio del braccio. L’altro doveva tenere sotto controllo la vettura con il MAB bene in vista. Il capo pattuglia, invece, doveva chiedere patente e iscrizione al P.R.A. coperto dagli altri due. Per questo servizio particolare occorreva ispezionare il veicolo controllando accuratamente che non trasportasse armi, materiali esplodenti, o documenti di propaganda anti-italiana, quali giornali, riviste, ciclostilati e quant’altro. Nel caso arrestare i presenti e radiocollegarsi immediatamente con la locale centrale.
Semplice.
Di fatto il capopattuglia se ne stava sempre seduto sulla Willys a fare niente.
Il compito di chiedere i documenti toccava sempre a quello con la paletta.
La VolksWagen grigia targata Bolzano stava percorrendo il tratto di Via San Francesco verso la Stazione.
Faceva un caldo della Madonna.
La guardia scelta di P.S. Pasquale Rizzotto, da Maratea, classe ’33, terza compagnia, secondo plotone, alzò la paletta e fece segno all’autista di accostare.
La guardia aggiunta di P.S. Salvatore Impomatato, da Benevento, classe ’39, terza compagnia, secondo plotone, aveva puntato il MAB istintivamente verso la macchina.
L’appuntato di P.S. Gennaro Marano, da Torre Annunziata, classe ’28, terza compagnia, secondo plotone, capo pattuglia radiocollegata, se ne stava sulla Jeep a strofinarsi le unghie sul bavero della grigioverde. Fra un mese esatto, appena compiuti i trenta, come da regolamento, avrebbe potuto finalmente sposarsi con Immacolata Arancio, di anni 22, e godere della licenza matrimoniale.
Rizzotto si accostò al finestrino del guidatore e chiese patente e libretto come da manuale, accostando al berretto (con l’effige dell’aquila che regge la torre della Repubblica), le dita della mano destra tese, allineate e coperte in un impeccabile saluto militare.
L’uomo della VW, classe ’18, era nato a Sterzing/Vipiteno, residente a Meran/Merano, esponente di spicco del gruppo di Hans Stieler, dissociato dalla SVP, collaboratore del “Dolomiten”, era stato, durante l’anno e mezzo del Reich, un agente del SOD. Ma nessuno dei tre celerini lo sapeva. Stieler, SOD, SVP? Boh?
I tre celerini - compresi tutti i militari di stanza in Alto Adige - venivano dal Sud, ma non del Tirolo, e di certe questioni ne capivano davvero poco.
La Guardia Scelta Rizzotto lesse i documenti.
Rizzotto faceva già fatica a leggere l’italiano, figurarsi il tedesco, ma non voleva farlo capire al crucco e allungò le carte all’appuntato che intanto si era messo a fumare.
L’appuntato Marano, quelle carte, se le rigirò parecchio tra le dita grosse e contadine. Poi si decise a trascrivere i dati su un foglio prestampato con una lentezza estenuante.
L’uomo della VW chiese, sfoderando un italiano perfetto, se poteva uscire dalla sua macchina. Rizzotto non rispose nemmeno, ma si scansò dalla portiera agitando la paletta per fargli capire che poteva.
Era, agli occhi dei poliziotti, un classico biondo latte con gli occhi azzurri e le gote rosse. Indossava un completo di lino beige e con un fazzoletto si detergeva il sudore dalla fronte. Sembrava colpito che i tre non sudassero come lui. Li osservava forse pensando che, essendo scuri di pelle e capelli, potevano sopportare il caldo meglio di lui. Per un attimo forse si era persino immaginato cosa significasse stare dentro una di quelle pesanti uniformi corredate di cinturone e giberna. Ma non era così.
Il “tedesco” gli era antipatico. Lui li guardava con aria di sfida. Sbuffava.
“Io capisco bene l’italiano, mi sono fermato, sono un bravo cittadino, ma il bilinguismo è fondamentale, lo ha detto anche il Ministro…” Rizzotto e Impomatato approfittarono per dare un’occhiata alla macchina. “…Nel cartello che avete posizionato laggiù, manca la scritta Alt-Polizei!” I poliziotti non ci fecero caso. Erano abituati a storie del genere. Sapevano che non era il caso di alimentare inutili discussioni. Dovevano solo controllare e poi via. Se quelli non capivano, o facevano finta, aiutarsi con i gesti: slofen, caputt, rausc, scnell, kartofen. Poco importa se avevano detto la parola dal giusto significato, o inventata, via, presto, andersen, andare, finisc, finito.
Marano sembrò resuscitare all’improvviso dal letargo scribacchino e urlò dalla jeep ridipinta verde oliva, agitando la stilografica.
“Ehi, Pasqua’, ‘n’ atra vorta: m’aggia-scurda’ ‘a via…”
“Aeee… Siempe ‘a stessa storia, Genna’, San Francesco!”
L’uomo della VW disse invece, quasi contemporaneamente:
“Andreas Hofer - strasse”
Impomatato distolse lo sguardo dalla VW e alzò leggermente la canna del mitra verso il sudtirolese, mentre Rizzotto si rivolse verso l’appuntato con aria interrogativa.
Marano scese finalmente dalla Jeep con tutti i suoi chili di troppo costretti dal cinturone e si avvicinò al biondo gettando la cicca della Nazionale.
“Sentite, lei, come si chiama, io non capisco il tedesco e nemmeno lo voglio capire, ma statevi accorto a quello che dicete! Questa,” e si percuoteva la giubba “è la divisa della polizia e voi ci dovete portare rispetto a questa divisa della polizia perché a me non mi piacciono quelli che fanno come fate voi, che qua siamo tutti italiani, mi capisce? Che se io vengo qua da Napoli per quattro lire e un pacchetto di sigarette voi mi dovete portare rispetto che io ho fatto la guerra in Africa, ‘o capisce!?”
Il “biondo” sembrava perplesso.
“Scusi signore, volevo semplicemente dire che questa via dovrebbe chiamarsi Andreas Hofer in memoria di un eroe, di uno che non voleva essere dominato dagli stranieri…”
I tre poliziotti si avvicinarono al “tedesco” che parlava così bene l’italiano. Sembrava dovessero annusarlo da quanto gli stavano vicino. L’uomo invece indietreggiò e storse un po’ il naso forse per quell’odore che emanavano le guardie, un misto di ferro, olio, sudore e dopo barba d’ordinanza.
“A noi non ci piacciono i nazisti…” insinuò Rizzotto.
“A me non piacciono i fascisti!” replicò il biondo.
I poliziotti restarono muti. E’ vero che nelle piazze li chiamavano fascisti, ma gli avevano detto che erano quei maiali mangiabambini dei comunisti che li chiamavano così e che fascisti e nazisti era uguale, no? Ma loro di politica ci capivano poco, i comunisti erano pericolosi di sicuro e andavano eliminati, ma i crucchi non erano comunisti. I crucchi tirolesi erano nazisti, volevano togliere tutte le cose italiane, volevano diventare tedeschi e che si fottessero allora, che lo diventassero, che se ne andassero, così finiva tutta ‘sta storia dei tralicci, degli attentati, delle dolomiti, dei posti di blocco! Loro odiavano quelle maledette montagne con la neve tutto l’anno!
Ma l’uomo della VW voleva anche dire che non potevano costringerlo a essere italiano se lui non si sentiva, come se ai napoletani li avessero costretti a parlare solo americano! E gliel’avrebbe di certo urlato, a quei tre napoletani, che gli italiani e i fascisti non erano certo meglio dei tedeschi e che…
L’uomo della VW l’avrebbe gridato se non avesse visto con la coda dell’occhio la guardia aggiunta Salvatore Totò Impomatato avvicinarsi a un involucro che si trovava nascosto nel sedile posteriore. L’avrebbe gridato, certo, ma sentì chiedere a Rizzotto:
“Pasqua’ ma che è ‘sta cosa?”
Gliel’avrebbe spiegato lui, invece, a quei tre zucconi che cosa voleva dire stare tanti anni sotto Mussolini con quelle sue manie di impero romano, gliel’avrebbe raccontato lui a quei tre bifolchi napoletani chi erano i poliziotti della Sicherheits-und-ordnungsdienst! Altro che le guardie di pubblica sicurezza! Sì, l’avrebbe fatto se Totò Impomatato non avesse tirato quella spoletta che gli sembrava una scatola di sardine.
Eccome.
Ma dopo l’esplosione. Non ci fu tempo.
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