Una voce nella notte, dello scrittore regista Patrick Stettner (dal romanzo di Armistead Maupin) semina, bontà sua (e ahinoi…), più dubbi e misteri di quanto l’avvedutezza dello spettatore riuscirà mai a dipanare in una vita di visioni (magari una e mezza…)

Se molto banalmente esistono due tipi di misteri, quelli che qualcuno si prende la briga di spiegare e quelli invece che lasciati a loro stessi si beano del loro rimanere insoluti, il film appartiene di diritto a questi ultimi. Chi è realmente Donna, sedicente psicologa con un figlio adottivo quattordicenne autore di un libro sulla propria infanzia devastata che come lascito gli ha riservato l’AIDS, libro che tanto colpisce Gabriel Noone, scrittore e conduttore radiofonico in piena crisi creativa e affettiva?

Il film si guarda bene dallo spiegare alcunché sulla reale esistenza del ragazzo, limitandosi a sondare il mistero che lo avvolge con la sonda Robin Williams al quale va riconosciuta una professionalità e un impegno totale anche in film che a dire il vero si intuisce presto non resteranno nella storia del cinema.

Tornando al film tolta la buccia di mistero che lo avvolge, pare di scorgere nell’intreccio un certo compiacimento non tanto estetico quanto letterario nella preponderanza dei dialoghi spesso condotti via telefono. Subito dopo ci si imbatte nell’autoritratto agiografico della figura dello scrittore, capace di utilizzare quello che gli accade attorno prima come strumento di guarigione, poi come linfa per nuove opere.

Torna nel cinema l’AIDS (in forma edulcorata): il compagno di Noon è stato sieropositivo e adesso non lo è più, mentre il ragazzo misterioso ce lo ha ancora, ma visto che forse non esiste non lo può avere.

Punto.