Chi è stata Armida Miserere e perché ha diviso la sua vita tra un’anima pubblica e un’anima privata contrapposte tra di loro?
“La mia unica compagnia sono i miei cani, Leon e Luna. Io mi identifico spesso con gli uomini; quando cammino, dicono, incuto timore, fumo Super senza filtro, metto la mimetica militare. Ho 41 anni, sono sempre stata così, e morirò così, e non chiamatemi direttrice che mi manda su tutte le furie, io sono il direttore e basta."
Stralcio dall’intervista pubblicata su Io Donna del 15 Novembre 1997
1 febbraio 1984, Armida Miserere inizia a lavorare come vicedirettore al carcere di Parma. Ha 28 anni, laurea in giurisprudenza, specializzazione in criminologia; ha scelto un lavoro difficile, soprattutto per una donna. Lei lo sa, alza le spalle e affronta un nuovo mondo, quello sconosciuto delle carceri. Viene presto trasferita e inizia a girare gli istituti di pena più difficili perché vi sono reclusi brigatisti o mafiosi. Impara fin da subito a non lasciare trapelare le sue emozioni, si trincera dietro ai regolamenti, che all’interno di un carcere sono la legge suprema. Lo Stato, in quegli anni, viene attaccato dalla mafia, sconquassato dagli attentati terroristici, quei detenuti di cui è responsabile l’hanno combattuto e a volte continuano a farlo da dietro le sbarre.
Il 19 aprile 2003, dopo avere diretto carceri come Pianosa, o l’Ucciardone dove i detenuti la chiamavano “Fimmina bestia”, Armida si uccide sparandosi con la calibro nove che da anni non l’abbandonava mai. Quella stessa arma che Armida ha voluto per potersi difendere da attentati, le è stata amica dandole la liberazione.
L’autrice ha consultato i diari di questa donna, ha parlato con i suoi migliori amici, con collaboratori e colleghi, con gli uomini di scorta, che per anni sono stati accanto a lei, tutti citati nei diari. Il lavoro fatto da Cristina Zagaria è stato incrociato: attraverso i diari ha conosciuto Armida e attraverso le parole dei suoi amici l’ha riconosciuta. E’ riuscita a mettere in luce le due vite parallele di questa donna: aspetto mascolino, atteggiamento rigido e di sfida, da una parte; femminile, donna innamorata di Umberto anche dopo la sua morte, bisognosa di una protezione che lui ha saputo darle e che in seguito ha cercato solo dentro se stessa, senza trovarla, dall’altra.
Un libro, e una vita, che ti entra nelle viscere, che ti attira spaventandoti per i forti sentimenti che trasmette.
Cristina, perché ti sei interessata alla vita di Armida Miserere?
Quando si è suicidata tutti i giornali ne hanno parlato e i titoli mi hanno colpito “Suicida la direttrice dura”, mi sono chiesta: “perché una dura si suicida?”. Così ho inziato a raccogliere tutte le brevi di cronaca o le agenzie su quella morte. Armida è morta in aprile e io in settembre sono andata nel suo paese, Casacalenda, e ho chiesto di parlare con il sindaco.
Chi l’ha fatto, secondo te?
Il suo lavoro è sempre stato duro, l’Amministrazione penitenziaria approfittava della determinazione che dimostrava, per mandarla a risolvere le situazioni più difficili delle carceri italiane. Forse in questo senso si è sentita usata e sfruttata.
Cosa è successo dopo la pubblicazione di questo libro?
Mi ha telefonato la direttrice di www.ristretti.it, sito di cultura e informazione dal carcere, per dirmi che di questo libro ne parlano i detenuti.
Grazie a Cristina Zagaria, perché facendo un lungo lavoro di ricerca e documentazione è riuscita a trasmetterci sia la forza che le debolezze di Armida Miserere. Ho amato molto questo libro, perché, da donna che ha lavorato in carcere come vigilatrice per qualche mese, poi per dieci anni sulle pattuglie del 113, so cosa vuole dire, dovere dimostrare di “essere uomo”, a scapito della parte femminile. In realtà, e per mia fortuna, è stato un grande equilibrio che mi ha fatto decidere di non rinunciare a nessuna delle due parti.
Miserere. Vita e morte di Armida Miserere, servitrice dello stato di Cristina Zagaria (Dario Flaccovio, 2006) – p. 310 - euro 14,50 - Giudizio: ottimo
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