“Interrompo la scrittura, perché sento avvicinarsi i carcerieri. Mi rimane il tempo di nascondere le pagine.

Volevano proprio me. Ero desiderato dal maggiore delle SS. Con due mitra puntati alle spalle, ho percorso il corridoio della prigione. Nella semioscurità ho intravisto alcune braccia che uscivano dalle sbarre, ma il silenzio regnava totale. Si udivano i passi militareschi causati dagli "Stiefel" dei soldati che mi scortavano. Dopo avere attraversato un cortiletto e salito due rampe di scale esterne, in prossimità di una grande bandiera con la croce uncinata che sventolava leggera, mi hanno spinto dentro una porta ben piantonata dalla Gestapo. Essa introduceva in una spaziosissima sala che apriva a diverse stanze. Una di queste era quella del maggiore Ludwig von Kirchen della Polizei-Gefangnis.

Un tipo basso e grasso, stempiato, giovane in apparenza, ridicolo dentro quei pantaloni larghi, con gli occhi inespressivi, blu ghiaccio. Si diceva di lui che la sua grande passione erano i morti. L’innocenza era un’utopìa. Chi varcava la soglia del suo ufficio era colpevole. Se poi "ebreo", semplice merce da eliminare o da barattare.

Se ne stava in piedi, piantato al suolo, senza il cappello e con la foto di Hitler dietro di lui, racchiusa in una cornice nera sormontata da un’aquila color giallo oro. Fumava, tranquillo, una sigaretta, ostentando il bocchino che doveva essere di pregevole fattura.

Non si mosse di un passo. Mi sembrò che sorridesse. Visto così, tra le nuvolette di fumo.

Abbassai subito lo sguardo.

Le guardie furono allontanate con un imperioso gesto della mano libera.

Io rimasi dov’ero.

“Ebreo, tu ti riterresti un musicista, mi è stato riferito.”

La parola "ebreo" fu pronunciata con lo stesso disprezzo con cui si dice "Dreck" "Scheisse" "merda" nella traduzione italiana. Il "tu" era il minimo. Gli ebrei appartengono a una razza inferiore, meglio non appartengono a nessuna razza. Solo animali bipedi. E può, secondo la logica nazista, un animale bipede comporre musica? Se così fosse, che sarebbero Bach, Mozart, Beethoven e Wagner? Dei da adorare? I geni della razza ariana!

Risposi sic et simpliciter:

“Lo dimostrano le mie opere.”

Il teutone si mise a sghignazzare.

“Le tue opere sono spazzatura” commentò, aspirando fumo dal luccicante bocchino.

Non ho replicato.

“Chi ti credi di essere? Franz Josef Haydn?“ continuò sarcastico.

“Per carità, ho troppo rispetto per i mostri sacri!” lo sfidai alzando il tono della voce.

Ebbi per risposta un pugno battuto con violenza sulla scrivania.

“Lurido, pezzente d’un ebreo, “ e sputò per terra, “neanche sei degno di nominarlo!”

Seguirono alcuni secondi di piombante silenzio.

“Lo sai che cos’è l’arte degenerata? Die Entartete Kunst?” riattaccò lui.

Finsi di non avere udito.

“Rispondi!” ringhiò, battendo i tacchi.

“Sì” mormorai.

“Sei a conoscenza che vi fanno parte "strimpellatori" – e calcò tale parola – come Bela Bartok, Paul Hindemith, Arnold Schoenberg e simile marmaglia?”

Feci cenno di assenso col capo.

“E a te piacciono magari, eh?”

Il tono della voce era minaccioso.

“Forse sono addirittura i tuoi "maestri"? continuò sbuffando come una locomotiva. Più per la rabbia che per il fumo.

“Non male come compositori” li difesi, difendendomi “ A me piacciono Debussy e Smetana.”

“Robaccia.”

Fece una smorfia, forse era un tentativo di ridere, poi disse:

“La Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un’arte tedesca ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un’arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore eterno per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore.”

Dopo una pausa:

“L’arte non trova fondamento nel tempo, ma unicamente nei popoli. Parole del Fuehrer del ’37.”

Ci stava bene una pernacchia, ma il buonsenso mi evitò di "eseguirla". Altro che minuetto di Mozart sarebbe stata!

“Verstanden?” abbaiò.

Mi chiusi nuovamente in un silenzio polemico.

Si mise a cuccia. La poltrona era alta il doppio di lui.

Ci vuole grandezza per nascondere piccolezza. Fissai il calamaio. Anch’esso enorme, di oro zecchino. Pareva una saliera del Cellini e rappresentava una scena mitologica. Forse un Laocoonte. Chissà da quale casa patrizia veneta era stato rubato. Dietro a tutto ciò, un volto meschino evitava di guardarmi negli occhi.

Aspirò le ultime boccate di fumo, quindi levò la cicca dal bocchino, spegnendola con forza in un posacenere già pieno di mozziconi di sigarette. Un po’ come l’esistenza di un appartenente a una razza inferiore o di un prigioniero politico: solo fumo, il resto lo si schiaccia e poi lo si butta via.

Chiamò una guardia. Si fece portare un fascicolo. Lo aprì, leggendo con attenzione. Quindi, rivolto al soldato:

“Bist du sicher?”

"Jawohl, Herr Major!“

Lo licenziò con un gestaccio della mano, come si scaccia una mosca.

“Tu sei arrivato qui il 10 agosto di quest’anno, giusto?”

“Sì.”

“La tua carriera di "battitasti" è finita. Possiamo parlare, invece, della tua vita, per quello che vale. “ proferì interessato “Ti offro un buono di salvezza.”

“Ebreo significa ‘denaro’” disse aggiustandosi il rigido colletto “Incredibile, ma un pezzente come te ha amici influenti e io ne voglio approfittare, non tu, capito? Di liberarti senza un pagamento non ci penso nemmeno. Si può trattare, se sborsi moneta. Tanto, prima o dopo, una mosca pari tuo è destinata a rifinire nelle ragnatele del Terzo Reich. Diciamo che per me tu rappresenti un investimento. Ist das klar?”

Ho alzato le spalle.

“Mio padre è ricco. Io non possiedo nulla.”

Mi fece firmare un foglio.

“Mai sentito di un giudeo povero!” gracchiò il maggiore.

“E’ vero,” replicai beffardo mentre ponevo uno sghiribizzo in calce al documento che privava, in sostanza, il mio genitore di ogni bene, “poi sono arrivati Joseph Gobineau, Wilhelm Marr e Adolf Hitler!”

Mi strappò il foglio di mano, quindi urlò che mi portassero via. Era diventato paonazzo, il bocchino gli tremava tra le labbra.

Non mi hanno riportato in cella. Dopo avermi riconsegnato i miei stracci, sono stato rimesso in libertà con un lasciapassare per Bellagio e dintorni.

Una delle guardie della prigione, nel vedermi incerto muovere i primi passi dal cortile, ha palesato il suo odio alzando leggermente il mitra.

Un monito? O, peggio, rabbia di non potere sparare?”

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Questo capitolo è tratto dal mio lavoro inedito sul compositore Aldo Finzi. Costui ebbe vita breve. Nato a Milano nel 1897 da un’antica famiglia ebraica originaria di Mantova, studente del Parini e poi laureato in giurisprudenza a Pavia, dotato musicalmente, fu a 24 anni uno dei compositori più promettenti di Casa Ricordi, tanto che la sua Serenata al vento (libretto di Carlo Veneziani) vinse un concorso che gli apriva le porte della Scala. Correva la stagione 1938-1939. Ci furono le leggi razziali e Aldo Finzi non solo non vide rappresentata la sua opera, ma dovette scappare in continuazione, nascondersi, fu arrestato, liberato dietro pagamento, pedinato, tenuto sempre sotto tiro. Il suo fisico ne risentì e cessò di vivere all’inizio del 1945. Cadde, non risorse e giacque. Fu dimenticato. Nessuno parlò di lui e della sua bellissima musica. Solo ultimamente, grazie al M° Giampaolo Sanzogno, è stato riscoperto e apprezzato e parecchie piazze italiane hanno ripreso le sue composizioni coperte dalla polvere degli anni. Ecco, allora, le note della Sinfonia Romana, del poema sinfonico Cirano di Bergerac, L’infinito, Pastoralina, la Pavana, la Berceuse, le liriche per soprano e piano, il Salmo per coro e orchestra (integrato da Sanzogno), la Sonata per violino e pianoforte e il Quartetto per 2 violini, Viola e Violoncello.

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“Ho smesso di scrivere il diario: non mi piace parlare di guerra.

I tedeschi sono in disfatta. Qui è successo di tutto. Un bombardamento ha semidistrutto la villa. Molti prigionieri hanno perso la vita. Quarantotto ore prima, vecchi, donne e bambini sono stati trasferiti alla stazione di Torino e lì caricati sui carri bestiame con destinazione ignota.

Il maggiore Ludwig von Kirchen si è sparato.

Rieccomi per strada, solo, sperduto, stanco e ammalato. Dove andare? Ieri ho suonato per l’ultima volta la mia "Pavana".

Tenterò la carta della Svizzera. Che Iddio mi aiuti. “Fate eseguire la mia musica.”