Libro e moschetto fascista perfetto. L’importante che il libro in questione non rientrasse nel genere giallo. E se, vagheggiando in un mondo fantastico, qualche morto ammazzato era proprio indispensabile per dare un’emozione diversa al lettore, il colpevole dell’omicidio doveva essere rigorosamente straniero. Qualcuno venuto da lontano. Tutto questo perché le regole erano ferree e la proibizione all’autore diventava tassativa: nessun italiano si poteva macchiare di un crimine. Di quelli efferati poi neanche a parlarne. Pena la censura. Un volo con la fantasia era ammesso, ma non al punto da far supporre l’esistenza di una realtà dove l’illegalità potesse avere il sopravvento. Gli italiani erano brava gente e il regime di Mussolini, grazie anche alla sua opera educativa, era capace di mantenere ordine e disciplina. Anche a costo di consumare qualche manganello sulla schiena di chi era particolarmente duro di comprendonio.
E se il crimine non esisteva nella vita quotidiana, perché andarsi a cercare delle grane con la fantasia? Meglio un po’ di retorica scritta in bella prosa, e diffusa a piene mani, con suggestive storie d’amore e d’avventura, dove far primeggiare eteree fanciulle pronte a cadere tra le braccia di un uomo forte e onesto.
Ma nonostante queste premesse, occorre dire che è proprio al ventennio che dobbiamo la nascita del termine giallo. Infatti la collana dei romanzi editi da Mondadori (con la ormai famosa copertina gialla all’origine del neologismo che ha trasformato un colore in un genere letterario vero e proprio) nasce nel settembre del 1929.
Da subito la collana di Mondadori individuò solo professionisti stranieri da pubblicare, basti pensare ai primi quattro titoli: La strana morte del signor Benson di S.S. Van Dine, L’uomo dai due corpi di Edgar Wallace, Il club dei suicidi di Robert Louis Stevenson, e Il mistero delle due cugine di Anne Katherine Green.
E anche in questo caso gli scrittori italiani hanno trovato la porta chiusa.
Socchiusa però un paio d’anni dopo, quando nel 1931, su precisa disposizione del governo fascista, tutti gli editori vennero obbligati a pubblicare almeno il 15% di opere a firma di italiani. Imposizione che non corrispose a una certa disponibilità da parte degli autori di casa nostra che si dimostrarono particolarmente ostici a seguire le orme di Edgar Allan Poe, e Agatha Christie per dedicarsi a un tipo di narrativa a diffusione popolare.
Però in quegli anni qualche nome di autore italiano incomincia a fare capolino sulle copertine illustrate. Se li spartirono editori come Mondadori, Sonzogno, Nerbini, Minerva, i Gialli Elios dell’Editrice Milanese, e, in alcuni casi, anche quelli che avevano scelto nomi in linea con la tendenza culturale fascista, basti pensare per esempio alle Edizioni Impero, con il logo di un’aquila nera. Autori questi che sparirono dalla circolazione subito dopo la fine della guerra: Alessandro Varaldo, Enzo Geminai, Ulderico Tegani, Leonello Martini, Guido Monadi, Pietro Mormino, Italo Testa, Paolo Lorenzini, Gastone Tanzi, sono alcuni dei nomi abbinati alle tante serie gialle o dell’enigma create dalle diverse case editrici. Ambientazioni fragili, intrecci macchinosi, circolazione di veleni e colpi di pugnale alla schiena, falsi suicidi, ma il tutto in atmosfere che nulla avevano da condividere con la realtà quotidiana.
La collana è destinata poi a soccombere alle accuse di diseducatività scagliate dal potere fascista e verrà sospesa nel 1941 con la pubblicazione del numero 266 (che, per ironia della sorte, portava proprio una firma italiana, quella di Ezio D’Errico, con il romanzo La casa inabitabile).
Ma la chiusura della fortunata serie di Mondadori vedrà l’infiltrarsi di alcune di queste opere vietate in altre collane economiche di ampia diffusione (vedi i Romanzi della Palma, I Romanzi dell’Enigma, fino ai Romanzi del Coprifuoco, e ai Romanzi dell’Indagine curati da Carlo Brighenti fino alla fine del conflitto mondiale).
Men che meno, a partire dal 1940 con l’entrata in guerra delle truppe italiane, si dedica una sola riga all’evento bellico. La guerra non traspare mai in alcun romanzo giallo. A meno che non sia funzionale alle esigenze della propaganda di Mussolini, vedi per esempio l’ispettore nazista Welf Schurke di Romualdo Natoli che (nel romanzo Il mistero del poligono, 1941) incarna gli ideali superomistici e razzisti del Terzo Reich, e svolge le sue indagini in una Parigi “felicemente sottomessa” e pacificata dal nuovo ordine hitleriano.
Nonostante tutto il rigoroso controllo esistente sull’attività di narrativa, e il disamore dimostrato dagli intellettuali di casa nostra, qualche cresta emerge dal mucchio.
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